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proclamava in una tendenza a parteggiare soverchiamente coi fatti esistenti; a enunziare una verità luminosa e accettare ad un tempo, per non so quale politica d'altalena anch'oggi dominatrice, un errore, talvolta pure una ingiustizia contemporanea; a sospingersi fin sui limiti ove comincia una nuova conquista e arrestarsi a un tratto quasi per terrore d'ignoto. Sarpi non avea sortito natura d'iniziatore. Nella scienza, egli ebbe divinazioni sublimi ch'ei non seguì, presentimenti che non curò di svolgere: nella politica sociale, intravvide ed è da vedersi la sua lettera del 14 aprile 1617 concetti superiori a quel dualismo monarchico ch'ei difese. Forse indovinò che solo un grande mutamento religioso può rigenerare l'Italia, ma non ebbe coraggio o forza per farsene capo. Noi Italiani, dice egli stesso ed è vero, operiamo poco e rimaniamo addietro d'altrui per prudenza e desiderio d'operar troppo bene. Era questo in parte difetto suo pure. Sappiamo da Fra Fulgenzio che anche nelle faccende della vita "comune ei non poteva liberarsi d'una certa esitazione qualunque volta si trattasse d'agire; e dico agire, perchè quanto a patire o resistere, noi sappiamo ch'egli non esitava.

Sarpi, nella vita pubblica e nella lotta ch'ei sostenne contro Roma Papale, fu, lo ripeto, un grande uomo di Stato: il primo de' suoi tempi; e questa è la spiegazione di tutta la sua vita e della sua tattica. Come i più fra gli uomini di Stato, ei non avea molta fede nella natura umana. Preferiva aspettare gli eventi e trarne il meglio possibile o prò delle proprie idee a ogni tentativo di determinarne il corso e crear fatti per virtù e in nome delle idee.

Operò sul Papato a guisa d'un forte dissolvente, e ciò lo distingue da Lutero, rivoluzionario e distruggitore. Lutero era assalitore nato, inclinato per natura a rovesciare: vedeva il Male e desiderava abbatterlo colle proprie mani: procedeva diritto al centro della questione, noncurante del resto e contradicendosi spesso sui particolari e sugli incidenti. Sarpi era l'uomo della difesa, della resistenza; ma di quella resistenza ostinata che indebolisce e stanca il nemico e lo riduce a smarrire ogni freddezza di calcolo. Guerreggiava Fabiescamente. Voleva abbattere il Male; ma, all' assalirlo direttamente egli stesso, preferiva cadesse per proprio vizio, per la lenta infallibile azione del principio di corruzione che porta in sè: cercava quindi tutte occasioni per peggiorare e manifestare quel guasto interno lasciando il resto al tempo e all'opinione. Non mirava al core, non s'avventurava ad assalire di fronte l'edificio che avea fermo di rovesciare; ma devastava il terreno all' intorno, lo minava sotterraneamente in ogni punto più debole, e tendeva con una tattica mirabilmente insistente a isolare il nemico, certo che, condannato dall'isolamento all' inerzia, sarebbe costretto a perire. Ei si compiaceva d' un errore commesso dall'avversario più assai che non d'un successo conquistato direttamente. Vedeva con gioia il Papato smarrirsi dietro pretese impossibili: con gioia lo scredito che l'arroganza e l'inavvedutezza de'suoi difensori gli procacciavano. Gli esempi abbondano nella sua Corrispondenza.

