Ma non per te; per questa ti rallegri Ponga ne' figli sonnacchiosi od egri Vedi afflitta costei, che si meschina Che di novo salisti al paradiso! Oggi ridotta sì che, a quel che vedi, Qual tu forse mirando a te non credi. Vide la patria tua l' ultima sera. A viver non dannò fra tanto orrore; L' itala moglie a barbaro soldato; Tratte I' opre divine a miseranda Non gli aspri cenni ed i superbi regni; Qual tempio, quale altare o qual misfatto? Acerbo fato? onde a stranieri ed empi Roder la sua virtù, di null' aita Lo spietato dolor che la stracciava Io non son per la tua cruda fortuna. Qui l'ira al cor, qui la pietade abbonda: Italia no; per li tiranni suoi. Padre, se non ti sdegni, Mutato sei da quel che fosti in terra. Morian per le rutene Squallide piagge, ahi d' altra morte degni, Gl' itali prodi; e lor fea l' aere e il cielo E gli uomini e le belve immensa guerra. Cadeano a squadre a squadre Semivestiti, maceri e cruenti, Ed era letto agli egri corpi il gelo. Moriam per quella gente che t'uccide. E conscie fur le sibilanti selve. E i negletti cadaveri all' aperto E sarà il nome degli egregi e forti Con quel de' tardi e vili. Anime care, Bench' infinita sia vostra sciagura, Datevi pace; e questo vi conforti Che conforto nessuno Avrete in questa o nell' età futura. Il vostro solo è tal che s' assomigli. La patria vostra, ma di chi vi spinse Sì ch' ella sempre amaramente piagna A tal de' suoi ch' affaticata e lenta La ritraesse! O glorioso spirto, Ch' alleggiò per gran tempo il nostro male? Che ti rassemhri in qualsivoglia parte? In eterno perimmo? e il nostro scorno Io mentre viva andrò sclamando íntorno: E le carte e le tele e i marmi e i templi; Non si conviene a sì corrotta usanza Meglio l'è rimaner vedova e sola. III. AD ANGELO MAI, QUAND' EBBE TROVATO I LIBRI DI CICERONE DELLA REPUBBLICA. Italo ardito, a che giammai non posi I nostri padri? ed a parlar gli meni Muta sì lunga etade? e perchè tanti Serbaro occulti i generosi e santi Detti degli avi. E che valor t' infonde, Certo senza de' numi alto consiglio E grave è il nostro disperato obblio, Ch' essendo questa o nessun' altra poi È il clamor de' sepolti, e che gli eroi Non siam periti? A voi forse il futuro Fa parer la speranza. Anime prodi, Plebe successe; al vostro sangue è scherno Ogni valor; di vostre eterne lodi Nè rossor più nè invidia; ozio circonda I monumenti vostri; e di viltade Siam fatti esempio alla futura etade. Bennato ingegno, or quando altrui non cale De' nostri alti parenti, A te ne caglia, a te cui fato aspira Benigno sì, che per tua man presenti I vetusti divini, a cui natura In sonno eterno! Allora anco immatura Eravam d'ozio turpe, e l' aura a volo Eran calde le tue ceneri sante, Non domito nemico Della fortuna, al cui sdegno e dolore Dal tocco di tua destra, o sfortunato Del tedio che n' affoga. Oh te beato, Ma tua vita era allor con gli astri e il mare, Quand' oltre alle colonne, ed oltre ai liti, Parve udir su la sera1, agl' infiniti Flutti commesso, ritrovasti il raggio Del sol caduto, e il giorno Che nasce allor ch' ai nostri è giunto al fondo; Ignota immensa terra al tuo viaggio Fu gloria, e del ritorno Ai rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo Dell' ignoto ricetto D'ignoti abitatori, o del diurno 1 Di questa fama divulgata anticamente, che in Ispagna e in Portogallo, quando il sole tramontava, si udisse di mezzo all' Oceano uno stridore simile a quello che fanno i carboni accesi, o un ferro rovente quando è tuffato nell' acqua, vedi Cleomede Circular. doctrin. de sublim. 1. 2, c. 1. ed Bake, Lugd. Bat. 1820. p. 109. seq. Strabone 1. 3. ed. Amstel. 1707. p. 202. B. Giovenale Sat. 14. v. 279. Stazio Silv. 1. 2. Genethl. Lucani v. 24 seqq. ed Ausonio Epist. 18, v. 2. Floro 1. 2, c. 17. parlando delle cose fatte da Decimo Bruto in Portogallo peragratoque victor Oceani litore, non prius signa convertit, quam cadentem in maria solem, obrutumque aquis ignem, non sine quodam sacrilegii metu et horrore, deprehendit. Vedi ancora le note degli eruditi a Tacito de Germ. c. 45. 2 Mentre la notizia della rotondità della terra, ed altre simili appartenenti alla cosmografia, furono poco volgari, gli uomini ricercando quello che si facesse il sole nel tempo della notte, o qual fosse lo stato suo, fecero intorno a questo parecchie belle immaginazioni: e se molti pensarono |