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piuttosto una fatica che un diletto.

La scarsità delle fonti, la cronologia difficile, l'ermeneutica capricciosa obbligano a lunghe indagini, a laboriose induzioni, per istabilire quello che si suole chiamare la verità storica e che, nella maggior parte dei casi, si limita ad essere la congettura più verosimile. E d'altra parte, urtano così fieramente coi nostri i costumi, i sentimenti, le leggi di quell'epoca buia, che il piacere dei paragoni scompare, e la stessa immaginazione si stanca a cogliere e ricomporre la continuità dei contorni in quelle figure, di cui la storia non può dare generalmente che tratti incompleti, interrotti, sfumati nel tipo morale e nelle particolarità dell'azione.

Però, v'è un aspetto del problema che può mitigare la fatica di questo studio. È una soddisfazione di pensiero che non può sembrar vana al filosofo, se anche lascia indifferente l'artista. Poichè nello studio delle origini assai più che nello spettacolo delle decadenze l'orgoglio dell'umanesimo trova ragion di affermarsi.

Le origini non sono altro, storicamente, che i periodi nei quali le istituzioni umane, di qualunque natura, passano dallo stadio anarchico ad una forma organica. Ora, difficilmente questa trasformazione si manifesta, senza l'impulso della virtù. Virtù d' uomo o virtù di popolo; genio di individui o istinto di moltitudini; energia d'ini ziative, quand'anche macchiate dalla fatalità del delitto, o devozioni di concordia, quand' anche rese inefficaci da difetto di previdenza.

Il fenomeno può dirsi costante, in quanto si riferisca alle origini dei poteri pubblici, siano monarcati, comuni o repubbliche. Sembra quasi che la Provvidenza abbia voluto imprimere a questi periodi, che rasentano in certo modo lo sforzo della creazione, quel carattere di grandezza che necessariamente segue o circonda i creatori. Così, non si può pensare alle origini della monarchia francese senza risalire a quel Carlo Martello, che rimane nelle fantasie popolari come il tipo del guerriero nazionale invincibile. Ruggero il nor

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manno e Umberto Biancamano dominano della loro fiera e simpatica personalità le origini dei due maggiori principati italiani. Nè la fondazione della monarchia spagnola può disgiungersi da quel generoso nucleo di patrioti, raccoltisi con Pelagio sui monti baschi a costituire il battaglione sacro della resistenza nazionale. Nè la storia grande della repubblica di Venezia può farci obliare quell'energico esodo di pescatori che giurano di mantenere, sulle palafitte di Rialto, la loro libertà. insidiata dalle orde conquistatrici della terraferma.

sopratutto nel secolo undecimo che l'Italia vede sorgere a vita organica parecchie delle sue agglomerazioni politiche. Prima del mille, qualche tentativo di ricostituzione serve quasi unicamente a confermare lo stato di dissoluzione in cui langue tutta la penisola. Non s'è ancora dimenticata l'ultima violenza delle invasioni barbariche ed ecco sopraggiungere a disgregare ogni compagine sociale la preoccupazione del finimondo. Le lotte civili, accanite negli ultimi tempi, vanno perdendo d'intensità, non perchè scemi l' abitudine delle offese, ma perchè tutti sono intenti al pericolo della fine suprema, che le profezie popolari hanno segnalato.

Come il feudo era stato lo strascico della conquista, così il beneficio ecclesiastico diventa lo

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