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naldo mori per questo peccato, e le sue ceneri furono gettate nel Tevere, e quel sogno di rinnovata repubblica si dileguò con esse.

Ma riapparve più tardi e i papi non ebbero così presto quieto e sicuro dominio sulla città riottosa. Quel sogno era la visione di un passato incancellabile; era la figurazione di una speranza che sempre rinasceva negli animi, li consolava e incitava. Leone IV la significò in un verso, quando sulla porta principale della nuova città che da lui prese il nome fece scrivere:

Roma caput orbis, splendor, spes, aurea Roma.

Come la stessa città delle genti, quel sogno sembrava immortale: esso turbò i sonni a molti pontefici; esso accese e sollevò gli animi di Cola di Rienzo e di Stefano Porcari. Francesco Petrarca n'era irradiato quando ricordava

L'antiche mura ch'ancor teme ed ama

E trema 'l mondo quando si rimembra
Del tempo andato e indietro si rivolve.

Dileguato quel sogno, Roma quetò, e non fu più per secoli, se non un comune amministrativo. Essa obbedi ai pontefici; ma come la potestà loro cresceva su di essa, così scemava sul mondo; e intanto per essi e per lei maturavano nel remoto dei tempi novelli destini.

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Signore e Signori,

Di settimana santa è bene entrare in chiesa e riandare col pensiero la storia delle più antiche eresie, non fosse altro per sapere se resti in noi qualche vestigio degli antichi errori. E se fastidio vi prenderà di questa corsa vertiginosa per l'ampio giro di più che due secoli, non incolpate me, vittima innocente, ma chi scelse insieme e il subbietto della conferenza e il conferenziere, cadendo senza dubbio in eresia doppia e doppiamente infelice. E dico male subbietto, chè l'argomento nostro non ne ha uno, ma due non che disparati siffattamente opposti che molti di voi si saranno dimandati con meraviglia a quale bell'umore sia caduto in mente di metterli insieme. Nè avete torto perchè gli ordini religiosi furono sempre te

nuti per il più saldo presidio di quelle stessa Chiesa, che l'eresia tendeva da più parti di sovvertire, anzi alcuni di questi ordini sursero appunto per combattere corpo a corpo e perseguitare a morte gli eretici. Nè fa d'uopo citare i frati predicatori o domenicani, che in grazia di un bisticcio etimologico non disdegnavano di chiamarsi cani del Signore, domini canes, e quali bracchi, fiutanti da lontano l'eresia, sono infatti effigiati in uno dei grandi affreschi del Cappellone degli Spagnuoli.

Ma non ostante questi contrasti, che certo a nessuno verrà in mente di revocare in dubbio, altri potrebbe scoprire qualche non lontana analogia tra il movimento ereticale e la riforma degli ordini monastici, principalmente in quel torno di tempo, di che io debbo intrattenervi, vale a dire nel corso dei secoli decimosecondo e decimoterzo. In primo luogo gli ordini monastici non dissimulavano la loro opposizione al clero secolare, il quale nella confusione ognor crescente del principato civile con la dignità ecclesiastica, sempreppiù si allontanava dai precetti del Vangelo; e non solo il papa aveva un dominio temporale, ma molti vescovi, specie in Germania, erano anche principi dell'impero; e non di rado quella mano che doveva levarsi a benedire collo stesso segno di croce amici ed inimici, brandiva

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