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Tito Livio afferma, che la Toscana fu celebre e potente per mare e per terra assai prima di Roma. Essa diede il nome al mare inferiore, che dicesi Tosco, ed al superiore Adriatico, da Adria colonia etrusca. I popoli dell'Etruria dominavano dall' una all' altra parte dell' Appennino, nelle Alpi e su quasi tutta l'Italia. Dividevasi essa in tre parti: Circumpadana, Campana e Media: ma più tardi rimase circoscritta a più stretti confiui, cosicchè l'odierna Toscana riducesi alla sola media, dalla foce della Magra a quella del Tevere. In questo tratto di territorio comprendevansi le più illustri città degli etruschi, commemorate ed encomiate dagli antichi scrittori. Luni, da cui prende il nome la Lunigiana, era nell'ultima estremità occidentale, d'onde, piegando a Oriente, incontravasi Pisa, città allora marittima. Poi trovavansi i lidi volterrani e la non lontana Volterra. Per l'analogia di nome con la selva Vetulia, pare, che Vetulonia fosse presso il piccolo fiume Cornia; nè mancano archeologi, che ne segnino il luogo colà dove tuttora si vedono, poco lungi dalle rovine di Populonia, le vestigia di un'antica città. Era Vetulonia tra le più illustri dell' Etruria: il comodo e bel porto n'è descritto da Strabone: i romani appresero da lei la pompa dei fasci consolari. Populonia fu distrutta ai tempi di Silla: più volte in seguito risorse e ricadde. Non lungi è l'antica Massa Veternese, patria di Gallo Cesare: oggidì la si nomina Massa di Maremma. Di là del prossimo promontorio era l'antico porto di Faleria. Tra l'Ombrone e il lago di Prile, oggidì di Castiglione, poco lungi dal mare, sorgeva Roselle, rinomata tra le dodici città etrusche. Talamone si vuol fondata dai favolosi Argonauti. Procedendo poscia a scorrere la spiaggia toscana, incontrasi il

monte Argentino, attaccato al continente per una lingua di terra, su cui sorgeva Cossa, deserta sino dai tempi di Rutilio, il quale perciò disse favoleggiando, che un' invasione di topi ne aveva scacciato gli abitatori. Presso il fiume Marta esisteva Gravisca; poi Centumcellae, ossia il porto di Trajano, e la villa di questo imperatore, tanto encomiata da Plinio. Finalmente il Tevere, scaricandosi in mare, terminava la spiaggia etrusca.

La nazionale rappresentanza degli etruschi era formata da dodici delle primarie città: ma non può dirsi con precisione quali fossero. Con moltissima probabilità potrebbonsi annoverare le seguenti: 1. Corito, che n' era certo la più grande e la più potente, dalle cui rovine sorsero Cortona ed Arezzo, e di cui lodò Vitruvio le mura paragonandole a quelle di Atene:2. Vejo, discosta dodici miglia da Roma sua gloriosa rivale, sita forse colà dov'è ora Scrofano, encomiata per la sua grandezza da Dionisio di Alicarnasso, il quale la disse non inferiore ad Atene :- 3. Chiusi, che gli etruschi nominavano Camars, ed i latini Clusium, celebratissima per gl' intagli di pietre dure: 4. Bolseno, detta anticamente Vulsinium, la quale diede il nome al lago, che le sta d'appresso, illustrata o piuttosto oscurata dal natale di Seiano, rinomatissima per gli scultori; siccome Tarquene o Tarquinia primeggiava per i lavori in plastica; Perugia e Cortona pei bronzi:- 5. Argilla, detta di poi Cere, e presentemente Cervetere, che stava su di un colle discosto quattro miglia dal mare, commemorataci da Virgilio: 6. Luni: 7. Popu8. Vetulonia: 9. Roselle: -10. Cossa: - - 11. 12. Faleria, il cui sito è incerto. Forse, invece di

lonia: Fiesole:

Vol. XVI.

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taluna di queste, formava parte della nazionale confederazione Gravisca, e forse anche Massa. Volterra poi, la quale si reputa più antica di tutte queste, non è annoverata tra le città etrusche, siccome neppur Pisa, probabilmente perchè la differente sistemazione del loro governo le fece riguardare come straniere all'etrusca costituzione.

