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E se

mai dato un crollo da quel suo luogo insino a ora. vostra Eccellenza adesso, per quel che pare, comincia a porgere un poco di orecchio alla pigrizia; io odo che la Terra non sia mica più inclinata alla fatica oggi che in altri tempi.

Sole. Il bisogno, in questa cosa, la pungerà, e le farà balzare e correre quanto convenga. Ma in ogni modo, qui la via più spedita e la più sicura è di trovare un poeta ovvero un filosofo che persuada alla Terra di muoversi, o che quando altrimenti non la possa indurre, la faccia andar via per forza. Perchè finalmente il più di questa faccenda è in mano dei filosofi e dei poeti; anzi essi ci possono quasi il tutto. I poeti sono stati quelli che per l'addietro (perch' io era più giovane e dava loro orecchio), con quelle belle canzoni, mi hanno fatto fare di buona voglia, come per un diporto, o per un esercizio onorevole, quella sciocchissima fatica di correre alla disperata, così grande e grosso come io sono, intorno a un granellino di sabbia. Ma ora che io sono maturo di tempo, e che mi sono voltato alla filosofia, cerco in ogni cosa l' utilità, e non il bello; e i sentimenti dei poeti, se non mi muovono lo stomaco, mi fanno ridere. Voglio, per fare una cosa, averne buone ragioni, e che sieno di sostanza; e perchè io non trovo nessuna ragione di anteporre alla vita oziosa e agiata la vita attiva; la quale non ti potria dar frutto che pagasse il travaglio, anzi solamente il pensiero (non essendoci al mondo un frutto che vaglia due soldi); perciò sono deliberato di lasciare le fatiche e i disagi agli altri, e io per la parte mia vivere in casa quieto e senza faccende. Questa. mutazione in me, come ti ho detto; oltre a quel che ci ha cooperato l' età, l' hanno fatta i filosofi; gente che in questi tempi è cominciata a montare in potenza, e monta ogni giorno più. Sicchè, volendo fare adesso che la terra si muova, e che diasi a correre attorno in vece mia; per una parte veramente sarebbe a proposito un poeta più che un filosofo perchè i poeti, ora con una fola, ora con un' altra, dando ad intendere che le cose del mondo sieno di valuta e di peso, e che sieno piacevoli e belle molto, e creando mille speranze allegre, spesso invogliano gli altri di faticare; e i filosofi gli svogliano. Ma dall' altra parte, perchè i filosofi sono cominciati a stare al di sopra, io dubito che un poeta non sarebbe ascoltato oggi dalla Terra, più di quello che fossi per ascoltarlo io; o che, quando fosse ascoltato, non farebbe effetto. E però sarà il meglio che noi ricorriamo a un filosofo: che se bene i filosofi ordinariamente sono poco atti, e meno inclinati, a muovere altri ad operare; tuttavia può essere che in questo caso così estremo, venga loro fatta cosa contraria al loro usato. Eccetto se la terra non giudicherà che le sia più espediente di andarsene a perdizione, che avere a travagliarsi tanto che

io non direi però che ella avesse il torto: basta, noi vedremo quello che succederà. Dunque tu farai una cosa: tu te n'andrai là in Terra; o pure vi manderai l' una delle tue compagne, quella che tu vorrai: e se ella troverà qualcuno di quei filosofi che stia fuori di casa al fresco, speculando il cielo e le stelle; come ragionevolmente ne dovrà trovare, per la novità di questa notte così lunga; ella senza più, levatolo su di peso, se lo gitterà in sul dosso; e così torni, e me lo rechi insin qua: che io vedrò di disporlo a fare quello che occorre. Hai tu inteso bene?

Ora prima. Eccellenza sì. Sarà servita.

SCENA SECONDA.

COPERNICO in sul terrazzo di casa sua, guardando in cielo a levante, per mezzo d' un cannoncello di carta; perchè non erano ancora inventati i cannocchiali.

Gran cosa è questa. O che tutti gli oriuoli fallano, o il sole dovrebbe esser levato già è più di un'ora: e qui non si vede nè pure un barlume in oriente; con tutto che il cielo sia chiaro e terso come uno specchio. Tutte le stelle risplendono come fosse la mezza notte. Vattene ora all' Almagesto o al Sacrobosco, e di' che ti assegnino la cagione di questo caso. Io ho udito dire più volte della notte che Giove passò colla moglie d' Anfitrione: e così mi ricordo aver letto poco fa in un libro moderno di uno Spagnuolo, che i Peruviani raccontano che una volta, in antico, fu nel paese loro una notte lunghissima, anzi sterminata; e che alla fine il sole uscì fuori da un certo lago, che chiamano di Titicaca. Ma insino a qui ho pensato che queste tali non fossero se non ciance; e io l'ho tenuto per fermo; come fanno tutti gli uomini ragionevoli. Ora che io m' avveggo che la ragione e la scienza non rilevano, a dir proprio, un'acca; mi risolvo a credere che queste e simili cose possano esser vere verissime: anzi io sono per andare a tutti i laghi e a tutt'i pantani ch' io potrò, e vedere se io m' abbattessi a pescare il sole. Ma che è questo rombo che io sento, che par come delle ali di uno uccello grande?

