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quella tristezza e quel tedio che s' accompagnano tanto all' apparenza della felicità quanto alle miserie medesime e c' hanno rispetto alla natura ed all' ordine immutabile e universale delle cose umane, è raro assai che si trovino significati ne' monumenti degli antichi. I quali antichi quando erano travagliati dalle sventure, se ne dolevano in modo come se per queste sole fossero privi della felicità; la quale essi stimavano possibilissima a conseguire, anzi propria dell' uomo, se non quanto la fortuna gliela vietasse.

Ora volendo cercare quello che potesse avere indotto nell'animo di Teofrasto il sentimento della vanità della gloria e della vita, il quale a ragguaglio di quel tempo e di quella nazione, riesce straordinario; troveremo primieramente che la scienza del detto filosofo non si conteneva dentro ai termini di tale o tal altra parte delle cose, ma si stendeva poco meno che a tutto lo scibile (quanto era lo scibile in quell' età), come si raccoglie dalla tavola degli scritti di Teofrasto, lasciati perire la massima parte. E questa scienza universale non fu subordinata da lui, come da Platone, all' immaginativa, ma solamente alla ragione e all' esperienza, secondo l'uso d'Aristotele; e indirizzata, non allo studio nè alla ricerca del bello, ma del suo maggior contrario, ch'è propriamente il vero. Attese queste particolarità, non è maraviglia che Teofrasto arrivasse a conoscere la somma della sapienza, cioè la vanità della vita e della sapienza medesima; essendo che le molte scoperte fatte da' filosofi degli ultimi secoli circa la natura degli uomini e delle cose, vengano principalmente dal confrontare e dal rapportare che s'è fatto le diverse scienze e quasi tutte le discipline tra loro, e dall' averle collegate l'une coll'altre, e per questo mezzo considerate le relazioni che intervengono tra le varie parti della natura, ancorchè lontanissime, scambievolmente.

Oltracciò dal libro dei Caratteri şi comprende che Teofrasto vide nelle qualità e nei costumi degli uomini così addentro, che pochissimi scrittori antichi gli possono stare a lato per questo rispetto, se non forse i poeti. Ma questa facoltà è segno certo d'un animo che sia capace d' affezioni molte e varie e potenti. Perciocchè le qualità morali come anche gli affetti degli uomini, volendoli rappresentare al vivo, non tanto si possono ricavare dall' osservazione materiale de' fatti e delle maniere altrui, quanto dall' animo proprio, eziandio quando sono disparatissimi dagli abiti dello scritore. Secondo quello che fu detto dal Massillon interrogato come facesse a dispingere così al naturale i costumi e i sentimenti delle persone, praticando, com' esso faceva, assai più nella solitudine che fra la gente. Rispose: considero me stesso. Così fanno i Drammatici e gli altri poeti. Ora un animo capace di molte conformazioni,

cioè molto delicato e vivo, non può fare che non senta la nudità e l'infelicità irreparabile della vita e non inclini alla tristezza, quando i molti studi l'abbiano assuefatto a medi-` tare, e specialmente se questi riguardano all' essenza medesima delle cose, nel modo che s'appartiene alle scienze speculative.

Certo è che Teofrasto, amando gli studi e la gloria sopra ogni cosa, ed essendo maestro o vogliamo dire capo di scuola, e di scuola frequentatissima, conobbe e dichiarò formalmente l'inutilità de' sudori umani, e così degl' instituti suoi propri come degli altrui; la poca proporzione che passa tra la virtù e la felicità della vita; e quanto prevaglia la fortuna al valore in quello che spetta alla medesima felicità così degli altri come anche de' sapienti. E forse in queste conoscenze passò tutti i filosofi greci, massime quelli che vennero avanti Epicuro, con tutto che fosse diversissimo e ne' costumi e nelle sentenze da quello che poi furono gli Epicurei. Tutto questo si ricava, non solamente dalle cose dette di sopra, ma da' riscontri che s' hanno degl' insegnamenti di Teofrasto in parecchi luoghi degli scrittori antichi. E quasi ch' egli avesse avuto a dimostrare cogli accidenti suoi propri la verità delle sue dottrine; primieramente non è tenuto da' filosofi moderni in quella stima che dovrebbe, essendo perduti già da più secoli, per quello che se ne sappia. tutti i suoi libri morali, eccetto solo i Caratteri; come anche sono perduti i libri politici o appartenenti alle leggi, e quasi tutti quelli di metafisica. Oltre di ciò, non che i filosofi antichi lo celebrassero per aver veduto più di loro, anzi per questo rispetto medesimo lo vituperarono e maltrattarono, e particolarmente quelli, tanto meno sottili quanto più superbi, i quali si compiacevano d'affermare e di sostenere che il sapiente è felice per sè; volendo che la virtù o la sapienza basti alla beatitudine; quando sentivano pur troppo bene in sè medesimi che non basta, se però avevano effettivamente o l' una o l' altra di quelle condizioni. Della qual fantasia non pare che i filosofi sieno ancora guariti, anzi pare che sieno peggiorati non poco, volendo che ci debba menare alla felicità questa filosofia presente, la quale in somma non dice e non può dir altro, se non che tutto il bello, il piacevole e il grande è falsità e nulla. Ma per non dividerci da Teofrasto, i più degli antichi erano incapaci di quel sentimento doloroso e profondo che l' animava. Teofrasto è malmenato nei libri e nelle scuole di tutti i filosofi per aver lodato nel Callistene quel motto: non la sapienza ma la fortuna è signora della vita. Negano che un filosofo dicesse mai cosa più fiacca di questa. Sono parole di Cicerone, il quale in altro luogo scrive che Teofrasto nel libro della vita beata dava molto alla fortuna, cioè a dire che la sentenziava per cosa di gran momento in riguardo alla felicità. E quivi a poco soggiunge:

A ogni modo serviamoci di Teofrasto in molti punti, salvo che s' attribuisca alla virtù più consistenza e più gagliardia che questi non le diede. Vegga esso Cicerone quello che se le possa dare.

