O qual tanta possanza Valse a spogliarti il manto e l'auree bende ? Da tanta altezza in così basso loco? Dammi, o ciel, che sia foco Agl' italici petti il sangue mio. Dove sono i tuoi figli? odo suon d'armi E di carri e di voci e di timballi: In estranie contrade Pugnano i tuoi figliuoli. Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi, Un fluttuar di fanti e di cavalli, E fumo e polve, e luccicar di spade Come tra nebbia lampi. Nè ti conforti? e i tremebondi lumi L'itala gioventude? O numi, o numi! Ma da nemici altrui Per altra gente, e non può dir morendo: La vita che mi desti ecco ti rendo. Oh venturose e care e benedette L'antiche età, che a morte Per la patria correan le genti a squadre; O tessaliche strette, Dove la Persia e il fato assai men forte Narrin siccome tutta quella sponda De' corpi ch' alla Grecia eran devoti. Serse per l' Ellesponto si fuggia, Simonide salia, Guardando l' etra e la marina e il suolo. Beatissimi voi, Ch' offriste il petto alle nemiche lance Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira. Qual tanto amor le giovanette menti, Qual nell' acerbo fato amor vi trasse? L'ora estrema vi parve, onde ridenti Parea ch'a danza e non a morte andasse Tartaro, e l' onda morta; Nè le spose vi fôro o i figli accanto Quando su l' aspro lito Senza baci moriste e senza pianto. Ma non senza de' Persi orrida pena Ed immortale angoscia. 1 Il successo delle Termopile fu celebrato veramente da quello che in essa canzone s' introduce a poetare, cioè da Simonide, tenuto dall' antichità fra gli ottimi poeti lirici, vissuto, che più rileva, ai medesimi tempi della scesa di Serse, e greco di patria. Questo suo fatto, lasciando l' epitaffio riportato da Cicerone e da altri, si dimostra da quello che scrive Diodoro nell' undecimo libro, dove recita anche certe parole di esso poeta in questo proposito, due o tre delle quali sono espresse nel quinto verso dell' ultima strofe. Rispetto dunque alle predette circostanze del tempo e della persona, e d' altra parte riguardando alle qualità della materia per sè medesima, io non credo che mai si trovasse argomento più degno di poema lirico, nè più fortunato di questo che fu scelto, o più veramente sortito, da Simonide. Perocchè se l'impresa delle Termopile fa tanta forza a noi che siamo stranieri verso quelli che l' operarono, e con tutto questo non possiamo tenere le lacrime a leggerla semplicemente come passasse, e ventitrè secoli dopo ch' ella è seguita; abbiamo a far congettura di quello che la sua ricordanza dovesse potere in un Greco, e poeta, e dei principali, avendo veduto il fatto, si può dire, cogli occhi propri, andando per le stesse città vincitrici di un esercito molto maggiore di quanti altri si ricorda la storia d' Europa, venendo a parte delle feste, delle maraviglie, del fervore di tutta un' eccellentissima nazione, fatta anche più magnanime della sua natura dalla coscienza della gloria acquistata, e dall' emulazione di tanta virtù dimostrata pur dianzi dai suoi. Per queste considerazioni, riputando a molta disavventura che le cose scritte da Simonide in quella occorrenza fossero perdute, non ch' io presumessi di riparare a questo danno, ma come per ingannare il desiderio, procurai di rappresentarmi alla mente le disposizioni dell' animo del poeta in quel tempo, e con questo mezzo, salva la disuguaglianza degl' ingegni, tornare a fare il suo canto; del quale io porto questo parere, che o fosse maraviglioso, o la fama di Simonide fosse vana, e gli scritti perissero con poca ingiuria. Lettera a Vincenzo Monti premessa alle edizioni di Roma e di Bologna. Come lion di tori entro una mandra Or questo fianco addenta or quella coscia; L' ira de' greci petti e la virtute. La fuga i carri e le tende cadute, Pallido e scapigliato esso tiranno; Del barbarico sangue i greci eroi, Mentre nel mondo si favelli o scriva. Prima divelte, in mar precipitando, Spente nell' imo strideran le stelle, Che la memoria e il vostro Amor trascorra o scemi. La vostra tomba è un' ara; e qua mostrando Verran le madri ai pargoli le belle Orme del vostro sangue. Ecco io mi prostro,. E bacio questi sassi e queste zolle, Dall' uno all altro polo. Deh foss' io pur con voi qui sotto, e molle Così la vereconda Fama del vostro vate appo i futuri Possa, volendo i numi, Tanto durar quanto la vostra duri. II. SOPRA IL MONUMENTO DI DANTE CHE SI PREPARAVA IN FIRENZE. Perchè le nostre genti Pace sotto le bianche ali raccolga, Dell' antico sopor l' itale menti Far ai passati onor; chè d' altrettali Pensier degli avi nostri e de' nepoti. D' aria e d' ingegno e di parlar diverso Per lo toscano suol cercando già L'ospite desioso Dove giaccia colui per lo cui verso Il meonio cantor non è più solo. Ed, oh vergogna! udia Che non che il cener freddo e l'ossa nude Giaccian esuli ancora Dopo il funereo di sott' altro suolo, Ma non sorgea dentro a tue mura un sasso Firenze, a quello per la cui virtude Tutto il mondo t'onora. Oh voi pietosi, onde sì tristo e basso Obbrobrio laverà nostro paese! Bell' opra hai tolta e di che amor ti rende, Schiera prode e cortese, Qualunque petto amor d'Italia accende. Amor d'Italia, o cari, Amor di questa misera vi sproni, Vêr cui pietade è morta In ogni petto omai, perciò che amari 2 Giorni dopo il seren dato n' ha il cielo. E duolo e sdegno di cotanto affanno Nova favilla indurre abbian valore? Ed acri punte premeravvi al seno. Del furor vostro e dell' immenso affetto? Chi pingerà l' attonito sembiante? Chi degli occhi il baleno? Qual può voce mortal celeste cosa Agguagliar figurando? Lunge sia, lunge alma profana. Oh quante Lacrime al nobil sasso Italia serba! Come cadrà? come dal tempo rôsa Fia vostra gloria o quando? Voi, di che il nostro mal si disacerba, Fra l' itale ruine GI' itali pregi a celebrare intente. Ad onorar nostra dolente madre E mesco all' opra vostra il canto mio, Se di cosa terrena, Se di costei che tanto alto locasti Son bronzi marmi; e dalle nostre menti Pianga tua stirpe à tutto il mondo oscura. |