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Oggi le idee abbondano, e contenenti più parte di vero che non quelle di Foscolo; ma quanti sono che le rappresentino coll' indomita costanza di Foscolo? quanti, che possano dire: a eccovi la mia vita; esploratela attenti, e se trovate ch'io v'abbia smentito la mia parola, additatela con una lapide d'infamia ai posteri? >>

Io dirò dunque ai giovani che leggeranno queste reliquie: non ricopiate le idee; ogni tempo ha le sue, e i pochi anni che vi separano dagli anni di Foscolo segnano il limite fra due età radicalmente diverse. Ma adorate le idee dell'età in che voi v'apparecchiate a vivere com' egli adorava le proprie. Amate la patria com' egli, anche quando la flagellava a sangue, l' amava. Consecratele indefessi il pensiero e il bracció, la penna e la spada; e se la sorte v'assegna l'esilio, la miseria o la morte precoce, amatela morendo o vivendo, ch'è peggio, nella povertà e nell'esilio. L'anima vostra non si contamini mai di bassezza o di transazioni colla potenza non ordinata della giustizia. I vostri libri esprimano la legge della vostra vita, e la vostra vita sia commento perenne a quei libri. E per questo, checchè l'invidia e la pedanteria vi sussurrino, specchiatevi in Foscolo. Le vostre idee hanno a essere di gran lunga innanzi alle sue; ma basterà che molti fra voi le sostengano con fortezza eguale alla sua, perchè la patria sia contenta di voi e perchè forse Dio avveri il presagio ei sia l'ultimo dei vostri ingegni condannato a giacersi in una tomba eretta da mani straniere in terra straniera.

AI GIOVANI

(Articolo premesso agli Scritti editi e postumi di CARLO BINI)

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Erkenne erst, mein Sohn, wás er geleistet hat,
Und dann erkenne, was er leisten wollte.

GOETHE.

Gli scritti, in parte editi, in parte inediti, raccolti in questo volume, sono l'unico indizio ch' oggi ci avanzi d'una santa anima che passò, alla quale Dio aveva largito tanto tesoro d'amore da benedirne un'intera generazione, e che gli uomini e i tempi costrinsero a riconcentrarsi in sè stessa: sono il profumo d'un fiore calpesto da molti, inavvertito dai più, al quale mancarono l'aria e il sole: pur nondimeno sacro e bello di divina bellezza a quanti adorano nella povera modesta rosa dell'Alpi un simbolo di poesia, e dell'eterna vita che Dio diffonde, a con- i forto e promessa, anche fra i geli dell' inerzia e le nevi dello scetticismo.

E l'inerzia e lo scetticismo dei più fra'contempo-" ranei avvelenarono di sospetti mortali, e di dolori tanto più gravi quanto più solitari, l'anima e la vita di CARLO BINI, e condannarono le facoltà di un intelletto nato potente a non rivelarsi se non per getti MAZZ. Op. Vol. IV.

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brevi e spezzati; note d'una melodia, che, a svolgersi ricca com' era, domandava la terza, e non l'ebbe. Io qui non parlo di scetticismo religioso: parlo dello scetticismo letterario sociale, conseguenza quasi sempre del primo, che ha esiliato tra noi come per ogni dove la Poesia in un angolo del creato, e l'ammira a patto che non n'esca a diffondersi sulla vita; che ha impiantato sul dualismo dell'epoca in oggi morente il dualismo della pratica e della teoria; che applaude sorridendo, come a gioco di ginnasticà intellettuale o a visioni di anime illuse, all'adorazione dell' Ideale, alla religione del sacrificio, dell'aspirazione, dell'entusiasmo, al culto attivo, incessante, dei forti pensieri, delle immense speranze e dell'avvenire: dello scetticismo che giudica freddamente com' opera d'arte l'espressione scritta col vivo sangue del core d'un dolore profondamente sentito, d'un desiderio ch'è forse il segreto di tutta una vita: dello scetticismo che per cancellare nel Poeta l'uomo ha inventato in questi ultimi anni l'artista. E dico che questo scetticismo, oggi ancora prevalente in Italia, condannò CARLO BINI al silenzio. L'anima sua pura, vergine d'ogni ambizione, ritrosa alla lode fino a sdegnarsene, abborriva dall'idea del letterato di professione. L'Arte gli pareva, ed è, l'espressione per simboli del Pensiero d'un' Epoca, che si fa legislazione nella Politica, ragione nella Filosofia, sintesi e fede nella Religione: per lui lo Scrittore, il Poeta, era, com'è per noi, l'apostolo, il sacerdote di quel pensiero, l'uomo che traducendolo in forme, immagini e armonie particolarmente simpatiche, commove il popolo dei credenti a tradurlo in azione. Ma quand'ei

