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tive, come veggo fare a molti filosofi in questo secolo; e la mia disperazione, per essere intera, e continua, e fondata in un giudizio fermo e in una certezza, non mi lascia luogo a sogni e immaginazioni liete circa il futuro, nè animo d'intraprendere cosa alcuna per vedere di ridurle ad effetto. E ben sapete che l'uomo non si dispone a tentare quel che egli sa o crede non dovergli succedere, e quando vi si disponga, opera di mala voglia e non poca forza; e che scrivendo in modo diverso o contrario all' opinione propria, se questa fosse anco falsa, non si fa mai cosa degna di considerazione.

Timandro. Ma bisogna ben riformare il giudizio proprio quando sia diverso dal vero; come è il vostro.

Eleandro. Io giudico, quanto a me, di essere infelice; e in questo so che non m'inganno. Se gli altri non sono, me ne congratulo con tutta l'anima. Io sono anche sicuro di non liberarmi dall' infelicità, prima che io muoia. Se gli altri hanno diversa speranza di sè, me ne rallegro similmente.

Timandro. Tutti siamo infelici, e tutti lo sono stati: e credo non vorrete gloriarvi che questa vostra sentenza sia delle più nuove. Ma la condizione umana si può migliorare di gran lunga da quel che ella è, come è già migliorata indicibilmente da quello che fu. Voi mostrate non ricordarvi, o non volervi ricordare, che l' uomo è perfettibile.

Eleandro. Perfettibile lo crederò sopra la vostra fede; ma perfetto, che è quel che importa maggiormente, non so quando l' avrò da credere nè sopra la fede di chi.

Timandro. Non è giunto ancora alla perfezione, perchè gli è mancato tempo; ma non si può dubitare che non vi sia per giungere.

Eleandro. Nè io ne dubito. Questi pochi anni che sono corsi dal principio del mondo al presente, non potevano bastare; e non se ne dee far giudizio dell' indole, del destino e delle facoltà dell' uomo: oltre che si sono avute altre faccende per le mani. Ma ora non si attende ad altro che a perfezionare la nostra specie.

Timandro. Certo vi si attende con sommo studio in tutto il mondo civile. E considerando la copia e l'efficacia dei mezzi, l'una e l'altra aumentate incredibilmente da poco in qua, si può credere che l'effetto si abbia veramente a conseguire fra più o men tempo: e questa speranza è di non piccolo giovamento a cagione delle imprese e operazioni utili che ella promuove o partorisce. Però se fu mai dannoso e riprensibile in alcun tempo, nel presente è dannosissimo e abbominevole l'ostentare cotesta vostra disperazione, e l'inculcare agli uomini la necessità della loro miseria, la vanità della vita, l'imbecillità e piccolezza della loro specie, e la malvagità della

loro natura: il che non può fare altro frutto che prostrarli d'animo; spogliarli della stima di sè medesimi, primo fondamento della vita onesta, della utile, della gloriosa; e distorli dal procurare il proprio bene.

Eleandro. Io vorrei che mi dichiaraste precisamente, se vi pare che quello che io credo e dico intorno all' infelicità degli uomini, sia vero o falso.

Timandro. Voi riponete mano alla vostra solita arme; e quando io vi confessi che quello che dite è vero, pensate vincere la questione. Ora io vi rispondo, che non ogni verità è da predicare a tutti, nè in ogni tempo.

Eleandro. Di grazia, soddisfatemi anche di un' altra domanda. Queste verità che io dico e non predico, sono nella filosofia, verità principali, o pure accessorie?

Timandro. Io, quanto a me, credo che sieno la sostanza di tutta la filosofia.

