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quella stessa con molta più difficoltà si consegue oggi, che anticamente.

Soli in questo naufragio continuo e comune non meno degli scritti nobili che de' plebei, soprannuotano i libri antichi; i quali per la fama già stabilita e corroborata dalla lunghezza dell' età, non solo si leggono ancora diligentemente, ma si rileggono e studiano. E nota che un libro moderno, eziandio se di perfezione fosse comparabile agli antichi, difficilmente o per nessun modo potrebbe, non dico possedere lo stesso grado di gloria, ma recare altrui tanta giocondità. quanta dagli antichi si riceve: e questo per due cagioni. La prima si è, che egli non sarebbe letto con quell' accuratezza. e sottilità che si usa negli scritti celebri da gran tempo, nè tornato a leggere se non da pochissimi, nè studiato da nessuno; perchè non si studiano libri, che non sieno scientifici, insino a tanto che non sono divenuti antichi. L'altra si è, che la fama durevole e universale delle scritture, posto che a principio nascesse non da altra causa che dal merito loro proprio ed intrinseco, ciò non ostante, nata e cresciuta che sia, moltiplica in modo il loro pregio, che elle ne divengono assai più grate a leggere, che non furono per l'addietro; e talvolta la maggior parte del diletto che vi si prova, nasce semplicemente dalla stessa fama. Nel qual proposito mi tornano ora alla mente alcune avvertenze notabili di un filosofo francese; il quale in sostanza, discorrendo intorno alle origini dei piaceri umani, dice così: Molte cause di godimento compone e crea l'animo stesso nostro a sè proprio, massime collegando tra loro diverse cose. Perciò bene spesso avviene che quello che piacque una volta piaccia similmente un' altra; solo per essere piaciuto innanzi; congiungendo noi coll' immagine del presente quella del passato. Per modo di esempio, una commediante piaciuta agli spettatori nella scena, piacerà verisimilmente ai medesimi anco nelle sue stanze; perocchè si del suono della sua voce, sì della sua recitazione, si dell' essere stati presenti agli applausi riportati dalla donna, e in qualche modo eziandio del concetto di principessa aggiunto a quel proprio che le conviene, si comporrà quasi un misto di più cause; che produrranno un diletto solo. Certo la mente di ciascuno abbonda tutto giorno_d' immagini e di considerazioni accessorie alle principali. Di qui nasce che le donne fornite di reputazione grande, e macchiate di qualche difetto piccolo, recano talvolta in onore esso difetto, dando causa agli altri di tenerlo in conto di leggiadria. E veramente il particolare amore che ponghiamo chi ad una chi ad altra donna, è fondato il più delle volte

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Montesquieu, Fragment sur le goût: de la sensibilité.

in sulle sole preoccupazioni che nascono in colei favore o dalla nobilità del sangue, o dalle ricchezze, o dagli onori che le sono renduti, o dalla stima che le è portata da certi; spesso eziandio dalla fama, vera o falsa, di bellezza o di grazia, e dallo stesso amore avutole prima o di presente da altre persone. E chi non sa che quasi tutti i piaceri vengono più dalla nostra immaginativa, che dalle proprie qualità delle cose piacevoli?

Le quali avvertenze quadrando ottimamente agli scritti non meno che alle altre cose, dico che se oggi uscisse alla luce un poema uguale o superiore di pregio intrinseco all' Iliade; letto anche attentissimamente da qualunque più perfetto giudice di cose poetiche, gli riuscirebbe assai men grato e men dilettevole di quella; e per tanto gli resterebbe in molto minore estimazione; perchè le virtù proprie del poema nuovo non sarebbero aiutate dalla fama di ventisette secoli, nè da mille memorie e mille rispetti, come sono le virtù dell' Iliade.. Similmente dico, che chiunque leggesse accuratamente o la Gerusalemme o il Furioso, ignorando in tutto o in parte la loro celebrità; proverebbe nella lettura molto minor diletto, che gli altri non fanno. Laonde in fine, parlando generalmente, i primi lettori di ciascun' opera egregia, e i contemporanei di chi la scrisse, posto che ella ottenga poi fama nella posterità, sono quelli che in leggerla godono meno di tutti gli altri: il che risulta in grandissimo pregiudizio degli scrittori.

CAPITOLO SESTO.