SCENA TERZA.

L' ORA ULTIMA E COPERNICO.

Ora ultima. Copernico, io sono l' Ora ultima. Copernico. L'ora ultima? Bene: qui bisogna adattarsi. Solo, se si può, dammi tanto di spazio, che io possa far testamento, e dare ordine a' fatti miei prima di morire.

Ora ultima. Che morire? io non sono già l'ora ultima della vita.

Copernico. Oh, che sei tu dunque? l'ultima ora dell'ufficio del breviario?

Ora ultima. Credo bene io, che cotesta ti sia più cara che l'altre, quando tu ti ritrovi in coro.

Copernico. Ma come sai tu cotesto, che io sono canonico? E come mi conosci tu? che anche mi hai chiamato dianzi per nome?

Ora ultima. Io ho preso informazione dell' esser tuo da certi ch' erano qua sotto, nella strada. In breve, io sono l'ultima ora del giorno.

Copernico. Ah, io ho inteso: la prima ora è malata; e da questo è che il giorno non si vede ancora.

Ora ultima. Lasciami dire. Il giorno non è per aver luogo più, nè oggi nè domani nè poi, se tu non provvedi.

Copernico. Buono sarebbe cotesto; che toccasse a me il carico di fare il giorno.

Ora ultima. Io ti dirò il come. Ma la prima cosa, è di necessità che tu venga meco senza indugio a casa del Sole, mio padrone. Tu intenderai ora il resto per via; e parte ti sarà detto da sua Eccellenza, quando noi saremo arrivati.

Copernico. Bene sta ogni cosa. Ma il cammino, se però io non m'inganno, dovrebbe esser lungo assai. E come potrò io portare tanta provvisione che mi basti a non morire affamato qualche anno prima di arrivare? Aggiungi che le terre di sua Eccellenza non credo io che producano di che apparecchiarmi solamente una colazione.

Ora ultima. Lascia andare cotesti dubbi. Tu non avrai a star molto in casa del Sole; e il viaggio si farà in un attimo; perchè io sono uno spirito, se to non sai.

Copernico. Ma io sono un corpo.

Ora ultima. Ben bene: tu non ti hai da impacciare di cotesti discorsi, chè tu non sei già un filosofo metafisico. Vien qua: montami sulle spalle; e lascia fare a me il resto.

Copernico. Orsù: ecco fatto. Vediamo a che sa riuscire questa novità.

SCENA QUARTA.

COPERNICO E IL SOLE.

Copernico. Illustrissimo Signore.

Sole. Perdona, Copernico, se io non ti fo sedere; perchè qua non si usano sedie. Ma noi ci spacceremo tosto. Tu hai già inteso il negozio dalla mia fante. Io dalla parte mia, per quel che la fanciulla mi riferisce della tua qualità, trovo che tu sei molto a proposito per l'effetto che si ricerca.

LEOPARDI.

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Copernico. Signore, io veggo in questo negozio molte difficoltà.

Sole. Le difficoltà non debbono spaventare un uomo della. tua sorte. Anzi si dice che elle accrescono animo all' animoso. Ma quali sono poi, alla fine, coteste difficoltà?

Copernico. Primieramente, per grande che sia la potenza della filosofia, non mi assicuro ch' ella sia grande tanto, da persuadere alla Terra di darsi a correre, in cambio di stare a sedere agiatamente; e darsi ad affaticare, in vece di stare in ozio massime a questi tempi; che non sono già i tempi eroici.

Sole. E se tu non la potrai persuadere, tu la forzerai. Copernico. Volentieri, illustrissimo, se io fossi un Ercole, o pure almanco un Orlando; e non un canonico di Varmia.

Sole. Che fa cotesto al caso? Non si racconta egli di un vostro matematico antico, il quale diceva che se gli fosse dato un luogo fuori del mondo, che stando egli in quello, si fidava di smuovere il cielo e la terra? Or tu non hai a smuovere il cielo; ed ecco che ti trovi in quel luogo che è fuor della terra. Dunque, se tu non sei da meno di quell' antico, non dee mancare che tu non la possa muovere, voglia essa o non voglia.

