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Ecco svaniro a un punto

E figurato è il mondo in breve carta;
Ecco tutto è simile, e discoprendo,
Solo il nulla, s' accresce.

Il vero appena è giunto,

A noi ti vieta

O caro immaginar; da te s' apparta
Nostra mente in eterno; allo stupendo
Poter tuo primo ne sottraggon gli anni;
E il conforto perì de' nostri affanni.

Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo
Sole splendeati in vista,

Cantor vago dell' arme e degli amori,
Che in età della nostra assai men trista
Empiêr la vita di felici errori:

Nova speme d' Italia. O torri, o celle,
O donne, o cavalieri,

O giardini, o palagi! a voi pensando,

In mille vane amenità si perde

La mente mia. Di vanità, di belle
Fole e strani pensieri

Si componea l' umana vita: in bando

Li cacciammo: or che resta? or, poi che il verde
È spogliato alle cose? Il certo e solo

Veder che tutto è vano altro che il duolo.

che la sera il sole si spegnesse, e che la mattina si raccendesse, altri immaginarono che dal tramonto si riposasse e dormisse fino al giorno. Stesicoro ap. Athenæum 1. 11, c. 38. ed Schweigh. t. 4, p. 237. Antimaco ap. eumd. 1. c., p. 238. Eschilo 1. c. e più distintamente Mimnermo, poeta greco antichissimo, 1. c. cap. 39, p. 239. dice che il sole, dopo calato, si pone a giacere in un letto concavo, a uso di navicella, tutto d' oro, e così dormendo naviga per l' Oceano da ponente a levante. Pitea marsigliese, allegato da Gemino c. 5. in Petav. Uranol. ed. Amst. p. 13. e da Cosma egiziano Topogr. christian. 1. 2. ed. Montfauc. p. 149. racconta di non so quali barbari che mostrarono a esso Pitea il luogo dove il sole, secondo loro, si adagiava a dormire. E il Petrarca si accostò a queste tali opinion volgari in quei versi, Canz. Nella stagion, st. 3:

Quando vede il pastor calare i raggi

Del gran pianeta al nido ov' egli alberga.

Siccome in questi altri della medesima Canzone st. 1. seguì la sentenza di quei filosofi che per virtù di raziocinio e di congettura indovinavano gli antipodi:

Nella stagion che 'l ciel rapido inchina
Verso occidente, e che 'l dì nostro vola
A gente che di là forse l' aspetta.

Dove quel forse, che oggi non si potrebbe dire, fu sommamente poetico; perchè dava facoltà al lettore di rappresentarsi quella gente sconosciuta a suo modo, o di averla in tutto per favolosa: donde si dee credere che, leggendo questi versi, nascessero di quelle concezioni vaghe e indeterminate, che sono effetto principalissimo od essenziale delle bellezze poetiche, anzi di tutte le maggiori bellezze del mondo.

O Torquato, o Torquato, a noi l'eccelsa
Tua mente allora, il pianto

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A te, non altro, preparava il cielo.
Oh misero Torquato! il dolce canto
Non valse a consolarti o a sciorre il gelo
Onde l'alma t' avean, ch' era sì calda,
Cinta l'odio e l'immondo

Livor privato e de' tiranni.

Amore,
Amor, di nostra vita ultimo inganno,
T'abbandonava.

Ombra reale e salda

Ti parve il nulla, e il mondo

Inabitata piaggia. Al tardo onore

1

Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno,
L'ora estrema ti fu. Morte domanda

Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda.
Torna, torna fra noi, sorgi dal muto
E sconsolato avello,

Se d'angoscia sei vago, o miserando
Esemplo di sciagura. Assai da quello
Che ti parve sì mesto e sì nefando,
È peggiorato il viver nostro. O caro,
Chi ti compiangeria,

Se, fuor che di se stesso, altri non cura?
Chi stolto non direbbe il tuo mortale

Affanno anche oggidì, se il grande e il raro
Ha nome di follia;

Nè livor più, ma ben di lui più dura
La noncuranza avviene ai sommi? o quale,
Se più de' carmi, il computar s' ascolta,
Ti appresterrebbe il lauro un' altra volta?

Da te fino a quest' ora uom non è sorto,
O sventurato ingegno,

Pari all' italo nome, altro ch' un solo,
Solo di sua codarda etate indegno
Allobrogo feroce, a cui dal polo
Maschia virtù, non già da questa mia
Stanca ed arida terra,

Venne nel petto; onde privato, inerme,
(Memorando ardimento) in su la scena
Mosse guerra a' tiranni: almen si dia
Questa misera guerra

E questo vano campo all' ire inferme

Del mondo. Ei primo e sol dentro all' arena

1 Di qui alla fine della stanza si ha riguardo alla congiuntura della morte del Tasso, accaduta in tempo che erano per incoronarlo poeta in Campidoglio.

