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Vivi tu, vivi, o santa

Natura? vivi, e il dissueto orecchio
Della materna voce il suono accoglie?
Già di candide ninfe i rivi albergo,
Placido albergo e specchio

Furo i liquidi fonti. Arcane danze
D' immortal piede i ruinosi gioghi
Scossero e l'ardue selve (oggi romito

Nido de' venti): e il pastorel ch' all' ombre
Meridiane incerte, ed al fiorito

1

Margo adducea de' fiumi

Le sitibonde agnelle, arguto carme

Sonar d' agresti Pani

Udi lungo le ripe; e tremar l' onda

Vide, e stupì, che non palese al guardo
La faretrata Diva

Scendea ne' caldi flutti, e dall' immonda
Polve tergea della sanguigna caccia
Il niveo lato e le verginee braccia.

Vissero i fiori e l'erbe,

Vissero i boschi un dì.

Conscie le molli

Aure, le nubi e la titania lampa

Fur dell' umana gente, allor che ignuda
Te per le piagge e i colli,

Ciprigna luce, alla deserta notte

Con gli occhi intenti il viator seguendo,
Te compagna alla via, te de' mortali
Pensosa immaginò. Che se gl' impuri
Cittadini consorzi e le fatali

Ire fuggendo e l' onte,

Gl' ispidi tronchi al petto altri nell' ime
Selve remoto accolse,

Viva fiamma agitar l' esangui vene,
Spirar le foglie, e palpitar segreta

1 La stanchezza. il riposo e il silenzio che regnano nelle città, e più nelle campagne, sull' ora del mezzogiorno. rendettero quell' ora agli antichi misteriosa e secreta come quelle della notte: onde fu creduto che sul mezzo di più specialmente si facessero vedere o sentire gli Dei, le ninfe, i silvani, e fauni e le anime de' morti; come apparisce da Teocrito Idyll. 1, v. 15. seqq. Lucano 1. 3, v. 422 seqq. Filostrato Heroic. c. 1, § 4. opp. ed. Olear. p. 671. Porfirio de antro nymph. c. 26. seq. Servio ad Georg. 1. 4, v. 401. e dalla Vita di san Paolo primo eremita scritta da san Girolamo c. 6. in vit. Patr. Rosweyd. 1. 1, p. 18. Vedi ancora il Meursio Auctar. philolog. c. 6. colle note del Lami opp. Meurs. Florent. vol. 5, col. 733. il Barth Animadv. ad Stat. part. 2, p. 1081, e le cose disputate dai comentatori, e nominatamente dal Calmet, in proposito del demonio meridiano della Scrittura volgata Psal. 90, v. 6. Circa all' opinione che le ninfe e le dee sull' ora del mezzogiorno si scendessero a lavare ne' fiumi e ne' fonti, vedi Callimaco in lavacr. Pall. v. 71. seqq. e quanto propriamente a Diana, Ovidio Metam. 1. 3, v. 144. seqq.

Nel doloroso amplesso

Dafne e la mesta Filli, o di Climene
Pianger credè la sconsolata prole
Quel che sommerse in Eridano il sole.
Nè dell' umano affanno,
Rigide balze, i luttuosi accenti
Voi negletti ferîr mentre le vostre
Paurose latebre Eco solinga,
Non vano error de' venti,

Ma di ninfa abitò misero spirto,
Cui grave amor, cui duro fato escluse
Delle tenere membra. Ella per grotte,
Per nudi scogli e desolati alberghi,
Le non ignote ambasce e l' alte e rotte
Nostre querele al curvo

Etra insegnava. E te d' umani eventi
Disse la fama esperto,

Musico augel che tra chiomato bosco
Or vieni il rinascente anno cantando,
E lamentar nell' alto

Ozio de' campi, all' aer muto e fosco,
Antichi danni e scellerato scorno,
E d' ira e di pietà pallido il giorno.
Ma non cognato al nostro

Il gener tuo; quelle tue varie note
Dolor non forma, e te di colpa ignudo,
Men caro assai la bruna valle asconde.
Ahi ahi, poscia che vote

Son le stanze d'Olimpo, e cieco il tuono
Per l'atre nubi e le montagne errando,
Gl' iniqui petti e gl' innocenti a paro
In freddo orror dissolve; e poi ch' estrano
Il suol nativo, e di sua prole ignaro
Le meste anime educa;

Tu le cure infelici e i fati. indegni
Tu de' mortali ascolta,

Vaga natura, e la favilla antica
Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi,
E se de' nostri affanni

Cosa veruna in ciel, se nell' aprica
Terra s'alberga o nell' equoreo seno,
Pietosa no, ma spettatrice almeno.

