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SONETTO XVI.

Effetti della perfettissima bellezza di Beatrice.

m

Vede perfettamente ogni salute,
Chi la mia donna tra le donne vede:
Quelle che vanno con lei, son tenute
Di bella grazia a Dio render merzede.

E sua biltà è di tanta virtute,
Che nulla invidia all' altre ne procede;
Anzi le face andar seco vestute
Di gentilezza, d'amore e di fede.

La vista sua fa ogni cosa umile,
E non fa sola se parer piacente;
Ma ciascuna per se riceve onore.

Ed è negli atti suoi tanto gentile, Che nessun la si può recare a mente, Che non sospiri in dolcezza d'Amore'.

Questo Sonetto ha tre parti. Nella prima dico che tra gente questa donna parea più mirabile. Nella seconda dico siccome era giojosa la sua compagnia. Nella terza dico quelle cose le quali operava in altrui. (DANT. V. N.)

m

CANZONE III,

cominciata per lodare Beatrice, interrotta per la sua morte.

Si lungamente m'ha tenuto Amore,

E costumato alla sua signoria,
Che così, com' el m'era forte in pria,
Così mi sta soave ora nel core.
Però quando mi toglie sì il valore,
Che gli spiriti par che fuggan via;
Allor sente la frale anima mia
Tanta dolcezza, che 'l viso ne smore.
Poi prende Amore in me tanta virtute,
Che fa gli spirti miei andar parlando:
Ed escon fuor chiamando

La donna mia, per darmi più salute:
Questo m'avviene, ovunch' ella mi vede,
E sì è cosa umil, che non si crede.

Quomodo sola sedet civitas plena populo : facta est quasi vidua
domina gentium. Io era nel proponimento ancora di questa
Canzone, e compiuta n'avea questa soprascritta Stanza ; quan-
do il Signore della Giustizia chiamò questa gentilissima, a
gloriare sotto la insegna di quella Reina benedetta, Maria, lo
cui nome fu in grandissima reverenzia nelle parole di questa
Beatrice beata.
(DANT. V. N.)

CANZONE IV.

IN MORTE DI BEATRICE.

'Gli occhi dolenti per pietà del core Hanno di lacrimar sofferta pena;

Sicchè per vinti son rimasi omai:

Ora, s'i' voglio sfogare il dolore,
Ch' appoco appoco alla morte mi mena,
Convienmi di parlar traendo guai
E perch'el mi ricorda, ch' io parlai
Della mia donna, mentre che vivia,
Donne gentili, volentier con vui;
Non vo' parlare altrui,

Se non a cor gentil che 'n donna sia :
E dicerò di lei, piangendo pui,
Che se n'è ita in ciel subitamente;
Ed ha lasciato Amor meco dolente.

1 Poichè gli mici occhi ebbero per alquanto tempo lacrimato, e tanto affaticati erano che io non poteva sfogare la mia tristizia; pensai di volerla sfogare con alquante parole dolorose; e però proposi di fare una Canzone, nella quale piangendo ragionassi di lei, per cui tanto dolore era fatto distruggitore dell'ani ma mia; e cominciai: Gli occhi dolenti. (DANT. V. N.).

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Ita n'è Beatrice in l'alto cielo,

Nel Reame, ove gli Angeli hanno

pace:
E sta con loro; e voi, donne, ha lasciate.
Non la ci tolse qualità di gielo,
Nè di calor, siccome l'altre face:
Ma sola fu sua gran benignitate;

Che luce della sua umilitate.

Passò li cieli con tanta virtute,
Che fe' maravigliar l'eterno Sire;
Sicchè dolce desire

Lo giunse, di chiamar tanta salute:
E fella di quaggiuso a se venire;
Perchè vedea, ch' esta vita nojosa
Non era degna di sì gentil cosa.

Partissi de la sua bella persona,
Piena di grazia, l'anima gentile;
Ed essi gloriosa in loco degno.
Chi non la piange, quando ne ragiona,
Cuore ha di pietra, sì malvagio e vile,
Ch' entrar non vi può spirito benegno:
Non è di cuor villan sì alto ingegno,
Che possa immaginar di lei alquanto;
E però non gli vien di pianger voglia.
Ma vien tristizia, e doglia
Di sospirare, e di morir di pianto;
E d'ogni consolar l'anima spoglia,

Chi vede nel pensiero alcuna volta,
Qual ella fu; e com' ella n'è tolta.

Donanmi angoscia li sospiri forte,
Quando 'l pensiero nella mente grave
Mi reca quella, che m'ha 'l cor diviso.
E spesse fiate pensando alla morte,
Me ne viene un disio tanto soave,
Che mi tramuta lo color nel viso.
Quando lo immaginar mi vien ben fiso,
Giugnemi tanta pena d'ogni parte,
Ch' io mi risquoto per dolor ch'io sento;
E sì fatto divento,

Che dalle genti vergogna mi parte:
Poscia piangendo sol nel mio lamento,
Chiamo Beatrice, e dico: or se' tu morta?
E mentre ch' io la chiamo, mi conforta.

Pianger di doglia, e sospirar di angoscia,
Mi strugge il core, ovunque sol mi truovo,
Sicchè ne 'ncrescerebbe a chi 'l vedesse.
E quale è stata la mia vita, poscia
Che la mia donna andò nel secol nuovo;
Lingua non è, che dicer lo sapesse.
E però, donne mie, perch' io volesse,
Non vi saprei ben dicer quel che io sono;

— Sì mi fa travagliar l' acerba vita;

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