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che se ne avvide fosse dimostrata con evidenza e certezza conforme o simile alla geometrica; non fu mai potuta, se pure le dimostrazioni non furono materiali, introdurre e stabilire nel mondo subitamente; ma solo in corso di tempo, mediante la consuetudine e l'esempio: assuefacendosi gli uomini al credere come ad ogni altra cosa; anzi credendo generalmente per assuefazione, non per certezza di prove concepita nelÏ'animo tanto che in fine essa verità, cominciata a insegnare ai fanciulli, fu accettata comunemente, ricordata con maraviglia l'ignoranza della medesima, e derise le sentenze diverse o negli antenati o nei presenti. Ma ciò con tanto maggiore difficoltà e lunghezza, quanto queste sì fatte verità nuove e incredibili furono maggiori e più capitali, e quindi sovvertitrici di maggior numero di opinioni radicate negli animi. Nè anche gl' intelletti acuti ed esercitati sentono facilmente tutta l'efficacia delle ragioni che dimostrano simili verità inaudite, ed eccedenti di troppo spazio i termini delle cognizioni e dell' uso di essi intelletti; massime quando tali ragioni e tali verità ripugnano alle credenze inveterate nei medesimi. Il Descartes al suo tempo, nella geometria, la quale egli amplificò maravigliosamente, coll' adattarvi l' algebra e cogli altri suoi trovati, non fu nè pure inteso, se non da pochissimi. Il simile accadde al Newton. In vero, la condizione degli uomini disusatamente superiori di sapienza alla propria età non è molto diversa da quella dei letterati e dotti che vivono in città o province vacue di studi: perocchè nè questi, come dirò poi, da' lor cittadini o provinciali, nè quelli da' contemporanei, sono tenuti in quel conto che meriterebbero; anzi spessissime volte sono vilipesi, per la diversità della vita o delle opinioni loro da quelle degli altri, o per la comune insufficienza a conoscere il pregio delle loro facoltà ed opere.

Non è dubbio che il genere umano a questi tempi, e insino dalla restaurazione della civiltà, non vada procedendo innanzi continuamente nel sapere. Ma il suo procedere è tardo e misurato: laddove gli spiriti sommi e singolari, che si danno alla speculazione di quest' universo sensibile all' uomo o intelligibile, ed al rintracciamento del vero, camminano, anzi talora corrono, velocemente, e quasi senza misura alcuna. E non per questo è possibile che il mondo, in vederli procedere così spediti, affretti il cammino tanto, che giunga con loro o poco più tardi di loro, colà dove essi per ultimo si rimangono. Anzi non esce del suo passo; e non si conduce alcune volte a questo o a quel termine, se non solamente in ispazio di uno o di più secoli da poi che qualche alto spirito vi si fu condotto.

È sentimento, si può dire, universale, che il sapere umano debba la maggior parte del suo progresso a quegl' ingegni

ma

supremi, che sorgono di tempo in tempo, quando uno quando altro, quasi miracoli di natura. Io per lo contrario stimo che esso debba agl' ingegni ordinari il più, agli straordinari pochissimo. Uno di questi, ponghiamo, fornito che egli ha colla dottrina lo spazio delle conoscenze de' suoi contemporanei, procede nel sapere, per dir così, dieci passi più innanzi. Ma gli altri uomini, non solo non si dispongono a seguitarlo, anzi il più delle volte, per tacere il peggio, si ridono del suo progresso. Intanto molti ingegni mediocri, forse in parte aiutandosi dei pensieri e delle scoperte di quel sommo, principalmente per mezzo degli studi propri, fanno congiuntamente un passo; nel che per la brevità dello spazio, cioè per la poca novità delle sentenze, ed anche per la moltitudine di quelli che ne sono autori, in capo di qualche anno, sono seguitati universalmente. Così, procedendo, giusta il consueto, a poco a poco, e per opera ed esempio di altri intelletti mediocri, gli uomini compiono finalmente il decimo passo; e le sentenze di quel sommo sono comunemente accettate per vere in tutte le nazioni civili. Ma esso, già spento da gran tempo, non acquista pure per tal successo una tarda e intempestiva riputazione; parte per essere già mancata la sua memoria, o perchè l' opinione ingiusta avuta di lui mentre visse, confermata dalla lunga consuetudine, prevale a ogni altro rispetto; parte perchè gli uomini non sono venuti a questo grado di cognizioni per opera sua; e parte perchè già nel sapere gli sono uguali, presto lo sormonteranno, e forse gli sono superiori anche al presente, per essersi potute colla lunghezza del tempo dimostrare dichiarare meglio le verità immaginate da lui, ridurre le sue congetture a certezza, dare ordine e forma migliore a' suoi trovati, e quasi maturarli. Se non che forse qualcuno degli studiosi, riandando le memorie dei tempi addietro, considerate le opinioni di quel grande, e messe a riscontro con quelle de' suoi posteri, si avvede come e quanto egli precorresse il genere umano, e gli porge alcune lodi, che levano poco romore, e vanno presto in dimenticanza.

