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PARTE SCIENTIFICA LETTERARIA

MATTEO SCIAHVÂN

È noto quanta parte nella storia degli studii orientali in Occidente hanno quei Siri Maroniti che abitarono fra noi, diffondendo la conoscenza dell'arabo e specialmente del siriaco; basta dire che Giuseppe Simone Assemanni era del loro numero per intendere di quanto sian loro debitori i letterati di Europa. Forse un giorno mi verrà fatto di scrivere, come che sia, la storia di essi; ora ricorderò brevemente uno di questi dotti Maroniti, Matteo Sciahvân, del quale tutti gli amici deplorano la perdita recente.

Matteo Sciahvân nacque, cinque o sei anni innanzi la fine del secolo scorso, in un villaggio del monte Libano chiamato Ghusta, che è nel distretto di Kesravân, quattro ore in circa di cammino al Nord di Beirût (1). Dall'età di sette anni cominciò a frequentare la scuola del suo paese nativo, studiando gli elementi dell'arabo e del siriaco, e a dodici anni andò ad una scuola ancor fiorente nel Libano, quella di 'Ain Varqâ, fondata dal suo concittadino il Metrân Jûsuf Estefân, ragguardevole poeta siriaco morto nel 1822, nipote del Patriarca dello stesso nome anch'esso di Ghusta e poeta, morto nel 1793 (2). Ad 'Ain Varqâ lo Sciahvân oltre a proseguire lo studio dell' arabo e del siriaco, diè opera altresì ad apprendere filosofia e teologia, per lo spazio di sei anni; finchè cioè per ordine del suo vescovo andò in un paesetto presso il monte Sannîn, Mezra'a Kefr Dhibjân, per istruire i fanciulli. Ma poco dopo lasciò quest'officio e se ne tornò in sua casa, ove tuttavia non rimase più di cinque mesi; poichè il buon Patriarca dei Maroniti, Huluv, lo chiamò presso di sè in qualità di jázig'i,

(I) V. la carta del Libano settentrionale nell'eccellente guida di Palestina e Siria, (Baedeker) del prof. Socin, IIa ed. pag. 404. (2) V. Cardâhî, Lib. Thes. 183, 190.

(scrivano o segretario che vogliasi) nel convento di Qannôbîn (Kotvóẞtov), residenza del Patriarca dei Maroniti. Se non che anche qui non rimase a lungo, perocchè il Patriarca dei Siri cattolici, Pietro Giarva, (1) lo volle con se, maestro nella sua scuola di Deir Sciarfa Dar'aun, presso Ghusta. Lo Sciahvân, avutone il permesso dal Patr. Huluv, vi si recò nel 1820 ed insegnò ivi per lo spazio di quattro anni, dopo di che venne a Roma, ed ecco per quale occasione.

Verso la metà del 1824, il Patr. Giarva fu chiamato a Roma dalla Propaganda, perchè desse alcuni schiarimenti intorno alla propria elezione. Il Giarva disse che non poteva venire in persona; mandò quindi in sua vece un ecclesiastico, ma volle che questi fosse accompagnato dallo Sciahvân fino a Roma. Imbarcatisi adunque ambedue a Beirût, e dopo un viaggio che per varî accidenti non durò men di sette mesi, giunsero in Roma il 28 Giugno del 1825, e ben presto lo Sciahvân si pose a studiare l'italiano, esercitandosi a tradurre in arabo qualche operetta ascetica. Poco dopo fu raggiunto in Roma dal Patriarca Giarva, che la Propaganda (a capo della quale era allora il Card. Cappellari, poi Gregorio XVI) volle venisse in Roma personalmente; e lo Sciahvân si diè premura per quel che egli poteva fare, affinchè apparisse chiara la regolarità dell'elezione del Patriarca suo amico, il quale difatti fu confermato dal Pontefice Leone XII nel 1828.

