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ma come cagione di lode e di fama, e come materia da gloriarsi; moltissime eziandio se ne attribuiscono o non ottenute, o anco pure non cercate, o finte del tutto.

Notava nell' istoria che scrisse Arriano delle imprese di Alessandro Magno, che alla giornata dell' Isso, Dario collocò i soldati mercenari greci nella fronte dell'esercito, e Alessandro i suoi mercenari pur greci alle spalle; e stimava che da questa circostanza sola senza più si fosse potuto antivedere il successo della battaglia.

Non riprendeva, anzi lodava ed amava che gli scrittori ragionassero molto di sè medesimi: perchè diceva che in questo sono quasi sempre e quasi tutti eloquenti, e hanno per l'ordinario lo stile buono e convenevole, eziandio contro il consueto o del tempo, o della nazione, o proprio loro. E ciò non essere maraviglia; poichè quelli che scrivono delle cose proprie hanno l'animo fortemente preso e occupato dalla materia; non mancano mai nè di pensieri nè di affetti nati da essa materia e nell' animo loro stesso, non trasportati di altri luoghi, nè bevuti da altre fonti, nè comuni e triti; e con facilità si astengono dagli ornamenti frivoli in sè, o che non fanno a proposito, dalle grazie e dalle bellezze false, o che hanno più di apparenza che di sostanza, dall' affettazione, e da tutto quello che è fuori del naturale. Ed essere falsissimo che i lettori ordinariamente si curino poco di quello che gli scrittori dicono di sè medesimi: prima, perchè tutto quello che veramente è pensato e sentito dallo scrittore stesso, e detto con modo naturale e acconcio, genera attenzione, e fa effetto; poi, perchè in nessun modo si rappresentano o discorrono con maggior verità ed efficacia le cose altrui, che favellando delle proprie: atteso che tutti gli uomini si rassomigliano tra loro, sì nelle qualità naturali, e sì negli accidenti, e in quel che dipende dalla sorte; e che le cose umane, a considerarle in sè stesso, si veggono molto meglio e con maggiore sentimento che negli altri. In confermazione dei quali pensieri adduceva, tra le altre cose, l'aringa di Demostene per la Corona, dove l' oratore parlando di sè continuamente, vince sè medesimo di eloquenza: e Cicerone, al quale, il più delle volte, dove tocca le cose proprie, vien fatto altrettanto: il che si vede in particolare nella Miloniana, tutta maravigliosa, ma nel fine maravigliosissima, dove l'oratore introduce sè stesso. Come similmente bellissimo ed eloquentissimo nelle orazioni del Bossuet sopra tutti gli altri luoghi è quello dove chiudendo le lodi del Principe di Condé, il dicitore fa menzione della sua propria vecchiezza e vicina morte. Degli scritti di Giuliano

Lib. 2, cap. 8, sect. 9; c. 9, sect. 5. LEOPARDI.

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imperatore, che in tutti gli altri è sofista, e spesso non tollerabile, il più giudizioso e più lodevole è la diceria che s' intitola Misopogone, cioè contro alla barba; dove risponde ai motti e alle maldicenze di quelli di Antiochia contro di lui. Nella quale operetta, lasciando degli altri pregi, egli non è molto inferiore a Luciano nè di grazia comica, nè di copia, acutezza e vivacità di sali; laddove in quella dei Cesari, pure imitativa di Luciano, è sgraziato, povero di facezie, ed oltre alla povertà, debole e quasi insulso. Tra gl' Italiani, che per altro sono quasi privi di scritture eloquenti, l' apologia che Lorenzino dei Medici scrisse per giustificazione propria, è un esempio di eloquenza grande e perfetta da ogni parte; e Torquato Tasso ancora è non di rado eloquente nelle altre prose, dove parla molto di sè stesso, e quasi sempre eloquentissimo nelle lettere, dove non ragiona, si può dire, se non de' suoi propri casi.

CAPITOLO SETTIMO.

Si ricordano anche parecchi suoi motti e risposte argute: come fu quella ch' ei diede a un giovanetto, molto studioso delle lettere, ma poco esperto del mondo; il quale diceva, che dell' arte del governarsi nella vita sociale, e della cognizione pratica degli uomini, s'imparano cento fogli il dì. Rispose l'Ottonieri: ma il libro fa cinque milioni di fogli.

