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Guinizelli, ch'egli salutò padre suo nell' arte. Ma poi spiccato il volo divino nel campo infinito dell'ideale, parve trasumanarsi, e dalle sue labbra sgorgarono le note più soavi che abbia la lirica umana di tutti i tempi e di tutti i paesi. La donna si mutò in angiolo, e con angelica lingua fu salutata dal suo poeta:

Tanto gentile e tanto onesta pare
La donna mia, quand'ella altrui saluta,
Ch'ogni lingua divien tremando muta,
E gli occhi non ardiscon di guardare.
Ella sen va, sentendosi laudare,
Benignamente d'umiltà vestuta,
E par che sia una cosa venuta
Di cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi si piacente a chi la mira
Che dà per gli occhi una dolcezza al core,
Che intender non la può chi non la prova.

E par che dalle sue labbra si muova,
Uno spirto soave e pien d'amore
Che va dicendo all'anima: sospira.

Ogni dolcezza, ogni pensiero umile
Nasce nel core a chi parlar la sente,
Ond'è beato chi prima la vide.

Quel ch'ella par quando un poco sorride,
Non si può dicer nè tenere a mente,

Si è nuovo miracolo gentile.

Miracolo nuovo sono in verità questi versi, nei quali è, come il Carducci ha detto, dell' afflato divino.

E colla lirica Dantesca i nuovi destini della letteratura italiana furon segnati.

Povere le nostre origini, poverissime, se paragonate colla ricchezza d'altri popoli, all' Italia toccò la gloria d'infondere nei varii generi letterari il sacro aroma che dona l'immortalità, il soffio avvivatore dell' arte. Le scarne e torbide visioni oltremondane divennero sotto la mano di Dante il più grande poema delle letterature moderne; la greggia novella si avvolse maestosa nel peplo Boccaccesco; la lirica ebbe nel Petrarca il suo cesellatore stupendo; la monotona canzone di gesta si tramutò nelle meravigliose fantasie del Pulci e dell'Ariosto. E Firenze, la vostra bella Firenze, ha il vanto di essere stata alla letteratura d'Italia madre e nutrice: essa che le diede la sua lingua, che nel secolo quattordicesimo fu il focolare del pensiero e dell'arte, e che poi, accordando gli esempi antichi al sentimento moderno, assimilando le forme classiche all'arte volgare, si fece il tempio di Vesta delle tradizioni paesane; essa, la gran signora dell'intelligenza, che prodigò regalmente al mondo i tesori del Rinascimento. Si direbbe quasi che di questi solenni destini fosse presago quel povero rimatore Siculo, che, quando

appena spuntavano i primi e pallidi albori della

nostra letteratura, mandava alla Toscana il suo saluto:

Va, canzonetta mia,

Salutami Toscana,

Quella ched è sovrana,

Ed in cui regua tutta cortesia.

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