Queste notizie ho tratte da una autobiografia dello Sciahvân, scritta in arabo e posseduta dal P. Dionisio Sauaya, Procuratore generale dei Monaci Basiliani del Libano, il quale me l'ha gentilmente comunicata. Per disgrazia essa è molto breve, poichè lo Sciahvân non l'ha condotta oltre il Settembre dell'anno 1828. In alcune pagine di questa autobiografia, non prive d'importanza per la storia locale, sono narrati i fatti avvenuti nel Libano nell'anno 1820 e i seguenti, sotto il pascià di Acca 'Abd Allâh, da poco succeduto al pascià Suleimân, e il celebre Emiro Bescîr Scihâbî;

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(1) Si chiamano propriamente « Siri cattolici quei giacobiti che verso la meta del XVII sec. e posteriormente, si riunirono con Roma ed ebbero un Patriarca speciale, la cui serie non interrotta, o quasi, cominciò col Patr. Michele Giarva, zio del Giarva di cui qui si parla. Cfr. Mas ad ad-Durr al-Manthum ecc. stampato nel monastero di Sajjida Tâmîs' nel Libano; 1863, pag. 109. ss.

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fatti narrati a lungo nella storia del Monte Libano del Tanûs b. J. Scidjâq (1), e dei quali lo Sciahvân potea a ragione chiamarsi testimonio.

Poco dopo il tempo in cui si arresta l'autobiografia, cioè nell'anno medesimo 1828, entrò lo Sciahvân ai servigii della Propaganda, come ho veduto da alcune carte ivi cortesemente mostratemi; gli venne affidato l'insegnamento dell'arabo e del siriaco e correggeva inoltre le prove di stampa dei libri nelle dette due lingue, i quali si pubblicavano dalla tipografia. Il Patriarca dei Maroniti lo desiderava presso di sè, al Libano, ma dalla Propaganda gli fu scritto nel 1829, perchè desistesse dal voler ciò, e lasciasse in Roma lo Sciahvân, ove utilmente s'adoperava a pro de' suoi connazionali; il che mostra come fin dai primi tempi s'era guadagnata la benevolenza dei superiori. E nell'anno seguente recatosi per cagione di salute a Livorno, la Propaganda si diè premura di fornirlo di lettere commendatizie presso il marchese di Ghantûz Qubbe colà residente e d'illustre famiglia Aleppina. Poco dopo incominciato l'insegnamento nel Collegio Urbano, lo Sciahvân prese ad insegnar l'arabo anche nel Collegio delle Missioni estere (cessato da parecchi anni) in S. Bartolommeo all'Isola. Poichè nel 1829 il Procuratore di questo Collegio, P. Giovanni Topic, poi vescovo di Alessio, chiese un professore di arabo al nominato Card. Cappellari, e questi designò a tale ufficio lo Sciahvân, che lo ritenne per molti anni.

Stabilitosi così definitivamente a Roma, si sposò nel 1840 alla signorina romana Maria Maggi; nell'anno seguente fece per suoi privati interessi, un viaggio al Libano, ma fu presto di ritorno in Roma, dove occupò non interrottamente gli uffici che che aveva nella Propagartda, finchè pochi anni prima di morire, nel Novembre 1874 ne ebbe la pensione.

L'insegnamento che dava lo Sciahvân nel Collegio Urbano, e al quale, come semplice uditore, ho assistito io medesimo per due anni, era invero poco più che elementare. I libri che generalmente spiegava, erano per l'arabo la Grammatica del Mazlûm (2) e la Crestomazia dell' Oberleitner, e per il siriaco la Crestomazia del medesimo autore. Ugualmente la più parte

(1) Akhbar al-ajan, Beirût, 1859, pag. 498, ss. Cf. Lamartine, Souvenirs ecc. pendant un voyage en Orient. Brux. 1835. I, 276, ss. (2) Kitáb al-'usúl as-sarfijjat ecc. Roma, 1830.