A un altro giovane inconsiderato e temerario, il quale per ischermirsi da quelli che gli rimproveravano le male riuscite che faceva giornalmente, e gli scorni che riportava, era usato rispondere, che della vita non è da fare più stima che di una commedia; disse una volta l'Ottonieri: anche nella commedia è meglio riportare applausi che fischiate; e il commediante male instrutto nell' arte sua, o mal destro in esercitarla, all' ultimo si muore di fame.

Preso dai sergenti della corte un ribaldo omicida, il quale per essere zoppo, commesso il misfatto, non era potuto fuggire; disse: vedete, amici, che la giustizia, se bene si dice che sia zoppa, raggiunge però il malfattore, se egli è zoppo.

Viaggiando per l'Italia, essendogli detto, non so dove, da un cortigiano che lo voleva mordere: io ti parlerò schiettamente, se tu me ne dái licenza; rispose: anzi avrò caro assai di ascoltarti; perchè viaggiando si cercano le cose rare.

Costretto da non so quale necessità, una volta, a chiedere danari in prestanza a uno, il quale scusandosi di non potergliene dare, concluse affermando, che se fosse stato ricco, non avrebbe avuto maggior pensiero che delle occorrenze degli amici: esso replicò: mi rincrescerebbe assai che tu stessi

in pensiero per causa nostra. Prego Dio che non ti faccia mai ricco.

Da giovane, avendo composto alcuni versi, e adoperatovi certe voci antiche; dicendogli una signora attempata, alla quale, richiesto da essa, li recitava, non li sapere intendere, perchè quelle voci al tempo suo non correvano; rispose: anzi mi credeva che corressero; perchè sono molto antiche.

Di un avaro ricchissimo, al quale era stato fatto un furto di pochi danari, disse, che si era portato avaramente ancora coi ladri.

Di un calcolatore, che sopra qualunque cosa gli veniva udita o veduta, si metteva a computare, disse: gli altri fanno le cose, e costui le conta.

Ad alcuni antiquari che disputavano insieme dintorno a una figurina antica di Giove, formata di terra cotta; richiesto del suo parere: non vedete voi, disse, che questo è un Giove in Creta?

Di uno sciocco il quale presumeva saper molto bene raziocinare, e ne' suoi discorsi, a ogni due parole, ricordava la logica; disse questi è propriamente l'uomo definito alla greca; cioè un animale logico.

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Vicino a morte, compose esso medesimo questa inscrizione, che poi gli fu scolpita sopra la sepoltura:

OSSA

DI FILIPPO OTTONIERI

NATO ALLE OPERE VIRTUOSE

E ALLA GLORIA

VISSUTO OZIOSO E DISUTILE

E MORTO SENZA FAMA

NON IGNARO DELLA NATURA
NE DELLA FORTUNA

SUA.

DIALOGO

DI CRISTOFORO COLOMBO E DI PIETRO GUTIERREZ.

Colombo. Bella notte, amico.

Gutierrez. Bella in verità: e credo che a vederla da terra, sarebbe più bella.

Colombo. Benissimo: anche tu sei stanco del navigare. Gutierrez. Non del navigare in ogni modo; ma questa

navigazione mi riesce più lunga che io non aveva creduto, e mi dà un poco di noia. Contutto ciò non hai da pensare che io mi dolga di te, come fanno gli altri. Anzi tieni per certo che qualunque deliberazione tu sia per fare intorno a questo viaggio, sempre ti seconderò, come per l' addietro, con ogni mio potere. Ma, così per via di discorso, vorrei che tu mi dichiarassi precisamente, con tutta sincerità, se ancora hai così per sicuro, come a principio, di avere a trovar paese in questa parte del mondo; o se, dopo tanto tempo e tanta esperienza in contrario, cominci niente a dubitare.