Se bene il progresso del sapere umano, come il cadere dei gravi, acquista di momento in momento maggiore celerità; nondimeno egli è molto difficile ad avvenire che una medesima generazione d' uomini muti sentenza, o conosca gli errori propri in guisa, che ella creda oggi il contrario di quel che credette in altro tempo. Bensì prepara tali mezzi alla susseguente, che questa poi conosce è crede in molte cose il contrario di quella. Ma come niuno sente il perpetuo moto che ci trasporta in giro insieme colla terra, così l'universale degli uomini non si avvede del continuo procedere che fanno le sue conoscenze, nè dell' assiduo variare de' suoi giudizi. E mai non muta opinione in maniera, che egli si creda di mu

tarla. Ma certo non potrebbe fare di non crederlo e di non avvedersene, ogni volta che egli abbracciasse subitamente una sentenza molto aliena da quelle tenute or ora. Per tanto, niuna verità così fatta, salvo che non cada sotto ai sensi, sarà mai creduta comunemente dai contemporanei del primo che la conobbe.

CAPITOLO NONO.

Facciamo che superato ogni ostacolo, aiutato il valore dalla fortuna, abbi conseguito in fatti, non pur celebrità, ma gloria, e non dopo morte, ma in vita. Veggiamo che frutto ne ritrarrai. Primieramente quel desiderio degli uomini di vederti e conoscerti di persona, quell' essere mostrato a dito, quell'onore e quella riverenza significata dai presenti cogli atti e colle parole, nelle quali cose consiste la massima utilità di questa gloria che nasce dagli scritti, parrebbe che più facilmente ti dovessero intervenire nelle città piccole, che nelle grandi; dove gli occhi e gli animi sono distratti e rapiti parte dalla potenza, parte dalla ricchezza, in ultimo dalle arti che servono all' intrattenimento e alla giocondità della vita inutile. Ma come le città piccole mancano per lo più di mezzi e di sussidi onde altri venga all' eccellenza nelle lettere e nelle dottrine; e come tutto il raro e il pregevole concorre e si aduna nelle città grandi; perciò le piccole, di rado abitate dai dotti, e prive ordinariamente di buoni studi, sogliono tenere tanto basso conto, non solo della dottrina e della sapienza, ma della stessa fama che alcuno si ha procacciata con questi mezzi, che l'una e l' altre in quei luoghi non sono pur materia d' invidia. E se per caso qualche persona riguardevole o anche straordinaria d' ingegno e di studi, si trova abitare in luogo piccolo; l' esservi al tutto unica, non tanto non le accresce pregio ma le nuoce in modo, che spesse volte, quando anche famosa al di fuori, ella è, nella consuetudine di quegli uomini, la più negletta e oscura persona del luogo. Come là dove l'oro e l'argento fossero ignoti e senza pregio, chiunque essendo privo di ogni altro avere, abbondasse di questi metalli, non sarebbe più ricco degli altri, anzi poverissimo, e per tale avuto; così là dove l'ingegno e la dottrina non si conoscono, e non conosciuti non si apprezzano, quivi se pur vi ha qualcuno che ne abbondi, questi non ha facoltà di soprastare agli altri; e quando non abbia altri beni, è tenuto a vile. E tanto egli è lungi da potere essere onorato in simili luoghi, che bene spesso egli vi è riputato maggiore che non è in fatti, nè perciò tenuto in alcuna stima. Al tempo che, giovanetto, io mi riduceva talvolta nel mio piccolo Bosisio; conosciutosi per la terra ch' io soleva attendere agli studi, e

mi esercitava alcun poco nello scrivere; i terrazzani mi riputavano poeta, filosofo, fisico, matematico, medico, legista, teologo, e perito di tutte le lingue del mondo; e m'interrogavano, senza fare una menoma differenza, sopra qualunque punto di qual si sia disciplina o favella intervenisse per alcun accidente nel ragionare. E non per questa loro opinione mi stimavano da molto; anzi mi credevano minore assai di tutti gli uomini dotti degli altri luoghi. Ma se io li lasciava venire in dubbio che la mia dottrina fosse pure un poco meno smisurata che essi non pensavano, io scadeva ancora moltissimo nel loro concetto, e all' ultimo si persuadevano che essa mia dottrina non si stendesse niente più che la loro.