Copernico. Signor mio, cotesto si potrebbe fare: ma ci si richiederebbe una leva; la quale vorrebbe esser tanto lunga, che non solo io, ma vostra signoria illustrissima, quantunque ella sia ricca, non ha però tanto che bastasse a mezza la spesa della materia per farla, e della fattura. Un' altra difficoltà più grave è questa che io vi dirò adesso; anzi egli è come un groppo di difficoltà. La terra insino a oggi ha tenuto la prima sede del mondo, che è a dire il mezzo; e (come voi sapete) stando ella immobile, e senza altro affare che guardarsi all' intorno, tutti gli altri globi dell' universo, non meno i più grandi che i più piccoli, e così gli splendenti come gli oscuri, le sono iti rotolandosi di sopra e di sotto e ai lati continuamente; con una fretta, una faccenda, una furia da sbalordirsi a pensarla. E così, dimostrando tutte le cose di essere occupate in servizio suo, pareva che l'universo fosse a somiglianza di una corte; nella quale la Terra sedesse come in un trono; e gli altri globi dintorno, in modo di cortigiani, di guardie, di servitori, attendessero chi ad un ministero e chi a un altro. Sicchè, in effetto, la Terra si è creduta sempre di essere imperatrice del mondo: e per verità, stando così le cose come sono state per l'addietro, non si può mica dire che ella discorresse male; anzi io non negherei che quel suo concetto non fosse molto fondato. Che vi dirò poi degli uomini? che riputandoci (come ci riputeremo sempre) più che primi e più che principalissimi tra le creature terrestri,

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ciascheduno di noi, se ben fosse un vestito di cenci e che non avesse un cantuccio di pan duro da rodere, si è tenuto per certo di essere uno imperatore; non mica di Constantinopoli o di Germania, ovvero della metà della Terra, come erano gl' imperatori romani; ma un imperatore dell' universo; un imperatore del sole, dei pianeti, di tutte le stelle visibili e non visibili; e causa finale delle stelle, dei pianeti, di vostra signoria illustrissima, e di tutte le cose. Ma ora se noi vogliamo che la Terra si parta da quel suo luogo di mezzo; se facciamo ch' ella corra, ch' ella si voltoli, ch'ella si affanni di continuo, che eseguisca quel tanto, nè più nè meno, che si è fatto di qui addietro dagli altri globi; in fine, ch' ella divenga del numero dei pianeti; questo porterà seco che sua maestà terrestre, e le loro maestà umane, dovranno sgomberare il trono, e lasciar l'impero; restandosene però tuttavia co' loro cenci, e colle loro miserie, che non sono poche.

Sole. Che vuol conchiudere in somma con cotesto discorso il mio don Niccola? Forse ha scrupolo di coscienza, che il fatto non sia un crimenlese?

Copernico. No, illustrissimo; perchè nè i codici, nè il digesto, nè i libri che trattano del diritto pubblico, nè del diritto dell' Imperio, nè di quel delle genti, o di quello della natura, non fanno menzione di questo crimenlese, che io mi ricordi. Ma voglio dire in sostanza, che il fatto nostro non sarà così semplicemente materiale, come pare a prima vista che debba essere; e che gli effetti suoi non apparterranno alla fisica solamente: perchè esso sconvolgerà i gradi delle dignità delle cose, e l' ordine degli enti; scambierà i fini delle creature; e per tanto farà un grandissimo rivolgimento anche nella metafisica, anzi in tutto quello che tocca alla parte speculativa del sapere. E ne risulterà che gli uomini, se pur sapranno o vorranno discorrere sanamente, si troveranno essere tutt' altra roba da quello che sono stati fin qui, o che si hanno immaginato di essere.

Sole. Figliuol mio, coteste cose non mi fanno punto paura: chè tanto rispetto io porto alla metafisica, quanto alla fisica, e quanto anche all' alchimia, o alla negromantica, se tu vuoi. E gli uomini si contenteranno di essere quello che sono: e se questo non piacerà loro, andranno raziocinando a rovescio, e argomentando in dispetto della evidenza delle cose, come facilissimamente potranno fare; e in questo modo continueranno a tenersi per quel che voranno, o baroni o duchi o imperatori o altro di più che si vogliano: chè essi ne staranno più consolati, e a me con questi loro giudizi non daranno un dispiacere al mondo.

Copernico. Orsù, lasciamo degli uomini e della Terra. Considerate, illustrissimo, quel ch'è ragionevole che avvenga

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