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posterità in modo, come se egli, passato che fosse di vita, allora finalmente fosse per vivere. Il che da Cicerone si riferisce a un sentimento dell' immortalità degli animi propri, ingenerato da natura nei petti umani. Ma la cagione vera si è, che tutti i beni del mondo non prima sono acquistati, che si conoscono indegni delle cure e delle fatiche avute in procacciarli; massimamente la gloria, che fra tutti gli altri, è di maggior prezzo a comperare, e di meno uso a possedere. Ma come, secondo il detto di Simonide 1,

La bella speme tutti ci nutrica

Di sembianze beate;

Onde ciascuno indarno si affatica;
Altri l'aurora amica, altri l' etade

O la stagione aspetta;

E nullo in terra il mortal corso affretta,
Cui nell' anno avvenir facili e pii

Con Pluto gli altri iddii

La mente non prometta;

così, di mano in mano che altri per prova è fatto certo della vanità della gloria, la speranza, quasi cacciata e inseguita di luogo in luogo, in ultimo non avendo più dove riposarsi in tutto lo spazio della vita, non perciò vien meno, ma passata di là dalla stessa morte, si ferma nella posterità. Perocchè l'uomo è sempre inclinato e necessitato a sostenersi del ben futuro, così come egli è sempre malissimo soddisfatto del ben presente. Laonde quelli che sono desiderosi di gloria, ottenutala pure in vita, si pascono principalmente di quella che sperano possedere dopo la morte, nel modo stesso che niuno è così felice oggi, che disprezzando la vana felicità presente, non si conforti col pensiero di quella parimente vana, che egli si promette nell' avvenire.

CAPITOLO UNDECIMO.

Ma infine, che è questo ricorrere che facciamo alla posterità? Certo la natura dell' immaginazione umana porta che si faccia dei posteri maggior concetto e migliore che non si fa dei presenti, nè dei passati eziandio; solo perchè degli uomini che ancora non sono non passiamo avere alcuna contezza, nè per pratica nè per fama. Ma riguardando alla ragione, e non all' immaginazione, crediamo noi che in effetto quelli che verranno abbiano a essere migliori dei presenti? Io credo piuttosto il contrario, ed ho per veridico il proverbio, che il mondo invecchia peggiorando. Miglior condizione mi parrebbe quella degli uomini egregi, se potessero appellare ai

1 Appresso a Stobeo, ed. Gesner. Tigur. 1559, serm. 96, pag. 529.

passati; i quali, a dire di Cicerone 1, non furono inferiori di numero a quello che saranno i posteri, e di virtù furono superiori assai. Ma certo il più valoroso uomo di questo secolo non riceverà dagli antichi alcuna lode. Concedasi che i futuri, in quanto saranno liberi dall' emulazione, dall' invidia, dall' amore e dall' odio, non già tra sè stessi, ma verso noi, sieno per essere più diretti estimatori delle cose nostre, che non sono i contemporanei. Forse anco per gli altri rispetti saranno migliori giudici? Pensiamo noi, per dir solamente di quello che tocca agli studi, che i posteri sieno per avere un maggior numero di poeti eccellenti, di scrittori ottimi, di filosofi veri e profondi? poichè si è veduto che questi soli possono fare degna stima dei loro simili. Ovvero, che il giudizio di questi avrà maggiore efficacia nella moltitudine di allora, che non ha quello dei nostri nella presente? Crediamo che nel comune degli uomini le facoltà del cuore, dell'immaginativa, dell' intelletto, saranno maggiori che non sono oggi?

Nelle lettere amene non veggiamo noi quanti secoli sono stati di sì perverso giudizio, che disprezzata la vera eccellenza dello scrivere, dimenticati o derisi gli ottimi scrittori antichi o nuovi, hanno amato e pregiato costantemente questo o quel modo barbaro; tenendolo eziandio per solo convenevole e naturale; perchè qualsivoglia consuetudine, quantunque corrotta e pessima, difficilmente si discerne dalla natura? E ciò non si trova essere avvenuto in secoli e nazioni per altro gentili e nobili? Che certezza abbiamo noi che la posterità sia per lodar sempre quei modi dello scrivere che noi lodiamo? se pure oggi si lodano quelli che sono lodevoli veramente. Certo i giudizi e le inclinazioni degli uomini circa le bellezze dello scrivere sono mutabilissime, e varie secondo i tempi, le nature dei luoghi e dei popoli, i costumi, gli usi, le persone. Ora a questa varietà ed incostanza è forza che soggiaccia medesimamente la gloria degli scrittori.