Scese, e nullo il seguì, chè l' ozio e il brutto
Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.
Disdegnando e fremendo, immacolata

Trasse la vita intera,

E morte lo scampò dal veder peggio.
Vittorio mio, questa per te non era
Età nè suolo. Altri anni ed altro seggio
Conviene agli alti ingegni. Or di riposo
Paghi viviamo, e scorti

Da mediocrità: sceso il sapiente

E salita è la turba a un sol confine,
Che il mondo agguaglia. O scopritor famoso;
Segui; risveglia i morti,

Poi che dormono i vivi; arma le spente
Lingue de' prischi eroi; tanto che in fine
Questo secol di fango o vita agogni

E sorga ad atti illustri, o si vergogni.

IV.

NELLE NOZZE DELLA SORELLA PAOLINA.

Poi che del patrio nido

I silenzi lasciando, e le beate

Larve e l'antico error, celeste dono,

Ch' abbella agli occhi tuoi quest' ermo lido,

Te nella polve della vita e il suono

Tragge il destin; l' obbrobriosa etate

Che il duro cielo a noi prescrisse impara,
Sorella mia, che in gravi

E luttuosi tempi

L' infelice famiglia all' infelice

Italia accrescerai. Di forti esempi

Al tuo sangue provvedi. Aure soavi

L'empio fato interdice

All' umana virtude,

Nè pura in gracil petto alma si chiude.
O miseri o codardi

Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso
Tra fortuna e valor dissidio pose

Il corrotto costume. Ahi troppo tardi,
E nella sera dell' umane cose,

Acquista oggi chi nasce il moto e il senso.

Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda
Questa sovr' ogni cura,

Che di fortuna amici

Non crescano i tuoi figli, e non di vile
Timor gioco o di speme: onde felici
Sarete detti nell' età futura:

Poichè (nefando stile

Di schiatta ignava e finta)

Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta.
Donne, da voi non poco

La patria aspetta; e non in danno e scorno
Dell' umana progenie al dolce raggio
Delle pupille vostre il ferro e il foco
Domar fu dato. A senno vostro il saggio
E il forte adopra e pensa: e quanto il giorno
Col divo carro accerchia, a voi s' inchina.
Ragion di nostra etate

Io chieggo a voi. La santa

Fiamma di gioventù dunque si spegne
Per vostra mano? attenuata e franta
Da voi nostra natura? e le assonnate
Menti, e le voglie indegne,

E di nervi e di polpe

Scemo il valor natio, son vostre colpe?
Ad atti egregi è sprone

Amor, chi ben l' estima, e d'alto affetto
Maestra è la beltà. D'amor digiuna
Siede l' alma di quello a cui nel petto
Non si rallegra il cor quando a tenzone
Scendono i venti, e quando nembi aduna
L' Olimpo, e fiede le montagne il rombo
Della procella. O spose,

O verginette, a voi

Chi de' perigli è schivo, e quei che indegno
È della patria e che sue brame e suoi
Volgari affetti in basso loco pose,

Odio mova e disdegno;

Se nel femmineo core

D' uomini ardea, non di fanciulle, amore.

Madri d' imbelle prole

V' incresca esser nomate. I danni e il pianto

Della virtude a tollerar s' avvezzi

La stirpe vostra, e quel che pregia e cole
La vergognosa età, condanni e sprezzi;
Cresca alla patria, e gli alti gesti, e quanto
Agli avi suoi deggia la terra, impari.
Qual de' vetusti eroi

LEOPARDI.

3

Tra le memorie e il grido

Crescean di Sparta i figli al greco nome;
Finchè la sposa giovanetta il fido
Brando cingeva al caro lato, e poi
Spandea le negre chiome

Sul corpo esangue e nudo

Quando e' reddía nel conservato scudo.
Virginia, a te la molle

Gota molcea con le celesti dita
Beltade onnipossente, e degli alteri
Disdegni tuoi si sconsolava il folle
Signor di Roma. Eri pur vaga, ed eri
Nella stagion ch' ai dolci sogni invita,
Quando il rozzo paterno acciar ti ruppe
Il bianchissimo petto,

E all' Erebo scendesti

Volonterosa. A me disfiori e sciogli

Vecchiezza i membri, o padre; a me s' appresti,
Dicea, la tomba, anzi che l'empio letto
Del tiranno m' accoglia.

E se pur vita e lena

Roma avrà dal mio sangue, e tu mi svena.
O generosa, ancora

Che più bello a' tuoi dì splendesse il sole
Ch' oggi non fa, pur consolata e paga
È quella tomba cui di pianto onora
L'alma terra nativa. Ecco alla vaga
Tua spoglia intorno la romulea prole
Di nova ira sfavilla: ecco di polve
Lorda il tiranno i crini;

E libertade avvampa

Gli obbliviosi petti; e nella doma
Terra il marte latino arduo s' accampa

Dal buio polo ai torridi confini.

Così l'eterna Roma

In duri ozi sepolta

Femmineo fato avviva un' altra volta.

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