Queste città formavano un governo federativo. Ciascuna popolazione aveva il diritto da per sè di far la guerra e la pace, di vivere in repubblica, di crearsi capo o re o lucumone, di unirsi con altra città e far con essa la guerra. Pare, che vi fosse anche un capo supremo e generale, che avesse una qualche autorità sopra tutti; e questo dicevasi larte: ed è opinione degli eruditi, che lo si eleggesse soltanto nei casi urgenti o di guerra o di discordie intestine. Fu rinomatissimo tra gli etruschi il re Eolo, da cui, per la sua destrezza nella navigazione e nel farsi padrone delle isole adjacenti alle spiagge toscane, derivò forse la favola del padre dei venti, con ugual nome appellato e di fatto la maravigliosa grandezza della potenza navale degli etruschi ci è descritta ed encomiata da Erodoto e da Tucidide. Anche Mezenzio diventò famoso tra gli etruschi sovrani, a cagione della sua strana crudeltà, commemorata da Virgilio, di attaccare ai vivi per castigo i corpi dei morti: lo che per altro non fu punto invenzione di Mezenzio, ma fu una pena usata presso a quei popoli anche prima di lui.

Roma incominciò, sino dal suo nascere, ad essere in guerra con gli etruschi: Romolo stesso portò le armi contro i vejenti. La città di Fidene, ch'è cinque sole miglia distante da Roma, ne fu spesse volte la cagione. Romolo bensì la

conquistò; ma ben presto sotto Tullo Ostilio ella si ribellò e si diede ai vejenti. Continuarono le guerre anche di poi; le più feroci furono sotto Tarquinio Prisco, ai cui gli etruschi dovettero in fine umiliarsi. Si unirono poscia ai sabini, e n'ebbero la peggio; e sempre a cagione della contrastata Fidene.

Più tardi ci ricordano gli storici la protezione, che Porsenna re toscano accordò all'espulso Tarquinio il superbo; le sconfitte, che sostennero i romani dagli etruschi; il coraggio di Orazio Coclite ; l'assedio di Roma, postovi dalle soldatesche del re Porsenna; l'eroismo di Muzio Scevola; l'alleanza, che il re toscano, vinto dalla magnanimità di questo eroe, strinse con Roma. Nel continuato avvicendarsi di vittorie e di sconfitte, or dall' una parte ed ora dall'altra, ci si mostra Roma sempre alle mani con la Toscana, dall'anno XXIX sino al CCXLVII della sua esistenza.

Dopo ventitrè anni di pace, rinacquero le discordie tra Vejo e Roma. Rinnovossi quindi la guerra; copioso fu il sangue versato d'ambe le parti; ora vittoriosi gli etruschi, ora i romani. Finalmente, nell'anno 278 di Roma, fu conchiusa una pace, che durò altri quarant'anni. Ma si riaccese ancora, nel 318, il fuoco della discordia, e tra una lunga serie di scambievoli vittorie e di sconfitte, le due nazioni inondarono, per ben ottant'anni, del proprio sangue il suolo romano e l' etrusco. E sebbene fermassero di comune accordo una tregua di altri quarant'anni ancora, nel chiudersi del allestire per quarto secolo; tuttavia non servì questa, che nuove forze, con cui ricominciare la guerra, nel 442: nel qual anno, tutta l'Etruria si armò. Ma indebolita sempre più dalla crescente potenza di Roma, potè a grande stento

sostenersi in questa lotta per altri trent'anni. Alla fine poi, nell'anno 473 di Roma, cadde irreparabilmente sotto il dominio di questa. Di qua la sorte dell' Etruria andò confusa con quella dei romani, i quali accolsero varie delle sue città all'onore della loro cittadinanza.

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Quanto alla religione degli etruschi, puossi dire, ch'eglino, tuttochè idolatri al pari di tutte le altre nazioni d' Europa, avevano però un'idea di Dio meno inesatta di quante mai ne seppe insegnare ad altri la teologia naturale di quell' età. Seneca parlò di essi e della loro religione, così esprimendosi : Eundem, quem nos Jovem, intelligunt custodem rectorem» que universi, animum ac spiritum mundani hujus operis » dominum et artificem, cui nomen omne convenit. Vis illum >> Fatum vocare? Non errabis: hic est ex quo suspensa sunt omnia, ex quo sunt omnes causae causarum. Vis illum Pro» videntiam dicere? Recte dices: est enim cujus consilio huic » mundo providetur, ut inconcussus eat et actus suos explicet. Vis illum naturam vocare? Non peccabis: est enim ex quo »> nata sunt omnia, cujus spiritu vivimus. Vis illum vocare » mundum? Non falleris: Ipse enim est totum quod vides, >> totus suis partibus inditus et se sustinens vi sua. Idem et » Etruscis quoque visus est, etc. » Del resto, gli etrusci furono, dopo gli egizi, i più superstiziosi popoli della terra. Derivavano gli augurj dai lampi, dai tuoni, dalla caduta dei fulmini; nel che riuscì famosa la ninfa Bigoa, maestra di quest'arte. Alcuni resti di antichità etrusche, esprimenti figure umane in atto di essere sacrificate, fecero dire a taluno, che gli etruschi usassero sacrifizi di vittime umane: nessuno scrittore per altro ce ne diede mai la notizia.

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