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L'immaginar fallace

Mi condusse a veder mia donna (1) morta:
E quando l' avea scorta,

Vedea che donne la covrian d' un velo;
Ed avea seco umiltà sì verace (m),
Che parea che dicesse : io son in pace.
Io diveniva nel dolor (n) sì umile,
Veggendo in lei tanta umiltà formata,
Ch' io dicea: Morte, assai dolce ti tegno;
Tu dei omai esser cosa gentile,
Poichè tu se' nella mia donna stata,
E dei aver pietate, e non disdegno:
Vedi che si desideroso vegno

D'esser de'tuoi, ch'io ti somiglio in fede (17).
Vieni, che 'l cor ti chiede.

Poi mi partia (0), consumato ogni duolo,
E, quando io era solo,

Dicea guardando verso l'alto regno:
Beato, anima bella, chi ti vede.

Voi mi chiamaste allor, vostra mercede.

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(1) Madonna (m) una umiltà verace umilità (n) lo divenia nello dolor

verace

(17) In vero.

CANZONE III.

(0) mi partii

Piange la morte di Beatrice.

Gli occhi dolenti per pietà del core
Hanno di lagrimar sofferta peua,
Si che per vinti son rimasi omai;
Ora s'io voglio sfogare il dolore,

Che appoco appoco alla morte mi mena,
Convienemi parlar (a) traendo guai (1):
E perchè mi ricorda (b) ch'io parlai
Della mia donna mentre che vivia,
Donne gentili, volentier con vui,
Non vo' parlarne (c) altrui,

Se non a cor gentil che 'n donna sia:
E dicerò di lei piangendo pui

Che se n'è gita (d) in ciel subitamente,
Ed ha lasciato Amor meco dolente.
Ita n'è Beatrice in l'alto cielo,

Nel reame, ove gli Angeli hanno pace;
E sta con loro ; e voi, donne, ha lasciate.
Non la ci tolse qualità di gelo,

Nè di calor, siccome l'altre face ;
Ma sola (e) fu sua gran benignitate,
Chè luce della sua umilitate
Passò li cieli con tanta virtute,
Che fe' maravigliar l'eterno Sire,
Si che dolce desire

Lo giunse di chiamar tanta salute;
E fella (2) di quaggiuso a sè venire ;
Perchè vedea ch'esta vita noiosa
.*Non erà degna di si gentil cosa.
Partissi della sua beila persona
Piena di grazia l'anima gentile,
Ed essi (3) gloriosa in loco degno.

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Chi non la piange, quando ne ragiona,
Core ha di pietra, si malvagio e vile,
Ch' entrar non vi può (f) spirito benegno.
Non è di cor villan si alto ingegno,
Che possa immaginar di lei alquanto,
E però non gli vien di pianger voglia:
Ma n'ha (g) tristizia e doglia

Di sospirar e di morir di pianto,
E d'ogni consolar (4) l'anima spoglia,
Chi vede nel pensiero alcuna volta
Quale ella fu, e come ella n'è tolta.
Dannomi (h) angoscia li sospiri forte,
Quando il pensiero nella mente grave
Mi reca quella che m'ha il cor diviso:
E spesse fiate pensando (5) la (i) morte,
Me ne viene un desio tanto soave,
Che mi tramuta lo color nel viso.
Quando l'immaginar mi tien (k) ben fiso,
Giungemi tanta pena d'ogni parte,
Ch'io mi riscuoto per dolor ch' io sento;
E si fatto divento,

Che dalle genti vergogna mi parte (6): Poscia piangendo, sol nel mio lamento Chiamo Beatrice; e dico: or se'tu morta! E mentre che io la chiamo, mi conforta. Pianger di doglia e sospirar d'angoscia Mi strugge (1) il core, ovunque sol mi trovo, Si chè ne increscerebbe a chi 'l vedesse:

(f) Ch' entrar no'i puote nanmi (i) pensando alla

(g) Ma vien (h) Do(k) vien (1) Mi stringe

(4) Consolazione.
(5) Considerando.
(6) Mi divide, mi allontana.

E quale è stata la mia vita, poscia
Che la mia donna andò nel secol nuovo (7),
Lingua non è che dicer lo sapesse:

E però, donne mie, pur ch'io (m) volesse (8),
Non vi saprei ben dicer quel ch'io sono ;
Si mi fa travagliar l'acerba vita,

La quale è sì invilita,

Che ogni uomo par mi dica (n): io t'abbandono, Vedendo la mia labbia (9) tramortita. Ma qual ch'io sia, la mia donna se 'l vede, Ed io ne spero ancor da lei mercede. Pietosa mia Canzone, or va' piangendo, E ritrova le donne e le donzelle,

A cui le tue sorelle

Erano usate di portar letizia;

E tu, che sei figliuola di tristizia,
Vattene sconsolata a star con elle.

(m) per ch' io (n) Ch'ogni uom par che mi dica

(7) Nuovo stato di vita.

(8) Ancor ch' io volessi.
(9) Faccia, aspetto.

CANZONE IV.

Rampogna Firenze, e ad essa dirige i suoi versi pieni di patrio amore e di sdegno.

O patria degna di trionfal fama,
De' magnanimi madre,

Più che'n tua suora, in te dolor sormonta:
Qual (1) è de' figli tui che in onor ti ama,

(1) Chiunque, qualunque.

Sentendo l'opre ladre (2) ́

Che in te si fanno, con dolore ha onta.
Ahi! quanto in te la iniqua gente è pronta
A sempre congregarsi alla tua morte,
Con luci bieche e torte

Falso per vero al popol tuo mostrando!
Alza il cor de' sommersi; il sangue accendi;
Sui traditori scendi

Nel tuo giudicio; sì che in te laudando
Si posi quella grazia (3) che ti sgrida,
Nella quale ogni ben surge e s' annida,
Tu felice regnavi al tempo bello
Quando le tue rede (4)

Voller che le virtù fussin colonne.
Madre di loda, e di salute ostello,
Con pura, unita fede (5)

Eri beata, e colle sette donne.
Ora ti veggio ignuda di tai gonne;
Vestita di dolor; piena di vizi;
Fuori i leai Fabrizi;

Superba; vile; nimica di pace.
O disnorata te! specchio di parte!
Poichè se' aggiunta a Marte,
Punisci in Antenora (6) qual verace
Non segue l'asta del vedovo giglio,
Ea que che t'aman più, più fai mal piglio (7).
Dirada in te le maligne radici,

Pessime.

(3) Affetto, benevolenza.

(4) I tuoi figli, i tuoi eredi.

(5) Benevolenza, affetto.

(6) Dante ha dato questo nome a un luogo d'Inferno, dov' ei fa punire i traditori.

(7) Più guardi di mal occhio.

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