cercava, guardandosi attorno, il popolo di credenti che dovea costituirlo Poeta e Scrittore, ei si ritraeva atterrito. Ricordo le parole ch'ei rispose con voce di mestizia ineffabile a me che andava spronandolo: « perchè non scrivi? » mentre viaggiavamo, nel 1830, a notte innoltrata, sulle alture di Montepulciano: « per chi scrivere? chi crede in oggi? » Fu l'unica volta ch'ei mi parlò, quasi forzato, il suo segreto, e lo stato dell'anima sua. Più tardi, e come s'ei temesse di calunniare i suoi fratelli di patria, andava innocentemente tentando d'ingannare sè stesso e gli altri sulle cagioni del suo silenzio, e diceva, « ch'ei s'era esplorato abbastanza e non si sentiva capace di lunghi importanti lavori ». Ma un' eco di quel grido del povero amico suona tuttavia a chi sa intenderla per entro ad alcune delle poche cose ch'egli dettò, segnatamente nella poesia sull'Anniversario della nascita. Quel canto, ch'egli scrisse col presentimento avverato di una morte precoce, è la condanna più energica ch'io mi sappia del dubbio che s'abbarbicò negli anni più giovani, quando l'ali son più ferme al volo, all'anima sua, e la stancò innanzi tratto in una guerra muta, interna, incessante, fra il desiderio che la chiamava ad espandersi e lo sconforto che la dissuadeva. Ma quel dubbio d' onde venne? D'onde venne a BINI, ditemi, quella esperienza ch' egli chiama la morte del cuore?

CARLO BINI era nato potente; ma il segreto della sua potenza stava, per quanto a me fu dato conoscere, nella commozione. Le armonie che vivevano perenni nell' anima sua avevano, per sciogliersi in suoni, bisogno, come la statua di Memnone, d'un

raggio di sole sorgente. Il suo era ingegno d'Apostolo, non di Profeta. Temprato a sentire la vita nelle sue menome manifestazioni, nelle sue relazioni più delicate, con un cuore traboccante e assetato d'amore, con una mente pronta ad afferrare il Bello, il Grande, il Vero, dovunque apparissero, e a venerarli e a ispirarvisi, BINI avea più ch'altri bisogno, a rivelarsi qual era, d'armonia, d'equilibrio fra l'io e il mondo esterno, fra le tendenze ingenite in lui e il mezzo, l'elemento, in che dovevano manifestarsi: la solitudine dell'anima gli intorpidiva a inerzia le facoltà. In mezzo a un gran Popolo, davanti a un gran fatto, in faccia a una grande Idea incarnata in pochi individui santi d'amore e di sdegno, di pensiero e d'azione, le potenze che nel sopore comune gli dormivano dentro, si sarebbero suscitate tutte in un fremito di vulcano, e avrebbero operato in modo da lasciare ai posteri ben altra memoria di sè che non questa: in una società pigmea d'affetti e d'azioni, com'è perchè non dirlo? la nostra, BINI non trovava simboli e immagini a'suoi concetti, e quasi pauroso di profanarli si tacque. Egli era come quegli augelli, che sotto un cielo sereno empiono l'aria di bei concenti e nella maremma ammutiscono. Forse, un solo essere, uomo o donna, che gli avesse detto: - a tu soffri; che monta? Dio t'ha fatto per questo: i patimenti sono le sue benedizioni. Dio non t'ha creato per te, ma per gli altri. Soffri e persisti: persisti s' anche tu vedessi calpeste dagli uomini le idee che ti fervono dentro: persisti davanti alla morte: persisti davanti alle delusioni ben più terribili che non la morte. Guarda in alto e nel tuo cuore, e dentro ai sepol

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