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Boccaccio e da Benvenuto da Imola (Comment. in Comoed. Dant. Vol. I. Antiquit. Ital. p. 1036), tratto dalla famiglia della moglie di Cacciaguida, ch'era degli Alighieri di Ferrara, come si accenna dal medesimo Dante nel canto XV del Paradiso. Nè il Pelli si contentò di scrivere soltanto degli antenati, ma scrisse anche di tutti i discendenti di Dante, la cui famiglia pruova essere finita in Ginevra figlia di Pietro, maritata l'anno 1549 nel conte Marcantonio Sarego Veronese.

le

Presso il sullodato Pelli si veggano parimenti

pruove dell' innamoramento di Dante con Bice ossia Beatrice figlia di Folco Portinari, cominciato mentre ambedue erano in età di circa dieci anni, e durato fino alla morte di essa, seguita nel 1290, perciocchè comunque io non creda, che l'amor di Dante fosse sol misterioso, e che sotto nome di Beatrice intender solo si debba, come altri han pensato, la Sapienza, o la Teologia, è certo però, come confessa il medesimo sig. Pelli, che Dante nelle sue opere, e nella sua Commedia singolarmente, ha parlato di questo suo amore in termini così enimmatici, e che sembrano spesso gli uni agli altri contrari, ch'è quasi impossibile l'adattarli tútti nè al senso allegorico nè

al letterale. Non giova dunque il volere indagare ciò ch'è avvolto fra tenebre troppo folte, l'aggirarsi fra le quali sarebbe nojosa al pari che inutil fatica.

Se Dante ne' primi suoi anni fu innamorato, ei seppe congiugner all' amore l'applicazione agli studi delle gravi scienze non meno che dell' amena letteratura. Brunetto Latini gli fu maestro, ed egli era uomo a poterlo istruir negli studi d'ogni maniera, e molto ancora potè giovargli l'amicizia che con lui ebbe Guido Cavalcanti. Il Pelli non fa menzione di alcun viaggio, che Dante facesse per motivo di studio ne' primi anni della sua gioventù, e solo accenna (§. 14.) il recarsi ch' ei fece, mentre era esule, secondo Mario Filelfo, alle scuole di Cremona e di Napoli, e, secondo Giovanni Villani, a quelle di Bologna e di Parigi. Anche il Boccac-. cio il conduce a Bologna e a Padova in tempo d'esilio. Ma parmi degno di riflessione cio che Benvenuto da Imola narra, cioè che ancor giovane e prima dell' esilio egli andossene alle università di Bologna e di Padova, e poi, essendo esule, a quella di Parigi: Quum Auctor iste in viridiori ætate vacasset Philosophiæ naturali et morali in Florentia, Bononia, et Padua, in matura ætate jam exul dedit se sacræ Theologiæ

Parisiis (loc. cit.) E riguardo a Bologna, altrove così ha Benvenuto. Auctor notaverat istum actum, quum esset juvenis Bononiæ in studio (ib. p. 1135. E vuolsi avvertire che, benchè il Villani sia più antico, e perciò più autorevole di Benvenuto, questi però, essendo stato, come egli stesso ci dice (ib. pag. 1083.), per dieci anni in Bologna, ed avendo ivi letta publicamente la Commedia di Dante, doveva di ciò essere meglio istruito che non il Villani e il Boccaccio. Inoltre lo stesso Benvenuto ci narra altrove (ib. p. 1085), che Dante conobbe in Bologna il miniatore Oderigi da Gubbio. Or questi era già morto, come abbiamo provato (St. della Lett. It. t. 4. p. 469.), l'anno 1300, innanzi all'esilio di Dante e convien dire perciò, che Dante prima del detto anno fosse stato in Bologna. Ella è però cosa strana, che autori vissuti nel secolo stesso di Dante, quai sono il Boccaccio, il Villani e Benvenuto da Imola, sien tanto discordi ne' lor racconti. Ma qualunque fosse il luogo, in cui Dante attese agli studi, è certo ch'ei coltivolli con successo soprammodo felice, come le opere da lui scritte ci manifestano. Da se medesimo apprese le leggi della poesia italiana, come egli stesso ci accenna (Vita nuova t. 4. dell' Op. ed. Zatta p. 7.); ma la sua

amicizia col Cavalcanti, col Latini e con altri poeti di quell' età, dovette recargli non poco ajuto. La sua Commedia ci mostra, quanto studio avesse egli fatto nella filosofia, quale allora insegnavasi, e nella teologia. Amò anche Dante le arti liberali, e ne è pruova l'amicizia da lui avuta col mentovato Oderigi, e ancor col celebre Giotto (Benven. l. c.); anzi, come afferma il medesimo Benvenuto (ib. p. 1147.), essendo egli di sua natura assai malinconico, per sollevarsi dalla tristezza godeva assai del suono e del canto, ed era grande amico de' più celebri musici e sonatori che fossero in Firenze, e singolarmente di un certo Casella, musico ivi allora pregiato assai, e da lui rammentato con lode nella sua Commedia (Purg. c. 2. v. 88. ec.) Il sig. Pelli (§. 8.) si sforza di persuaderci che Dante sapesse di greco, e ciò pure avea già affermato monsig. Girolamo Gradenigo (Lettera intorno agl' Italiani, ec.) Ma questo secondo scrittore poscia modestamente ritrattò il suo parere ( Della Letterat. greco-ital. c. 10.) mosso principalmente dall'autorità di Giannozzo Manetti, ch' espressamente nega tal lode a Dante, e da più altre ragioni che egli stesamente viene allegando. E certo le pruove che il Pelli ne adduce, cioè il nominar che Dante spesso Omero ed altri poeti greci, e l'usar

fa

pure sovente di parole greche, non mi sembran bastevoli a dimostrare ch'ei sapesse di greco; poichè de' primi ei potea parlare per fama, e potea aver trovate le seconde presso altri scrittori. Francesco da Buti, che nello stesso secolo XIV comentò Dante, racconta (V. Mem. della Vila di Dante. §. 8.) che questi essendo ancor giovane si fece frate nell'Ordine de' Minori, ma che prima di farne la professione, ne depose l'abito; la qual circostanza però non si accenna da verun altro scrittore della Vita di Dante.

Mentre in tal maniera coltivava Dante il fervido e penetrante ingegno, di cui la natura aveagli fatto dono, ei volle ancora servir la patria coll'armi, e trovossi a due battaglie, una contro gli Aretini nel 1289, l'altra nel 1290 contro i Pisani (ib.), e nell' anno seguente prese in sua moglie Gemma di Manetto de' Donati (ib. §. 9). Leonardo Bruni, nella sua Vita di Dante, dice generalmente, che fu adoperato nella Repubblica assai. Le quali parole più ampiamente si spiegano da Mario Filelfo, citato dal Pelli (ib.), col dire ch'ei sostenne in nome de' Fiorentini quattordici ambasciate, cioè a' Sanesi per regolamento de' confini, a' Perugini per liberare alcuni suoi concittadini che ivi eran prigioni, a' Vencziani per istringer con essi alleanza, al re di Na

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