Eleandro. Dunque s'ingannano grandemente quelli che dicono e predicano che la perfezione dell' uomo consiste nella conoscenza del vero, e tutti i suoi mali provengono dalle opinioni false e dalla ignoranza, e che il genere umano allora finalmente sarà felice, quando ciascuno o i più degli uomini conosceranno il vero, e a norma di quello solo comporranno e governeranno la loro vita. E queste cose le dicono poco meno che tutti i filosofi antichi e moderni. Ecco che a giudizio vostro, quelle verità che sono la sostanza di tutta la filosofia, si debbono occultare alla maggior parte degli uomini; e credo che facilmente consentireste che debbano essere ignorate o dimenticate da tutti: perchè sapute, e ritenute nell' animo, non possono altro che nuocere. Il che è quanto dire che la filosofia si debba estirpare dal mondo. Io non ignoro che l'ultima conclusione che si ricava dalla filosofia vera e perfetta, si è, che non bisogna filosofare. Dal che s'inferisce che la filosofia, primieramente è inutile, perchè a questo effetto di non filosofare, non fa bisogno esser filosofo; secondariamente è dannosissima, perchè quella ultima conclusione non vi s' impara se non alle proprie spese, e imparata che sia, non si può mettere in opera; non essendo in arbitrio degli uomini dimenticare le verità conosciute, e deponendosi più facilmente qualunque altro abito che quello di filosofare. În somma la filosofia, sperando e promettendo a principio di medicare i nostri mali, in ultimo si riduce a desiderare invano di rimediare a sè stessa. Posto tutto ciò, domando perchè si abbia da credere che l' età presente sia più prossima e disposta alla perfezione che le passate. Forse per la maggior notizia del vero; la quale si vede essere contrarissima alla felicità dell' uomo? O forse perchè al presente alcuni pochi conoscono che non bisogna filosofare, senza che però

abbiano facoltà di astenersene? Ma i primi uomini in fatti non filosofarono, e i selvaggi se ne astengono senza fatica. Quali altri mezzi o nuovi, o maggiori che non ebbero gli antenati, abbiamo noi, di approssimarci alla perfezione?

Timandro. Molti, e di grande utilità: ma l' esporgli vorrebbe un ragionamento infinito.

Eleandro. Lasciamoli da parte per ora: e tornando al fatto mio, dico, che se ne' miei scritti io ricordo alcune verità. dure e triste, o per isfogo dell' animo o per consolarmene col riso, e non per altro; io non lascio tuttavia negli stessi libri di deplorare, sconsigliare e riprendere lo studio di quel misero e freddo vero, la cognizione del quale è fonte o di noncuranza e infingardaggine, o di bassezza d' animo, iniquità e disonestà di azioni, e perversità di costumi: laddove, per lo contrario, lodo ed esalto quelle opinioni, benchè false, che generano atti e pensieri nobili, forti, magnanimi, virtuosi, ed utili al ben comune o privato; quelle immaginazioni belle e felici, ancorchè vane, che danno pregio alla vita; le illusioni naturali dell' animo; e in fine gli errori antichi, diversi assai dagli errori barbari; i quali solamente, e non quelli, sarebbero dovuti cadere per opera della civiltà moderna e della filosofia. Ma queste, secondo me, trapassando i termini (come è proprio e inevitabile alle cose umane), non molto dopo sollevati da una barbarie, ci hanno precipitati in un' altra, non minore della prima; quantunque nata dalla ragione e dal sapere, non dall' ignoranza; e però meno efficace e manifesta nel corpo che nello spirito, men gagliarda nelle opere, e per dir così, più riposta ed intrinseca. In ogni modo, io dubito, o inclino piuttosto a credere, che gli errori antichi, quanto sono necessari al buono stato delle nazioni civili, tanto sieno, e ogni dì più debbano essere, impossibili a rinnovarveli. Circa la perfezione dell' uomo, io vi giuro, che se fosse già conseguita, avrei scritto almeno un tomo in lode del genere umano. Ma poichè non è toccato a me di vederla, e non aspetto che mi tocchi in mia vita, sono disposto di assegnare per testamento una buona parte della mia roba ad uso che quando il genere umano sarà perfetto, se gli faccia e pronuncisi pubblicamente un panegirico tutti gli anni; e anche gli sia rizzato un tempietto all' antica, o una statua, o quello che sarà creduto a proposito.

e

1

IL COPERNICO,

DIALOGO.

SCENA PRIMA.

L'ORA PRIMA E IL SOLE.

Ora prima. Buon giorno, Eccellenza.
Sole. Si: anzi buona notte.

Ora prima. I cavalli sono in ordine.

Sole. Bene.

Ora prima. La diana è venuta fuori da un pezzo.
Sole. Bene: venga o vada a suo agio.

Ora prima. Che intende di dire vostra Eccellenza?
Sole. Intendo che tu mi lasci stare.

Ora prima. Ma, Eccellenza, la notte già è durata tanto, che non può durare più; e se noi c' indugiassimo, vegga, Eccellenza, che poi non nascesse qualche disordine.