Sarpi è tutto nella sua corrispondenza: tranquillo, antiveggente, moderato, prudente. Fervido d'ira, aspro, incauto, Lutero cedeva spesso agli impulsi

del di fuori e danneggiava allora la propria causa; quindi talora il suo ritrattarsi, i suoi rimorsi, .le sue inquietudini di coscienza, e le sue lotte interne. Sarpi non correva rischi siffatti. Lutero, sebbene rivoluzionario nell'anima, non ammetteva altr'arme che la parola. La parola, ei diceva, sovvertì il Papalo, mentr' io dormiva o beveva birra col mio amico Melanctone, più assai che non fecero Principi o Imperatori. Sarpi, comunque solamente riformatore, avrebbe accettato altri mezzi per promovere la propria causa e, occorrendo, la forza. Confessava, scrivendo il 27 aprile 1610 a un amico, ch'ei desiderava vedere in, Italia la guerra, perch'essa gli avrebbe aperto la via d'operare onorando Dio e promovendo il Vangelo. E quando intese che il re d'Inghilterra dettava libri contro il Papato, sta bene, diceva, ma perchè invece di libri, non fa egli qualche cosa che meglio risponda alla sua condizione? Sarpi, combattendo a prò d'una potestà contro un'altra, poneva maggior fede nei Principi e nell' arti della politica che non nel popolo; mentre Lutero, giovandosi pure dei Principi, ma non combattendo in sostanza che per le proprie idee, e per l'indipendenza dello spirito, avea fede sopratutto in sè stesso e nelle convinzioni ch'egli andava inoculando alle moltitudini. Sarpi superava Lutero nella conoscenza delle cose e degli uomini: Lutero avanzava Sarpi di fede. Però, le conseguenze immediate dei loro sforzi escirono largamente diverse: Lutero, trattando materie di fede e parlando con fede, oprò sulle moltitudini anche quand' ei nol tentava: Sarpi, e con lui tutti i riformatori del suo tempo, lavorando diplomaticamente e nella sfera le

gale d'allora, operarono potentemente su letterati, uomini di Stato e principi, ma poco e raramente sul popolo. Che altro potevano cogli elementi adottati? Come avrebbero essi oltrepassato Erasmo o in altri termini un giusto mezzo politico e religioso?

Quanto agli effetti remoti, furono a un dipresso gli stessi: le due vie piegarono lentamente l'una verso l'altra e finirono per confondersi. Oggi, mercè Sarpi e Lutero e i loro seguaci, il Papato è morto, come Potere spirituale, in Italia siccome altrove. Ogni fede in esso è spenta, e la sua voce non esercita più potenza sull'anima, da quando benedisse a Nicolò condannando l'insurrezione Polacca, da quando abbandonò la Grecia e tradì simpatia di tirannide colla Mezza luna, da quando scelse Metternich a birro e affidò l'oppressione delle sue terre alle baionette dell'Austria. Il vice-reggente di Cristo non vive ormai che di forza straniera. La questione religiosa in Italia, quanto al suo sviluppo immediato, è immedesimata colla politica. La vittoria in una sarà vittoria nell' altra. I pochi che oggi spargono fiori di poesia sulle rovine e fantasticano sogni di libertà universale, fondata sul Papato, avranno inevitabile smentita dai fatti. La rivoluzione Italiana farà della Roma del popolo ben altro che la Roma dei Papi.

ADOLFO BOYER (')

Un operajo, compositore tipografo, dotato d'ingegno e di cuore, viveva, marito, e padre di tre figli, in Parigi, sostentando con un lavoro assiduo sè e la famiglia e studiando con amore, nei momenti che gli erano liberi, la condizione, i mali e i bisogni de' suoi compagni. Frutto di questo studio ei sentiva che gli operai, per riescire a migliorare la loro tristissima condizione e ottenere ciò che Dio destinava ad essi come a tutti gli altri uomini, educazione e diritti, devono cominciare dal migliorare sè stessi, e dall'imparare, associandosi, la loro missione e la loro potenza. Ei predicava dunque in ogni modo l'associazione e cercava diffondere tra' suoi compagni lo spirito di fratellanza e d'educazione. Tutti gli operai che lo conobbero da vicino danno lode alla sincerità e alla moderazione delle sue convinzioni, alla dolcezza del suo linguaggio, all'onestà della sua condotta. Le coalizioni del settembre 1840, le discussioni che suscitarono, e i rimedi che alcuni propoposero, commossero più sempre la sua attenzione.

() Dall'Apostolato Popolare.

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