Anche più varia e mutabile si è la condizione così della filosofia come delle altre scienze: se bene al primo aspetto pare il contrario: perchè le lettere amene riguardano al bello, che pende in gran parte dalle consuetudini e dalle opinioni; le scienze al vero, ch'è immobile e non patisce cambiamento. Ma come questo vero è celato ai mortali, se non quanto i secoli ne discuoprono a poco a poco; però da una parte, sforzandosi gli uomini di conoscerlo, congetturandolo, abbracciando questa o quella apparenza in sua vece, si dividono in molte opinioni e molte sètte: onde si genera nelle scienze non pic

1 Somn. Scip. cap. 7.

cola varietà. Da altra parte, colle nuove notizie e coi nuovi quasi barlumi del vero, che si vengono acquistando di mano in mano, crescono le scienze di continuo: per la qual cosa, e perchè vi prevagliono in diversi tempi diverse opinioni, che tengono luogo di certezze, avviene che esse, poco o nulla durando in un medesimo stato, cangiano forma e qualità di tratto in tratto. Lascio il primo punto, cioè la varietà; che forse non è di minore nocumento alla gloria dei filosofi o degli scienziati appresso ai loro posteri, che appresso ai contemporanei. Ma la mutabilità delle scienze e della filosofia, quanto pensi tu che debba nuocere a questa gloria nella posterità? Quando per nuove scoperte fatte, o per nuove supposizioni e congetture, lo stato di una o di altra scienza sarà notabilmente mutato da quello che egli è nel nostro secolo; in che stima saranno tenuti gli scritti e i pensieri di quegli uomini che oggi in essa scienza hanno maggior lode? Chi legge ora più le opere di Galileo? Ma certo elle furono al suo tempo mirabilissime; nè forse migliori, nè più degne di un intelletto sommo, nè piene di maggiori trovati e di concetti più nobili, si potevano allora scrivere in quelle materie. Nondimeno ogni mediocre fisico o matematico dell' età presente, si trova essere, nell' una o nell' altra scienza, molto superiore a Galileo. Quanti leggono oggidì gli scritti del cancellier Bacone? chi si cura di quello del Mallebranche? e la stessa opera del Locke, se i progressi della scienza quasi fondata da lui saranno in futuro così rapidi, come mostrano dover essere, quanto tempo andrà per le mani degli uomini?

Veramente la stessa forza d' ingegno, la stessa industria e fatica, che i filosofi e gli scienziati usano a procurare la propria gloria, coll' andare del tempo sono causa o di spegnerla o di oscurarla. Perocchè dall' aumento che essi recano ciascuno alla loro scienza, e per cui vengono in grido, nascono altri aumenti, per li quali il nome e gli scritti loro vanno a poco a poco in disuso. E certo è difficile ai più degli uomini I' ammirare e venerare in altri una scienza molto inferiore alla propria. Ora chi può dubitare che l' età prossima non abbia a conoscere la falsità di moltissime cose affermate oggi o credute da quelli che nel sapere sono primi, e a superare di non piccolo tratto nella notizia del vero l' età presente?

CAPITOLO DUODECIMO.