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E voi de' figli dolorosi il canto, Voi dell' umana prole incliti padri, Lodando ridirà; molto all' eterno Degli astri agitator più cari, e molto Di noi men lacrimabili nell' alma Luce prodotti. Immedicati affanni Al misero mortal, nascere al pianto, E dell' etereo lume assai più dolci Sortir l'opaca tomba e il fato estremo, Non la pietà, non la diritta impose Legge del cielo. E se di vostro antico Error, che l' uman seme alla tiranna Possa de' morbi e di sciagura offerse, Grido antico ragiona, altre più dire Colpe de' figli, e irrequieto ingegno, E demenza maggior l'offeso Olimpo N'armaro incontra, e la negletta mano Dell' altrice natura; onde la viva Fiamma n' increbbe, e detestato il parto Fu del grembo materno, e violento Emerse il disperato Erebo in terra.

Tu primo il giorno, e le purpuree faci
Delle rotanti sfere, e la novella
Prole de' campi, o duce antico e padre
Dell' umana famiglia, e tu l' errante
Per li giovani prati aura contempli:
Quando le rupi e le deserte valli
Precipite l' alpina onda fería

D' inudito fragor; quando gli ameni
Futuri seggi di lodate genti

E di cittadi romorose, ignota
Pace regnava; e gl' inarati colli
Solo e muto ascendea l' aprico raggio
Di Febo e l' aurea luna. Oh fortunata,

Di colpe ignara e di lugúbri eventi,
Erma terrena sede! Oh quanto affanno
Al gener tuo, padre infelice, e quale
D' amarissimi casi ordine immenso

Preparano i destini! Ecco di sangue
Gli avari côlti e di fraterno scempio
Furor novello incesta, e le nefande
Ali di morte il divo etere impara.
Trepido, errante il fratricida, e l'ombre
Solitarie fuggendo e la secreta

Nelle profonde selve ira de' venti,
Primo i civili tetti, albergo e regno
Alle macere cure, innalza1; primo

Il disperato pentimento i ciechi
Mortali egro, anelante, aduna e stringe
Ne' consorti ricetti: onde negata
L'improba mano al curvo aratro, e vili
Fur gli agresti sudori; ozio le soglie
Scellerate occupò, ne' corpi inerti
Domo il vigor natio, languide, ignave
Giacquer le menti; e servitù le imbelli
Umane vite, ultimo danno, accolse.

E tu dall' etra infesto e dal mugghiante
Su i nubiferi gioghi equoreo flutto
Scampi l' iniquo germe, o tu cui prima
Dall' aer cieco e da' natanti poggi
Segno arrecò d' instaurata speme
La candida colomba, e dell' antiche
Nubi l'occiduo Sol naufrago uscendo,
L'atro polo di vaga iri dipinse.

Riede alla terra, e il crudo affetto e gli empi
Studi rinnova e le seguaci ambasce

La riparata gente. Agl' inaccessi

Regni del mar vendicatore illude

Profana destra, e la sciagura e il pianto

A novi liti e nove stelle insegna.

Or te, padre de' pii, te giusto e forte,

E di tuo seme i generosi alunni ·

Medita il petto mio. Dirò siccome

Sedente, oscuro, in sul meriggio all' ombre
Del riposato albergo, appo le molli
Rive del gregge tuo nutrici e sedi,
Te de' celesti peregrini occulte
Beâr l'eteree menti; e quale, o figlio
Della saggia Rebecca, in su la sera,
Presso al rustico pozzo e nella dolce
Di pastori e di lieti ozi frequente
Aranitica valle, amor ti punse

1 Egressusque Cain a facie Domini, habitavit profugus in terra ad orientalem plagam Eden. Et ædificavit civitatem. Genes. c. 4, v. 16.

Della vezzosa Labanide: invitto

Amor, ch' a lunghi esigli e lunghi affanni
E di servaggio all' odiata soma
Volonteroso il prode animo addisse.

Fu certo, fu (nè d' error vano e d' ombra
L'aonio canto e della fama il grido
Pasce l' avida plebe) amica un tempo
Al sangue nostro e dilettosa e cara
Questa misera piaggia, ed aurea corse
Nostra caduca età. Non che di latte
Onda rigasse intemerata il fianco
Delle balze materne, o con le greggi
Mista la tigre ai consueti ovili,
Nè guidasse per gioco i lupi al fonte
Il pastorel; ma di suo fato ignara
E degli affanni suoi, vota d' affanno
Visse l' umana stirpe; alle secrete
Leggi del cielo e di natura indutto
Valse l'ameno error, le fraudi, il molle
Pristino velo; e di sperar contenta
Nostra placida nave in porto ascese.
Tal fra le vaste californie selve
Nasce beata prole, a cui non sugge
Pallida cura il petto, a cui le membra
Fera tabe non doma; e vitto il bosco,
Nidi l'intima rupe, onde ministra
L'irrigua valle, inopinato il giorno

Dell' atra morte incombe. Oh contra il nostro

Scellerato ardimento inermi regni

Della saggia natura! I lidi e gli antri

E le quiete selve apre l' invitto

Nostro furor; le violate genti
Al peregrino affanno, agl' ignorati
Desiri educa; o la fugace, ignuda
Felicità per l' imo sole incalza 1.

È quasi superfluo ricordare che la California è posta nell' ultimo termine occidentale di terra ferma. Si tiene che i Californi sieno, tra le nazioni conosciute, la più lontana dalla civiltà, e la più indocile alla medesima.

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