delle opere stampate in Propaganda e delle quali lo Sciahvân correggeva le prove, erano operette ascetiche, alcune delle quali tradotte da lui medesimo. Di maggior mole fu la nuova edizione che egli curò della Teologia morale dell' Antoine (1) tradotta dal vescovo Agelûnî melchita (morto in Roma nel 1818) e la ristampa degli ufficii feriali ecc. per i Siri e per i Maroniti. (2). Come vedesi, nella Propaganda Matteo Sciahvân si adoperò principalmente, e com'era naturale, per gli scopi religiosi di quella istituzione, piuttosto che per il vantaggio diretto degli studii orientali. A questi giovò assai più copiando e interpretando codici vaticani, e coll'insegnare a persone estranee al Collegio Urbano. Ricorderò fra' suoi discepoli uno de' più ragguardevoli fra gli orientalisti italiani, il prof. Lasinio (3) e il compianto conte Senat. Miniscalchi, il quale nella seconda parte del così detto Evangeliario Gerosolimitano da lui edito (4) ricorda con affetto e con istima il suo maestro d'arabo e di siriaco, e professa dovergli molto, specialmente in quella edizione. La quale se nel testo, e ancor più nei prolegomeni, non accontenta sempre la critica odierna, è tuttavia una pubblicazione assai utile ed importante, e che molto onora l'Italia. Lo Sciahvân trascrisse altresì dal cod. vatic. il divân di Ibn Hamdîs, il poeta siciliano del quale parecchie poesie ha pubblicato il prof. Amari (5); e nel 1865 per il prof. Gildemeister una recensione abbreviata del 4o libro di Esdra, assai migliore di quella pubblicata dall'Ewald (6). Dell'opera dello Sciahvân si giovò altresì il card. Mai in più occasioni e nominatamente quando pubblicò le lettere festali di S. Atanasio, le lettere cioè colle quali S. Atanasio, com'era offi

(1) Theologia Moralis ecc. denuo correcta ecc. a Matthaeo Sciahuan, Roma, 1834.

(2) Di qualche opera (come la Crestomazia siriaca del Zingerle) la stampa era curata direttamente dagli autori.

(3) Cfr. De Gubernatis, Matériaux ecc. p. 143. Mi si assicura che fu suo discepolo anche il comm. Cusa professore nella R. Università di Palermo, al quale, oltre parecchi altri scritti, debbono gli orientalisti l'edizione dei diplomi greci ed arabi di Sicilia.

(4) Evangel. Hierosolym. ex cod. Vatic. Palaest., ecc. pag. L.
(5) Nella Bibl. Arab. Sic. e Appendice alla B. Ar. Sic.

(6) Esdrae liber quartus ecc. ed. Gildemeister. — Cfr. Ewald, Das vierte Ezrabuch, pag. 48 ss. e Bensly, The missing fragment... of the fourth Book of Ezra, 2, nota 4.

cio del Patriarca d'Alessandria, determinava il principio della

quaresima e il giorno della festa per eccellenza, cioè della

Pasqua. Queste lettere furono ritrovate nel testo siriaco e pub-

blicate, siccome è noto, dal Cureton; di esse fece lo Sciahvân

la traduzione italiana, che poi dal Mai era voltata in latino (1).

Anche nel X volume della Script. vet. nova collectio ebbe assai

parte Sciahvân. Contiene quel volume il testo siriaco e la tra-

duzione di due raccolte di canoni, composte dai due forse più in-

signi dignitarii della Chiesa Nestoriana e della Giacobita, Ebed-

Jes'û metropolita di Nisibi, e il primate Bar-Ebreo (2); raccolte

assai importanti e la seconda anco per il diritto civile, poichè,

come ai nostri giorni, i capi delle comunità cristiane esercita-

vano sui loro soggetti anche una giurisdizione civile. La tradu-

zione di queste due opere pubblicata dal Card. Mai è quella fatta

da Luigi Assemanni, nipote di Gius. Simone, e rimasta inedita;

ma nell'edizione del testo e forse non in questa sola cosa, ebbe

parte Sciahvân. Egli altresì insieme col suo amico Francesco

Mehâseb, maronita, tradusse e curò l'edizione di una parte della,

storia ecclesiastica di Zaccaria vescovo di Mitilene, contenuta nel

medesimo volume (3); e tradusse anco varî brevi frammenti di

Timoteo e Teodosio alessandrini, di Severo antiocheno e d'altri,

raccolti nello Spicilegium Romanum (4).

Matteo Sciahvân è autore di uno scritto contro un'opera

di Monsign. Mazlûm (5), e di una raccolta di favole in siriaco

inedita e posseduta dal prof. Cardâhî il quale mi assicura essere

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