Guida i pubblici fati. Dell' aspra sorte e del depresso loco Magnanimo colui Che sè schernendo o gli altri, astuto o folle, Ricco d' ôr nè gagliardo, E di splendida vita o di valente Non fa risibil mostra; Ma sè di forza e di tesor mendico Lascia parer senza vergogna, e noma Magnanimo animale Non credo io già, ma stolto Quel che, nato a perir, nutrito in pene, Dice, a goder son fatto. E di fetido orgoglio Empie le carte, eccelsi fati e nove Felicità, quali il ciel tutto ignora, Non pur quest' orbe, promettendo in terra A popoli che un' onda Di mar commosso, un fiato D'aura maligna, un sotterraneo crollo A gran pena di lor la rimembranza. Nobil natura è quella Ch' a sollevar s'ardisce Gli occhi mortali incontra Al comun fato, e che con franca lingua, Confessa il mal che ci fu dato in sorte, Quella che grande e forte Mostra sè nel soffrir, nè gli odii e l'ire D'ogni altro danno, accresce Alle miserie sue, l'uomo incolpando Del suo dolor, ma dà la colpa a quella Che veramente è rea, che de' mortali Siccom'è il vero, ed ordinata in pria Tutti fra sè confederati estima Gli uomini, e tutti abbraccia Valida e pronta ed aspettando aita Dell' uomo armar la destra, e laccio porre Stolto crede così, qual fôra in campo Gl' inimici obbliando, acerbe gare Imprender con gli amici, E sparger fuga e fulminar col brando Infra i propri guerrieri. Così fatti pensieri Quando fien, come fur, palesi al volgo, E quell' orror che primo Contra l'empia natura Strinse i mortali in social catena Fia ricondotto in parte Da verace saper, l' onesto e il retto Conversar cittadino, E giustizia e pietade altra radice Avranno allor che non superbe fole, Ove fondata probità del volgo Così star suole in piede Quale star può quel c'ha in error la sede. Sovente in queste piagge, Che, desolate, a bruno Veste il flutto indurato, e par che ondeggi, Seggo la notte; e su la mesta landa In purissimo azzurro Veggo dall' alto fiammeggiar le stelle, Il mare, e tutto di scintille in giro Per lo vôto seren brillare il mondo. E poi che gli occhi a quelle luci appunto, Ch' a lor sembrano un punto, E sono immense in guisa Che un punto a petto a lor son terra e mare Veracemente; a cui L'uomo non pur, ma questo Sconosciuto è del tutto: e quando miro Ch' a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo Del numero infinite e della mole, Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle O sono ignote, o così paion come Essi alla terra, un punto Di luce nebulosa; al pensier mio Dell' uomo? E rimembrando Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno Il suol ch' io premo; e poi dall' altra parte, Credi tu data al Tutto, e quante volte Sembra tutte avanzar; qual moto allora, Come d' arbor cadendo un picciol pomo, Cui là nel tardo autunno Maturità senz' altra forza atterra, Con gran lavoro, e l' opre, E le ricchezze ch' adunate a prova In un punto; così d'alto piombando, Scagliata al ciel profondo Di ceneri, di pomici e di sassi Di bollenti ruscelli, O pel montano fianco Di liquefatti massi E di metalli e d' infocata arena Scendendo immensa piena, Le cittadi che il mar là su l'estremo Lido aspergea, confuse E infranse e ricoperse In pochi istanti: onde su quelle or pasce Sorgon dall' altra banda, a cui sgabello L' arduo monte al suo piè quasi calpesta. Dell' uom più stima o cura Ch' alla formica e se più rara in quello Non avvien ciò d'altronde Fuor che l' uom sue prosapie ha men feconde. Ben mille ed ottocento Anni varcâr poi che spariro, oppressi E il villanello intento Ai vigneti che a stento in questi campi Ancor leva lo sguardo Sospettoso alla vetta Fatal, che nulla mai fatta più mite Il meschino in sul tetto Dell'ostel villereccio, alla vagante Sull' arenoso dorso, a cui riluce E di Napoli il porto e Mergellina. E se appressar lo vede, o se nel cupo Suo nido, e il picciol campo Che gli fu dalla fame unico schermo, inesorato Durabilmente sopra quei si spiega. Dopo l'antica obblivion, l' estinta Avarizia o pietà rende all' aperto; Diritto infra le file De' mozzi colonnati il peregrino Ch' alla sparsa ruina ancor minaccia. Per li templi deformi e per le rotte Che per vôti palagi atra s' aggiri, Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge. Così, dell' uomo ignara, e dell' etadi Ch' ei chiama antiche, e del seguir che fanno Dopo gli avi i nepoti, Sta natura ognor verde, anzi procede Per si lungo cammino, Che sembra star. Caggiono i regni intanto, Che di selve odorate Queste campagne dispogliate adorni, Già noto, stenderà l' avaro lembo Ma non piegato insino allora indarno |