Queste sono in parte le difficoltà che ti contenderanno l'acquisto della gloria appresso agli studiosi, ed agli stessi eccellenti nell'arte dello scrivere e nella dottrina. E quanto a coloro che se bene bastantemente instrutti di quell' erudizione che oggi è parte, si può dire, necessaria di civiltà non fanno professione alcuna di studi nè di scrivere, e leggono solo per passatempo, ben sai che non sono atti a godere più che tanto della bontà dei libri: e questo, oltre al detto innanzi, anche per un' altra cagione, che mi resta a dire. Cioè che questi tali non cercano altro in quello che leggono, fuorchè il diletto presente. Ma il presente è piccolo e insipido per natura a tutti gli uomini. Onde ogni cosa più dolce, e come dice Omero,

Venere, il sonno, il canto e le parole

presto e di necessità vengono a noia, se colla presente occupazione non è congiunta la speranza di qualche diletto o comodità futura che ne dipenda. Perocchè la condizione dell' uomo

non è capace di alcun godimento notabile, che non consista sopra tutto nella speranza, la cui forza è tale, che moltissime occupazioni prive per sè di ogni piacere, ed eziandio stucchevoli o faticose, aggiuntavi la speranza di qualche frutto, riescono gratissime e giocondissime, per lunghe che sieno; ed al contrario, le cose che si stimano dilettevoli in sè, disgiunte dalla speranza, vengono in fastidio quasi, per così dire, appena gustate. E intanto veggiamo noi che gli studiosi sono come insaziabili della lettura, anco spesse volte aridissima, e provano un perpetuo diletto nei loro studi, continuati per buona parte del giorno; in quanto che nell' una e negli altri, essi hanno sempre dinanzi agli occhi uno scopo collocato nel futuro, e una speranza di progresso e di giovamento, qualunque egli si sia; e che nello stesso leggere che fanno alcune volte quasi per ozio e per trastullo, non lasciano di proporsi, oltre al diletto presente, qualche altra utilità, più o meno determinata. Dove che gli altri, non mirando nella lettura ad alcun fine che non si contenga, per dir così, nei termini di essa lettura; fino sulle prime carte dei libri più dilettevoli e più soavi, dopo un vano piacere, si trovano sazi; sicchè sogliono andare nauseosamente errando di libro in libro, e in fine si maravigliano i più di loro, come altri possa ricevere dalla lunga lezione un lungo diletto. In tal modo, anche da ciò puoi conoscere che qualunque arte, industria e fatica di chi scrive, è perduta quasi del tutto in quanto a queste tali persone: del numero delle quali generalmente si è la più parte dei lettori. Ed anche gli studiosi, mutate coll' andare degli anni, come spesso avviene, la materia e la qualità dei loro studi, appena sopportano la lettura di libri dai quali in altro tempo furono o avrebbero potuti essere dilettati oltre modo; e se bene hanno ancora l' intelligenza e la perizia necessaria a conoscerne il pregio, pure non vi sentono altro che tedio; perchè non si aspettano da loro alcuna utilità.

CAPITOLO SETTIMO.

Fin qui si è detto dello scrivere in generale, e certe cose che toccano principalmente alle lettere amene, allo studio delle quali ti veggo inclinato più che ad alcun altro. Diciamo ora particolarmente della filosofia; non intendendo però di separar quelle da questa; dalla quale pendono totalmente. Penserai forse che derivando la filosofia dalla ragione, di cui l'universale degli uomini inciviliti partecipa forse più che dell'immaginativa e delle facoltà del cuore; il pregio delle opere filosofiche debba essere conosciuto più facilmente e da maggior numero di persone, che quello de' poemi, e degli altri scritti che riguardano al dilettevole e al bello. Ora io, per