Forse in ultimo luogo ricercherai d' intendere il mio parere e consiglio espresso, se a te, per tuo meglio, si convenga più di proseguire o di omettere il cammino di questa gloria,

sì povera di utilità, sì difficile e incerta non meno a ritenere che a conseguire, simile all' ombra, che quando tu l'abbi tra le mani, non puoi nè sentirla, nè fermarla che non si fugga. Dirò brevemente, senz' alcuna dissimulazione, il mio parere. Io stimo che cotesta tua maravigliosa acutezza e forza d'intendimento, cotesta nobiltà, caldezza e fecondità di cuore e d'immaginativa, sieno di tutte le qualità che la sorte dispensa agli animi umani, le più dannose e lacrimevoli a chi le riceve. Ma ricevute che sono, con difficoltà si fugge il loro danno e da altra parte, a questi tempi, quasi l'unica utilità che elle possono dare, si è questa gloria che talvolta se ne ritrae con applicarle alle lettere e alle dottrine. Dunque, come fanno quei poveri, che essendo per alcun accidente manchevoli o mal disposti di qualche loro membro, s' ingegnano di volgere questo loro infortunio al maggior profitto che possono, giovandosi di quello a muovere per mezzo della misericordia la liberalità degli uomini; così la mia sentenza è, che tu debba industriarti di ricavare a ogni modo da coteste tue qualità quel solo bene, quantunque piccolo incerto, che sono atte a produrre. Comunemente elle sono avute per benefizi e doni della natura, e invidiate spesso da chi ne è privo, ai passati o ai presenti che le sortirono. Cosa non meno contraria al retto senso, che se qualche uomo sano invidiasse a quei miseri che io diceva, la calamità del loro corpo; quasi che il danno di quelle fosse da eleggere volentieri, per conto dell' infelice guadagno che partoriscono. Gli altri attendono a operare, per quanto concedono i tempi, e a godere, quanto comporta questa condizione mortale. Gli scrittori grandi, incapaci, per natura o per abito, di molti piaceri umani; privi di altri molti per volontà; non di rado negletti nel consorzio degli uomini, se non forse dai pochi che seguono i medesimi studi; hanno per destino di condurre una vita simile alla morte, e vivere, se pur l' ottengono, dopo sepolti. Ma il nostro fato, dove che egli ci tragga, è da seguire con animo forte e grande; la qual cosa è richiesta massime alla tua virtù, e di quelli che ti somigliano.

DIALOGO

DI FEDERICO RUYSCH E DELLE SUE MUMMIE. '

CORO DI MORTI NELLO STUDIO DI FEDERICO RUYSCH.

Sola nel mondo eterna, a cui si volve

Ogni creata cosa,

In te, morte, si posa

Nostra ignuda natura;

Lieta no, ma sicura

Dell' antico dolor. Profonda notte

Nella confusa mente

Il pensier grave oscura;

Alla speme, al desio, l''arido spirto

Lena mancar si sente:

Così d'affanno e di temenza è sciolto,

E l'età vote e lente

Senza tedio consuma.

Vivemmo e qual di paurosa larva,

E di sudato sogno,

A lattante fanciullo erra nell' alma
Confusa ricordanza;

Tal memoria n' avanza

Del viver nostro: ma da tema è lunge

Il rimembrar. Che fummo?

Che fu quel punto acerbo

Che di vita ebbe nome?

Cosa arcana e stupenda

Oggi è la vita al pensier nostro, e tale
Qual de' vivi al pensiero

L' ignota morte appar. Come da morte
Vivendo rifuggía, così rifugge

Dalla fiamma vitale

Nostra ignuda natura;

Lieta no, ma sicura;

Però ch' esser beato

Nega ai mortali e nega a' morti il fato.

Ruysch (fuori dello studio, guardando per gli spiragli dell' uscio). Diamine! Chi ha insegnato la musica a questi morti, che cantano di mezza notte come galli? In verità che io sudo freddo, e per poco non sono più morto di loro. Io non mi pensava perchè gli ho preservati dalla corruzione, che mi risuscitassero. Tant' è: con tutta la filosofia, tremo da capo a piedi. Mal abbia quel diavolo che mi tentò di mettermi questa gente in casa. Non so che mi fare. Se gli lascio qui chiusi, che so che non rompano l'uscio, o non escano pel buco della chiave, e mi vengano a trovare a letto?

1 Vedi, tra gli altri, circa queste famose mummie, che in linguaggio scientifico si direbbero preparazioni anatomiche, il Fontenelle, Eloge de mons. Ruysch.

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