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CANZONE VIII.

Parla ad Amore della sua donna.

Amor, che muovi (1) tua virtù dal cielo,
Come 'l sol lo splendore,

Chè là si apprende più lo suo valore,
Dove più nobiltà suo raggio trova;
E come el fuga oscuritate e gelo,
Così, alto Signore,

Tu scacci la viltate altrui del core,
Nè ira contra te fa lunga prova:

Da te convien che ciascun ben si mova,
Per lo qual si travaglia il mondo tutto:
Senza te è distrutto

Quanto avemo in potenza (a) di ben fare,
Come pintura in tenebrosa parte,
Che non si può mostrare,

Ne dar diletto di color, nè d'arte.
Feremi il core sempre la tua luce,
Come raggio la stella,

Poichè l'anima mia fu fatta ancella
Della tua podestà primieramente:
Onde ha vita un pensier che mi conduce,
Con sua dolce favella,

A rimirar ciascuna cosa bella

Con più diletto, quanto è più piacente (2). Per questo mio guardar m' è nella mente Una giovene entrata, che m' ha preso;

(a) possanza

Derivi.

Vaga, venusta.

Ed hammi in foco acceso,

Come acqua per chiarezza foco accende:
Perchè nel suo venir li raggi tuoi,
Con li quai mi risplende,

Saliron tutti su negli occhi suoi.
Quanto è nell' esser suo bella, e gentile
Negli atti, ed amorosa

Tanto lo immaginar, che non si posa,
L' adorna nella mente, ov' io la porto :
Non che da se medesmo sia sottile (3)
A così alta cosa;

Ma dalla tua virtute ha quel ch' egli osa,
Oltra il poder che natura ci ha porto (4):
E sua beltà del tuo valor conforto,

In quanto giudicar si puote effetto
Sovra degno (b) suggetto,

In guisa che è il sol segno di foco;
Lo qual non dà a lui, nè to' (5) virtute;
Ma fallo in altro loco

Nell' effetto parer di più salute.
Dunque, Signor, di sì gentil natura,
Chè questa nobiltate,

Che vien quaggiuso, è tutta altra bontate,
Lieva principio della tua altezza;

Guarda la vita mia, quanto ella è dura,
E prendine pietate :

Chè lo tuo ardor per la costei beltate
Mi fa sentire al cor (c) troppa gravezza;
Falle sentire, Amor, per tua dolcezza

(b) d'ogni (c) nel cor

(3) Capace, abile, l' immaginare.
(4) Dato.

(5) Nè toglie.

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gran disio ch' io ho di veder lei: Non soffrir che costei

Per giovinezza mi conduca a morte;

Chè non s' accorge ancor, com' ella piace,
Nè come io l'amo forte,

Nè che negli occhi porta la mia pace.
Onor ti sarà grande, se m' aiuti,
Ed a me ricco dono,

Tanto quanto conosco ben ch' io sono
Là ov' io non posso difender mia vita:
Che gli spiriti miei son combattuti
Da tal, ch' io non ragiono (6)

(Se per tua volontà non han perdono)
Che possan guari star senza finita (7):
Ed ancor tua potenza fia sentita

In questa bella donna che n' è degna;
Che par che si convegna

Di darle d' ogni ben gran compagnia ;
Come a colei che fu nel mondo nata
Per aver signoria

Sovra la mente d'ogni uom che la guata,

(6) Così ch'io non discerno.

Morte.

CANZONE IX.

Dimostra quant' egli sia innamorato.

Io sento sì d'Amor la gran possanza,
Ch' io non posso durare

Lungamente a soffrire; ond'io mi doglio; Perocchè 'l suo valor (1) sì pure avanza, (1) La sua forza.

E'l mio sento mancare;

Sicch' io son meno ognora, ch' io non soglio:
Non dico ch' Amor faccia più ch'io voglio;
Chè se facesse quanto il voler chiede,
Quella virtù che natura mi diede,.
Nol sofferia, perocch'ella è finita :
E questo è quello, ond' io prendo cordoglio,
Ch' alla voglia il poder non terrà fede (2):
Ma se di buon voler nasce mercede,
Io la dimando per aver più vita

A quei begli occhi, il cui dolce splendore
Porta conforto, ovunque io senta (a) amore:
Entrano i raggi di questi occhi belli
Ne' miei innamorati,

E portan dolce, ovunque io senta (b) amaro;
E sanno lo cammin (c), siccome quelli,
Che già vi son passati;

E sanno il loco dove Amor lasciaro,
Quando per gli occhi miei dentro il menaro:
Per che mercè, volgendosi, a me fanno;
E di colei cui son, procaccian danno,
Celandosi da me, che tanto (d) l'amo,
Che sol per lei servir mi tengo caro;
E' miei pensier, che pur d' amor si fanno,
Come a lor segno, al suo servigio vanno:
Perchè l' adoperar (3) sì forte bramo,
Che, s' io 'l credessi far, fuggendo lei,
Lieve saria ; ma so ch'io ne morrei.
Bene è verace Amor quel che m' ha preso,

min

(b) sento (c) E fanno lor cam

(a) sento
(d) poi tanto

(2) Non sarà fedele.

(3) L'impiegarmi, l'affaticarmi.

E ben mi stringe forte,

Quand'io farei quel ch'io dico per lui:
Chè nullo amore è di cotanto peso,
Quanto è quel che la morte

Face piacer, per ben servire altrui ;
Ed in cotal voler fermato fui

Si tosto, come il gran desio, ch'io sento,
Fu nato per virtù del piacimento (4),
Che nel bel viso d' ogni bel s' accoglie.
Io son servente; e quando penso a cui,
Quel (e) che ella sia, di tutto son contento;
Chè l'uoni può ben servir contra talento:
E se mercè giovinezza mi toglie,
Aspetto tempo che più ragion prenda;
Purchè la vita tanto si difenda.

Quando io penso un gentil desio ch'è nato
Del gran desio ch' io porto,

Ch' a ben far tira tutto 'l mio potere ;
Parmi esser di mercede oltra pagato;
Ed anche più, che a torto

Mi par di servidor nome tenere:
Cosi dinanzi agli occhi del piacere
Si fa servir mercè d' altrui bontate:
Ma poich' io mi ristringo a veritate,
Convien che tal desio servigio conti;
Perocchè s' io procaccio di valere,
Non penso tanto a mia propietate,
Quanto a colei che m' ha in sua podestate;
Che 'l fo, perchè sua cosa in pregio monti;
Ed io son tutto suo, così mi tegno;
Ch' Amor di tanto onor in' ha fatto degno.

(e) Qual

(4) Bellezza, venustà.

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