me, stimo che il proporzionato giudizio e il perfetto senso, sia poco meno raro verso quelle, che verso questi. Primieramenti abbi per cosa certa, che a far progressi notabili nella filosofia, non bastano sottilità d' ingegno, e facoltà grande di ragionare, ma si ricerca eziandio molta forza immaginativa; e che il Descartes, Galileo, il Leibnitz, il Newton, il Vico, in quanto all' innata disposizione dei loro ingegni, sarebbero potuti essere sommi poeti, e per lo contrario Omero, Dante, lo Shakespeare, sommi filosofi. Ma perchè questa materia, a dichiararla e trattarla appieno, vorrebbe molte parole, e ci dilungherebbe assai dal nostro proposito; perciò contentandomi pure di questo cenno, e passando innanzi, dico che solo i filosofi possono conoscere perfettamente il pregio, e sentire il diletto, dei libri filosofici. Intendo dire in quanto si è alla sostanza, non a qualsivoglia ornamento che possono avere, o di parole o di stile o d' altro. Dunque, come gli uomini di natura, per modo di dire, impoetica, se bene intendono le parole e il senso, non ricevono i moti e le immagini de' poemi; così bene spesso quelli che non sono dimesticati al meditare e filosofare seco medesimi, o che non sono atti a pensare profondamente, per veri e per accurati che sieno i discorsi e le conclusioni del filosofo, e chiaro il modo che egli usa in espor gli uni e l'altre, intendono le parole e quello che egli vuol dire, ma non la verità de' suoi detti. Perocchè non avendo la facoltà o l'abito di penetrar coi pensieri nell' intimo delle cose, nè di sciorre e dividere le proprie idee nelle loro menome parti, nè di ragunare e stringere insieme un buon numero di esse idee, nè di contemplare colla mente in un tratto molti particolari in modo da poterne trarre un generale, nè di seguire indefessamente coll' occhio dell' intelletto un lungo ordine di verità connesse tra loro a mano a mano, nè di scoprire le sottili e recondite congiunture che ha ciascuna verità con cento altre; non possono facilmente, o in maniera alcuna, imitare e reiterare colla mente propria le operazioni fatte, nè provare le impressioni provate da quella del filosofo; unico modo a vedere, comprendere, ed estimare convenientemente tutte le cause che indussero esso filosofo a far questo o quel giudizio, affermare o negare questa o quella cosa, dubitar di tale o di tal altra. Sicchè quantunque intendano i suoi concetti, non intendono che sieno veri o probabili; non avendo, e non potendo fare, una quasi esperienza della verità e della probabilità loro. Cosa poco diversa da quella che agli uomini naturalmente freddi accade circa le immaginazioni e gli affetti espressi dai poeti. E ben sai che egli è comune al poeta e al filosofo l' internarsi nel profondo degli animi umani, e trarre in luce le loro intime qualità e varietà, gli andamenti, i moti e i successi occulti, le cause e gli

LEOPARDI.

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effetti dell' une e degli altri: nelle quali cose, quelli che non sono atti a sentire in sè la corrispondenza de' pensieri poetici al vero, non sentono anche, e non conoscono, quella dei filosofici.

Dalle dette cause nasce quello che veggiamo tutto dì, che molte opere egregie, ugualmente chiare ed intelligibili a tutti, ciò non ostante, ad alcuni paiono contenere mille verità certissime; ad altri, mille manifesti errori: onde elle sono impugnate, pubblicamente o privatamente; non solo per malignità o per interesse o per altre simili cagioni, ma eziandio per imbecillità di mente, e per incapacità di sentire e di comprendere la certezza dei loro principii, la rettitudine delle deduzioni e delle conclusioni, e generalmente la convenienza, l'efficacia e la verità dei loro discorsi. Spesse volte le più stupende opere filosofiche sono anche imputate di oscurità, non per colpa degli scrittori, ma per la profondità o la novità dei sentimenti da un lato, e dall' altro l'oscurità dell' intelletto di chi non li potrebbe comprendere in nessun modo. Considera dunque anche nel genere filosofico quanta difficoltà di aver lode, per dovuta che sia. Perocchè non puoi dubitare, se anche io non l' esprimo, che il numero dei filosofi veri e profondi, fuori dei quali non è chi sappia far convenevole stima degli altri tali, non sia piccolissimo anche nell' età presente, benchè dedita all' amore della filosofia più che le passate. Lascio le varie fazioni, o comunque si convenga chiamarle, in cui sono divisi oggi, come sempre furono, quelli che fanno professione di filosofare: ciascuna delle quali nega ordinariamente la debita lode e stima a quei delle altre; non solo per volontà, ma per avere l'intelletto occupato da altri principii.

CAPITOLO OTTAVO.

Se poi (come non è cosa alcuna che io non mi possa promettere di cotesto ingegno) tu salissi col sapere e colla meditazione a tanta altezza, che ti fosse dato, come fu a qualche eletto spirito, di scoprire alcuna principalissima verità, non solo stata prima incognita in ogni tempo, ma rimota al tutto dall' espettazione degli uomini, e al tutto diversa o contraria alle opinioni presenti, anco dei saggi; non pensar di avere a raccorre in tua vita da questo discoprimento alcuna lode non volgare. Anzi non ti sarà data lode, nè anche da' sapienti (eccettuato forse una loro menoma parte), finchè ripetute quelle medesime verità, ora da uno ora da altro, a poco a poco e con lunghezza di tempo, gli uomini vi assuefacciano_prima gli orecchi e poi l'intelletto. Perocchè niuna verità nuova, e del tutto aliena dai giudizi correnti; quando bene dal primo

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