Nelle città grandi, quanti ostacoli si frappongano, siccome all'acquisto della gloria, così a poter godere il frutto dell'acquistata, non ti sarà difficile à giudicare dalle cose dette alquanto innanzi. Ora aggiungo, che quantunque nessuna fama sia più difficile a meritare, che quella di egregio poeta o di scrittore ameno o di filosofo, alle quali tu miri principalmente, nessuna con tutto questo riesce meno fruttuosa a chi la possiede. Non ti sono ignote le querele perpetue, gli antichi e i moderni esempi, della povertà e delle sventure de' poeti sommi. In Omero, tutto (per così dire) è vago e leggiadramente indefinito, siccome nella poesia, così nella persona; di cui la patria, la vita, ogni cosa, è come un arcano impenetrabile agli uomini. Solo, in tanta incertezza e ignoranza, si ha da una costantissima tradizione, che Omero fu povero e infelice: quasi che la fama e la memoria dei secoli non abbia voluto lasciar luogo a dubitare che la fortuna degli altri poeti eccellenti non fosse comune al principe della poesia. Ma lasciando degli altri beni, e dicendo solo dell' onore, nessuna fama nell'uso della vita suol essere meno onorevole, e meno utile a esser tenuto da più degli altri, che sieno le specificate or ora. O che la moltitudine delle persone che le ottengono senza merito, e la stessa immensa difficoltà di meritarle, tolgano pregio e fede a tali riputazioni; o piuttosto perchè quasi tutti gli uomini d'ingegno leggermente culto, si credono avere essi medesimi, o potere facilmente acquistare, tanta notizia e facoltà sì di lettere amene e sì di filosofia, che non riconoscono per molto superiori a sè quelli che veramente vagliono in queste cose; o parte per l' una, parte per l'altra cagione; certo si è che l'aver nome di mediocre matematico, fisico, filologo, antiquario; di mediocre pittore, scultore, musico; di essere mezzanamente versato anche in una sola lingua antica o pellegrina; è causa di ottenere appresso al comune degli uomini, eziandio nelle città migliori, molta più considerazione e stima, che non si ottiene coll' essere conosciuto e celebrato dai buoni giudici per filosofo o

poeta insigne, o per uomo eccellente nell' arte del bello scrivere. Così le due parti più nobili, più faticose ad acquistare, più straordinarie, più stupende; le due sommità, per così dire, dell' arte e della scienza umana; dico la poesia e la filosofia; sono in chi le professa, specialmente oggi, le facoltà più neglette del mondo; posposte ancora alle arti che si esercitano principalmente colla mano, così per altri rispetti, come perchè niuno presume nè di possedere alcuna di queste non avendola procacciata, nè di poterla procacciare senza studio e fatica. În fine, il poeta e il filosofo non hanno in vita altro frutto del loro ingegno, altro premio dei loro studi, se non forse una gloria nata e contenuta fra un piccolissimo numero di persone. Ed anche questa è una delle molte cose nelle quali si conviene colla poesia e la filosofia, povera anch' essa e nuda, come canta il Petrarca, non solo di ogni altro bene, ma di riverenza e di onore.

CAPITOLO DECIMO.

Non potendo nella conversazione degli uomini godere quasi alcun beneficio della tua gloria, la maggiore utilità che ne ritrarrai, sarà di rivolgerla nell' animo e di compiacertene teco stesso nel silenzio della tua solitudine, con pigliarne stimolo e conforto a nuove fatiche, e fartene fondamento a nuove speranze. Perocchè la gloria degli scrittori, non solo, come tutti i beni degli uomini, riesce più grata da lungi che da vicino, ma non è mai, si può dire, presente a chi la possiede, e non si ritrova in nessun luogo.

Dunque per ultimo ricorrerai coll' immaginativa a quell'estremo rifugio e conforto degli animi grandi, che è la posterità. Nel modo che Cicerone, ricco non di una semplice gloria, nè questa volgare e tenue, ma di una moltiplice, e disusata, e quanta ad un sommo antico e romano, tra uomini romani e antichi, era conveniente che pervenisse; nondimeno si volge col desiderio alle generazioni future, dicendo, benchè sotto altra persona 2: pensi tu che io mi fossi potuto indurre a prendere e a sostenere tante fatiche il dì e la notte, in città e nel campo, se avessi creduto che la mia gloria non fosse per passare i termini della mia vita? Non era molto più da eleggere un vivere ozioso e tranquillo, senza alcuna fatica o sollecitudine? Ma l'animo mio; non so come, quasi levato alto il capo, mirava di continuo alla

1 Povera e nuda vai, filosofia. Petrarca parte 4, son. 1. La gola e'l

sonno.

2 De Senect. cap. 23.

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