Colombo. Parlando schiettamente, e come si può con persona amica e segreta, confesso che sono entrato un poco in forse: tanto più che nel viaggio parecchi segni che mi avevano dato speranza grande, mi sono riusciti vani; come fu quel degli uccelli che ci passarono sopra, venendo da ponente, pochi di poi che fummo partiti da Gomera, e che io stimai fossero indizio di terra poco lontana. Similmente, ho veduto di giorno in giorno che l'effetto non ha corrisposto a più di una congettura e più di un pronostico fatto da me innanzi che ci ponessimo in mare, circa a diverse cose che ci sarebbero occorse, credeva io, nel viaggio. Però vengo discorrendo, che come questi pronostici mi hanno ingannato, con tutto che mi paressero quasi certi; così potrebbe essere che mi riuscisse anche vana la congettura principale, cioè dell' avere a trovar terra di là dall' Oceano. Bene è vero che ella ha fondamenti tali, che se pure è falsa, mi parrebbe da un canto che non si potesse aver fede a nessun giudizio umano, eccetto che esso non consista del tutto in cose che si veggano presentemente e si tocchino. Ma da altro canto, considero che la pratica si discorda spesso, anzi il più delle volte, dalla speculazione; e anche dico fra me: che puoi tu sapere che ciascuna parte del mondo si rassomigli alle altre in modo, che essendo l'emisfero d' oriente occupato parte dalla terra e parte dall' acqua, seguiti che anche l'occidentale debba essere diviso tra questa e quella? che puoi sapere che non sia tutto occupato da un mare unico e immenso? o che in vece di terra, o anco di terra e d'acqua, non contenga qualche altro elemento? Dato che abbia terre e mari come l' altro, non potrebbe essere che fosse inabitato? anzi inabitabile? Facciamo che non sia meno abitato del nostro: che certezza hai tu che vi abbia creature razionali, come in questo? e quando pure ve ne abbia, come ti assicuri che sieno uomini, e non qualche altro genere di animali intellettivi? ed essendo uomini, che non sieno differentissimi da quelli che tu conosci? ponghiamo caso, molto maggiori di corpo, più gagliardi, più destri; dotati naturalmente di molto maggiore ingegno e spirito; anche, assai meglio inciviliti, e ricchi di molto più

scienza ed arte? Queste cose vengo pensando fra me stesso. E per verità la natura si vede essere fornita di tanta potenza, e gli effetti di quella essere così vari e moltiplici, che non solamente non si può fare giudizio certo di quel che ella abbia operato ed operi in parti lontanissime e del tutto incognite al mondo nostro, ma possiamo anche dubitare che uno s'inganni di gran lunga argomentando da questo a quelle; e non sarebbe contrario alla verisimilitudine l'immaginare che le cose del mondo ignote, o tutte o in parte, fossero maravigliose e strane a rispetto nostro. Ecco che noi veggiamo cogli occhi propri che l'ago in questi mari declina dalla stella per non piccolo spazio verso ponente: cosa novissima, e insino adesso inaudita a tutti i navigatori; della quale per molto fantasticarne, io non so pensare una ragione che mi contenti. Non dico per tutto questo, che si abbia a prestare orecchio alle favole degli antichi circa alle maraviglie del mondo sconosciuto, e di questo Oceano; come, per esempio, alla favola dei paesi narrati da Annone, che la notte erano pieni di fiamme, e dei torrenti di fuoco che di là sboccavano nel mare: anzi veggiamo quanto sieno stati vani fin qui tutti i timori di miracoli e di novità spaventevoli, avuti dalla nostra gente in questo viaggio; come quando, al vedere quella quantità di alghe, che pare va facessero della marina quasi un prato, e c' impedivano alquanto l' andare innanzi, pensarono essere in sugli ultimi confini del mar navigabile. Ma voglio solamente inferire, rispondendo alla tua richiesta, che quantunque la mia congettura sia fondata in argomenti probabilissimi, non solo a giudizio mio, ma di molti geografi, astronomi e navigatori eccellenti, coi quali ne ho conferito, come sai, nella Spagna, nell' Italia e nel Portogallo; nondimeno potrebbe succedere che fallasse: perchè, torno a dire, veggiamo che molte conclusioni cavate da ottimi discorsi, non reggono all'esperienza; e questo interviene più che mai, quando elle appartengono a cose intorno alle quali si ha pochissimo lume.

Gutierrez. Di modo che tu, in sostanza, hai posto la tua vita, e quella de' tuoi compagni, in sul fondamento di una semplice opinione speculativa.

Colombo. Così è: non posso negare. Ma lasciando da parte che gli uomini tutto giorno si mettono a pericolo della vita con fondamenti più deboli di gran lunga, e per cose di piccolissimo conto, o anche senza pensarlo; considera un poco. Se al presente tu ed io, e tutti i nostri compagni, non fossimo in su queste navi, in mezzo di questo mare, in questa solitudine incognita, in istato incerto e rischioso quanto si voglia, in quale altra condizione di vita ci troveremmo essere? in che

1 1 Peripl. in Geogr. græc. min. pag. 5.

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