Forse per questi ragionamenti alcuno conchiuderà che Teofrasto avesse a far professione di poco affezionato agli errori naturali, anzi che dal canto suo dovesse provvedere cogl' insegnamenti e colle azioni di sequestrarli dall' uso domestico e pubblico della vita, e di stringere gli effetti e la signoria dell' immaginativa, allargando i termini alla ragione. Ma s'ha da sapere che Teofrasto fu ed operò tutto il contrario. In quanto alle azioni, abbiamo in Plutarco nel libro contro Colote, che il nostro filosofo liberò due volte la sua patria dalla tirannide. In quanto agl' insegnamenti, Cicerone dice che Teofrasto in un libro che scrisse delle ricchezze, si distendeva molto a lodare la magnificenza e l'apparato degli spettacoli e delle feste popolari, e metteva nella facoltà di queste spese molta parte dell' utilità che proviene dalle ricchezze. La qual sentenza è biasimata da Cicerone e data per assurda. Io non voglio contendere con Cicerone sopra questa materia, se bene io so e vedo ch' egli si poteva ingannare e tastar le cose con quella filosofia che penetra poco addentro. Ma l'ho per uomo così ricco d'ogni virtù privata e civile, che non mi basta l'animo d' accusarlo che non conoscesse i maggiori incitamenti e i più fermi propugnacoli della virtù che s' abbiano a questo mondo, voglio dir le cose appropriate a stimolare e scuotere gli animi ed esercitare la facoltà dell' immaginazione. Solamente dirò che qualunque o fra gli antichi o fra' moderni conobbe meglio e sentì più forte e più dentro al cuor suo la nullità d'ogni cosa e l'efficacia del vero, non solamente non procurò che gli altri si riducessero in questa sua condizione, ma fece ogni sforzo di nasconderla e dissimularla a sè medesimo, e favorì sopra ogni altro quelle opinioni e quegli effetti che sono valevoli a dimostrarla, come quello che per suo proprio esperimento era chiarito della miseria che nasce dalla perfezione e sommità della sapienza. Nel qual proposito si potrebbero allegare alcuni esempi molto illustri, massime de' tempi moderni. E in vero, se i nostri filosofi intendessero pienamente quello che s' affaticano di promulgare, o (posto che Î' intendano) se lo sentissero, cioè a dire, se l'intendessero per prova, e non per sola speculazione; in cambio d' aversi a rallegrare di queste conoscenze, ne piglierebbero odio e spavento; s'ingegnerebbero di scordarsi quello che sanno e quasi di non vedere quello che vedono; rifuggirebbero, il meglio che potessero fare, a quegl' inganni fortunatissimi che, non questo o quel caso, ma la natura universale avea posto di sua propria mano in tutti gli animi; e finalmente non cre

derebbero che importasse gran cosa il persuadere altrui che niuna cosa importa quando anche paia grandissima. E se fanno questo per appetito di gloria, concedono che in questa parte dell' universo non possiamo vivere se non quanto crediamo e ponghiamo studio a cose da nulla.

Altra circostanza per la quale il caso di Teofrasto differisce notabilmente da quello di Bruto, si è la natura diversa de' tempi. Perocchè Teofrasto gli ebbe, se non propizi, tuttavia non ripugnanti a quei sogni e a quei fantasmi che governarono i pensieri e gli atti degli antichi. Laddove possiamo dire che i tempi di Bruto fossero l'ultima età dell'immaginazione, prevalendo finalmente la scienza e l'esperienza del vero, e propagandosi anche nel popolo quanto bastava a produr la vecchiezza del mondo. Che se ciò non fosse stato, nè quegli avrebbe avuta occasione di fuggir la vita, come fece, nè la repubblica romana sarebbe morta con lui. Ma non solamente questa, bensì tutta l'antichità, voglio dir l' indole e i costumi antichi di tutte le nazioni civili, erano vicini a spirare insieme colle opinioni che gli avevano generati e gli alimentavano. E già mancato ogni pregio a questa vita, cercavano i sapienti quel che gli avesse a consolare, non tanto della fortuna, quanto della vita medesima, non riputando per credibile che l'uomo nascesse propriamente e semplicemente alla miseria. Così ricorrevano alla credenza e all' aspettativa d' un' altra vita, nella quale stésse quella ragione della virtù e de' fatti magnanimi, che ben s' era trovata fino a quell' ora, ma già non si trovava, e non s' aveva a trovare mai più, nelle cose di questa terra. Dai quali pensieri nascevano quei sentimenti nobilissimi che Cicerone lasciò spiegati in più luoghi, e particolarmente nell' orazione per Archia.

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