Sole. Nasca quello che vuole, che io non mi muovo. Ora prima. Oh, Eccellenza, che è cotesto? si sentirebbe ella male?

Sole. No no, io non mi sento nulla; se non che io non mi voglio muovere: e però tu te ne andrai per le tue faccende.

Ora prima. Come debbo io andare se non viene ella, chè io sono la prima ora del giorno? e il giorno come può essere, se vostra Eccellenza non si degna, come è solita, di uscir fuori?

Sole. Se non sarai del giorno, sarai della notte; ovvero le ore della notte faranno l'uffizio doppio, e tu e le tue compagne starete in ozio. Perchè, sai che è? io sono stanco di questo continuo andare attorno per far lume a quattro animaluzzi, che vivono in su un pugno di fango, tanto piccino, che io, che ho buona vista, non le arrivo a vedere; e questa notte ho fermato di non volere altra fatica per questo; e che se gli uomini vogliono veder lume, che tengano i loro fuochi accesi, o provveggano in altro modo.

Ora prima. E che modo, Eccellenza, vuole ella che ci trovino i poverini? E a dover poi mantenere le loro lucerne, o provvedere tante candele che ardano tutto lo spazio del giorno, sarà una spesa eccessiva. Che se fosse già ritrovato di fare quella certa aria da servire per ardere, e per illuminare le strade, le camere, le botteghe, le cantine, e ogni cosa,

e il tutto con poco dispendio; allora direi che il caso fosse manco male. Ma il fatto è che ci avranno a passare ancora. trecento anni, poco più o meno, prima che gli uomini ritrovino quel rimedio: e intanto verrà loro manco l'olio e la cera e la pece e il sego; e non avranno più che ardere.

Sole. Andranno a caccia delle lucciole, e di quei vermicciuoli che splendono.

Ora prima. E al freddo come provvederanno? chè senza quell' aiuto che avevano da vostra Eccellenza, non basterà il fuoco di tutte le selve a riscaldarli. Oltre che si morranno anche dalla fame: perchè la terra non porterà più i suoi frutti. E così, in capo a pochi anni, si perderà il seme di quei poveri animali: che quando saranno andati un pezzo qua e là per la terra, a tastone, cercando di che vivere e di che riscaldarsi; finalmente, consumata ogni cosa che si possa ingoiare, e spenta l'ultima scintilla di fuoco, se ne morranno tutti al buio, ghiacciati come pezzi di cristallo di roccia.

Sole. Che importa cotesto a me? che, sono io la balia del genere umano; o forse il cuoco, che gli abbia da stagionare e da apprestare i cibi? e che mi debbo io curare se certa poca quantità di creaturine invisibili, lontane da me i milioni delle miglia, non veggono, e non possono reggere al freddo, senza la luce mia? E poi, se io debbo anco servir, come dire, di stufa o di focolare a questa famiglia umana, è ragionevole che, volendo la famiglia scaldarsi, venga essa intorno del focolare, e non che il focolare vada dintorno alla casa. Per questo, se alla Terra fa di bisogno della presenza mia, cammini ella e adoprisi per averla; chè io per me non ho bisogno di cosa alcuna dalla Terra, perchè io cerchi di lei.

Ora prima. Vostra Eccellenza vuol dire, se io intendo bene, che quello che per lo passato ha fatto ella, ora faccia. la Terra.

Sole. Si: ora, e per l' innanzi sempre.

Ora prima. Certo che vostra Eccellenza ha buona ragione in questo: oltre che ella può fare di sè a suo modo. Ma pure contuttociò, si degni, Eccellenza, di considerare quante cose belle è necessario che sieno mandate a male, volendo stabilire questo nuovo ordine. Il giorno non avrà più il suo bel carro dorato, co' suoi bei cavalli, che si lavavano alla marina: e per lasciare le altre particolarità, noi altre povere ore non avremo più luogo in cielo, e di fanciulle celesti diventeremo terrene; se però, come io aspetto, non ci risolveremo piuttosto in fumo. Ma sia di questa parte come si voglia; il punto sarà persuadere alla Terra di andare attorno; che ha da esser difficile pure assai: perch' ella non ci è usata; e le dee parere strano di aver poi sempre a correre e affaticarsi tanto, non avendo

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