Sonetto VII. agli occhi della mia donna si muove Un lume si gentil, che, dove appare, Si vedon cose, ch' uom non può ritrare Per loro altezza e per loro esser nuove; E da' suoi raggi sopra 'l mio cor piove Tanta paura, che mi fa tremare; E dico: qui non voglio mai tornare; Ma poscia perdo tutte le mie prove, E tornomi colà dov' io son vinto, Riconfortando gli occhi paurusi, Che sentir prima questo gran valore. Quando son giunto, lasso! ed ei son chiusi, E'l desio, che gli mena quivi, è estinto! Però provveggia del mio stato Amore! Vergeblicher Entschluß. Aus meiner Donna Augen dringt ein Licht hervor, so edel, daß, wo es erscheint, man Dinge sieht, die man nicht schildern kann; so wundersam sind sie und so erhaben. Von seinen Strahlen regnet auf mein Herz folch eine Furcht, daß sie mich zittern macht. Nie, sag' ich, will ich dorthin wiederkehren! Doch bald ist jeglicher Entschluß zunichte. Ich kehre dahin, wo ich unterlag, die bangen Augen neu ermuthigend, die eben diese große Macht empfanden. Doch bin ich dort, ach, so sind sie geschlossen; der Wunsch, der sie dahin zieht, ist erloschen! Mag Amor drum für meinen Zustand sorgen! Sonetto VIII. So son si vago della bella luce Degli occhi traditor che m' hanno anciso, Che là, dov' io son morto e son deriso, La gran vaghezza pur mi riconduce; E quel che pare, é quel che mi traluce, M' abbaglia tanto l'uno e l' altro viso, Che, da ragione e da virtù diviso, Seguo solo il disio come mio duce. Lo qual mi mena tanto pien di fede A dolce morte sotto dolce inganno, Ch' io lo conosco sol dopo 'l mio danno. E' mi duol forte del gabbato affanno; Ma più m' incresce, ahi lasso! che si vede Gefährliches Verlangen. Ich sehne mich so nach dem schönen Lichte der falschen Augen, welche mich getödtet, Das was sich ganz und was sich halb mir zeigt, zu füßem Tode unter süßem Truge, daß ich erst nach dem Schaden ihn erkenne. Wohl schmerzt mich bitter das verhöhnte Leiden, doch mehr noch kränkt mich's ach! daß sich das Mitleid mit mir um seinen Lohn betrogen sieht. Sonetto IX. oichè sguardando il cor feriste in tanto Di grave colpo, ch' io batto di vena, Dio, per pietade or dagli alcuna lena, Che 'l tristo spirto si rinvegna alquanto! Or non mi vedi consumare in pianto Gli occhi dolenti per soverchia pena, La qual si stretto alla morte mi mena, Che già fuggir non posso in alcun canto! Vedete, donna, s' io porto dolore, E la mia voce s'è fatta sottile, Chiamando a voi mercè sempre d' amore! Es' el v' aggrada, donna mia gentile, Che questa doglia pur mi strugga il core, |