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Ebbene, il pubblico ha sempre fretta. Vuol conoscere il libro e non l'autore. Questi gli sorride dietro le frasche della prefazione, gli strizza l'occhio e gli dice: guardami come son bello! Ma il lettore vuole il libro e non le smorfie: non cura gli sfoghi del povero autore che ha tanto bisogno di convincere il prossimo della perfezione dell'opera sua, di perorare, di persuadere; ma tira dritto, salta le prime pagine serenamente e comincia il libro. L'autore insiste, ma l'altro fa di peggio. Di qui una guerra accanita, di stratagemmi, di imboscate, d'insidie; qua per immergere proditoriamente un'acutissima prefazione nel cranio del prossimo, là per schivare l'orribil colpo e punire degnamente lo scellerato aggressore. Le peripezie della lotta sono varie e la fortuna alterna. Oggi, per esempio, le sorti volgono contrarie alla prefazione; il Dio delle battaglie sorride ai lettori. Vedete la poca fortunata resurrezione del prologo nelle commedie. Quando gli eventi della guerra favorirono gli autori, costoro infierirono sui miseri vinti ed inflissero loro il supplizio di questi prologhi che narrano anticipatamente la commedia o le lodi di chi la fece. Mutate le sorti, il prologo fu sepolto a suon di fischi. Ma eccolo, cadavere quatriduano, uscito dalla fossa, cosi sfiaccolato e bastonato che non c'è bisogno d'esser Profeti o Sibille per predire il suo prossimo ritorno

alla pace del sepolcro. Vedete anche il preludio dei drammi per musica, il quale, o arieggia alla concisione greca o si stacca dall'opera, sotto forma. di sinfonia, e tende a vivere di vita propria e non parassitaria. Così abbiamo opere senza preludio e sinfonie senza opera, come segno certo della decadenza della prefazione e dell'abominio in che è tenuta dal pubblico.

Ma gli autori sono costanti, tenaci, testardi. Come i Pelli Rosse camminano cautamente nel sentiero di guerra, si appiattano alle cantonate dei librai e scuoiano senza pietà il povero ingenuo che cade nell' insidia. O si infingono come l'avvelenatore ed aspergono di falso liquore gli orli del vaso, cercando di fare inghiottire la prefazione sotto il nome di preludio, di preambolo, di esordio, di proemio, di avviso al lettore. O commettono ad altri il mandato di perpetrare il misfatto premettendo al libro una lettera di amico illustre o le lunghissime due parole dell' editore. Non v'è furberia che non sia stata adoperata, non v'è lacciuolo che non sia stato teso. Il Manzoni inventò un brano di cronaca vecchia. Altri più basso e più tardi, trovò la gherminella dell'amico che pubblica i versi dell'amico morto ed abusò di tutti i più sacri sentimenti di pietà e di compianto pur di far scoccare l'indegna trappola della prefazione.

Quando il lettore c'è caduto una volta, inferocisce, e vede dappertutto il fantasma della prefazione che lo perseguita. Poche prefazioni si sono salvate dalla fiera ecatombe, e si sono salvate perchè in fondo non sono prefazioni. Il prologo del Decameron è il racconto della peste, l'introduzione all'Enciclopedia una esposizione di principii filosofici, il proemio al Cromwel un codice di precetti d'arte. Si sono salvate, prima, certo, perchè belle, poi, certissimo, perchè impersonali. Infatti possono stare assolutamente senza il libro e non sono prefazioni che pel posto occupato nella paginatura. Tutte le altre sono involte. nell'odio e nella maledizione, e il lettore che si sente inseguito dall'autore, gira alla larga, cogli occhi sospettosi; indovina il nemico, come la colomba lo sparviere; fiuta il pericolo da lontano, lo fugge coll'anima guasta e il fegato avvelenato, e non ha abbastanza vituperi, oltraggi ed anatemi pel nemico che lo tribola e lo caccia, il fratricida Caino!

Ma se gli odi e le vendette fra le parti belligeranti sono giunte a tale che per poco non si danno al cannibalismo, considerate che si tratta sempre di una prefazione scritta, di poche carte stampate che si possono non leggere o sopprimere, se così piace. Ma che avverrà quando la prefazione incarnata e fatta uomo, spinge la temeraria cru

deltà fino a presentarsi ad un pubblico di persone ben educate e gentili quanto si voglia, ma non meno sensibili ai tormenti, non meno dolorosamente eccitabili al martirio di un preambolo? È il mio caso. Io sono qui l'odiosa, l'orribile, la spaventosa prefazione, cosciente del male che fa, e dell' avversione che desta. Io sono la prefazione eseguita contro ogni ragion tecnica dell'arte, cioè fatta prima dell'opera e non dopo. Io sono la vit tima, ahimè non innocente! che gli autori hanno designato al sagrificio, la mascula Ifigenia che colla sua perdita deve propiziare i venti alle altrui navi. Si cercava Curzio che si gettasse nella voragine, Orazio al ponte, Muzio Scevola all'ara. Si volle uno che morisse pel popolo tutto, un candido agnello, una bianca colomba da offrire al Nume irato su questo altare; ed eccomi, candido agnello, bianca colomba, accettante la passione, interceditrice per tutti.

Che se la giusta fama della cortesia vostra non mi avesse persuaso, avrei respinto con orrore questo ufficio spietato di prefazione viva. D'altronde ricordai il detto di uno Svizzero arguto, secondo il quale l'amore prima del matrimonio è una prefazione troppo corta ad un libro troppo lungo, e pensai di esser breve anch' io come l'amore, per conciliarmi la vostra benignità. Quanto al matrimonio ci penserete voi ed i miei successori, con

tentandomi di augurarvelo felice e ricco di numerosa prole.

Comincia dunque così un ciclo di letture in questa gentile e gloriosa Firenze, destinata, senza dubbio, dal suo fato a far attecchire finalmente in Italia questo genere d'arte e di coltura. Pur troppo, finora, presso di noi, anzi in tutti i paesi latini, i tentativi fatti non ebbero che risultati mediocri, mentre nei paesi nordici, e specialmente anglosassoni, la lettura e la conferenza ebbero ed hanno una vita vivace e lodata. Di chi la colpa? Un po'di tutti; dei lettori e del pubblico. I primi furono per lo più troppo inamidati, troppo accademici, e il pubblico troppo esigente, troppo facile alla stanchezza. Quest'arte deve ancor fiorire e fruttificare tra noi, e senza dubbio la palestra che una colta società apre oggi ai migliori ingegni italiani, gioverà a far amare questi ludi minervali, e la prova sarà vinta. Poichè, non è già che le razze germaniche siano. dotate di maggior forza di resistenza fisica e morale, da sopportare letture di maggior peso che gli omeri nostri non possono tollerare. Non è che gli uomini del settentrione, abituati fino dalla puerizia ad una ragionevole ginnastica del corpo e della mente, ne traggono muscoli più rigidi e nervi più tesi contro l'urto e lo sforzo della seccatura. No,

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