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alla considerazione dell' universo. È cosa incredibile (e bisogna esserne stato molti anni testimone e quasi parte per intenderla appieno) la dimestichezza ch' egli aveva presa con quella lingua e con quegli scrittori sovrumani. Basta che nei momenti in cui degnava di non nascondere i prodigi dell'ingegno suo, egli confessava di aver più limpido e vivo nella sua mente il concetto greco che il latino o eziandio l' italiano. Da questa dimestichezza egli attinse una sorte di divinazione critica sopra tutti gli autori greci e della migliore e delle più basse età, riscontrata infallibilmente per vera o nei testi più perfetti o negli scolii e nei comenti dei più grandi espositori. Dal mondo greco passò a studiare il mondo latino; e dai dodici ai ventisei anni versò un così fatto tesoro di sapienza filologica in un sì sterminato numero di carte, che, senza altre prove, s' avrebbe quasi paura di narrarlo solo. Mirabile di profonda e vasta erudizione è il suo Saggio sopra gli errori popolari degli antichi. Mirabilissima la copia senza fine delle note, delle interpretazioni, delle chiose, dei comenti d'ogni genere sopra un gran numero d'autori antichi, fra i quali Platone, Dionigi di Alicarnasso, Frontone, Demetrio Falereo, Teone Sofista ed altri assai. Più che mirabilissimi i Frammenti ch' egli raccolse di cinquantacinque Padri della Chiesa. Questi ed altri molti non meno importanti manoscritti filologici egli fidò nel 30, in Firenze, al chiarissimo filologo tedesco Luigi de Sinner, ora professore in Parigi, il quale ha già lasciato pregustarne un piccolo, ma coscienzioso ed accuratissimo, sunto1: e gli egregi editori parigini del Tesoro di

1 Excerpta ex schedis criticis Jacobi Leopardii, comitis. Bonnae, 1834. Ecco il preambolo di questa preziosa scrittura, nel quale è contenuto un breve catalogo dei più importanti manoscritti fidati dal Leopardi al de Sinner.

Jacobus Leopardius, cujus nomine inter poetas aeque ac pedestris orationis scriptores vix aliud majus, quam felicia in romanis quoque et graecis litteris studia collocaverit, non incognitum quidem erat apud exteros, sed ratio eorum atque amplitudo ignorabatur. Cujus ut ego potissimum lectoribus nostris exsisterem interpres, fecit primum honorificentissima, qua me dignatur vir illustris, amicitia et scriptorum de rebus philologicis suorum communicatio omnium, deinde vero (quod erit quando lugeant harum litterarum amantes!) inhibita ob valetudinis infirmitatem studiorum haec via operosior. Puer admodum perspexerat quam manca sit et imperfecta apud Italos suos antiquarum litterarum institutio: quare ex ipsis scriptoribus perpetua lectione hauriendum esse quicquid de antiquitate possit sciri. In hac igitur a duodecimo fere ad vigesimum sextum aetatis annum quae chartis suis mandaverit, quae fuerit molitus ad illustrandas graecarum praesertim litterarum partes obscuriores vel ad colligenda ex ingenti earum naufragio tabulata, paucis exponemus. Ad finem perducta opera, sua omnia manu accuratissime scripta, haec fere nobis credidit vir eximius: PORPHYRII VITAM PLOTINI; COMMENTARII DE VITA ET SCRIPTIS RHETORUM QUORUMDAM QUI SECUNDO POST CHR. SAEC. VEL PRIMO DECLINANTE VIXERUNT, AD CALCEM ADJECTIS ET OBSERVATT. ILLUSTRATIS VETT. ALIQUOT OPUSC., 1814 qui ei erat decimus sextus aetatis (Roma 1815). SAGGIO SOPRA GLI ERRORI POPOLARI DEGLI ANTICHI, 1815, admirandae lectionis et eruditionis opus: verum amplitudine

Enrico Stefano, usarono volonterosamente di quelle squisite, profonde e peregrine illustrazioni. Gli altri manoscritti di minore importanza sono conservati nella biblioteca paterna1.

multum superatur alio, non plane sed paene absoluto, COLLECTIONE FRAGMENTORUM QUINQUAGINTA PATRUM, quam in litteris ad me datis magna laude ornavit harum rerum arbiter insignis, clarissimus Thilo, professor Halensis. Ad medium fere perductus est COMMENTARIUS doctissimus IN JULII AFRICANI CESTOS. Accedit ingens schedularum copia, quae OBSERVATIONES continent IN SCRIPTORES PLURIMOS. Ex his deprompsimus quaedam, quae nondum erant ab editoribus occupata: emendationum autem a Bentleio, Reiskio, aliis criticis viro optimo occupatarum ut numerus est permagnus, ita reliquis magnae est commendationi. Mentionem fieri oportet praesertim PLATONIS, DIONYSII HALICARNASSEI, FRONTONIS, DEMETRII PHALEREI, THEONIS SOPHISTAE, in quos scriptores plurima viri praestantissimi observata penes nos sunt; praeterea collectiones grammaticae plenissimae de structura et usu vocum άλλος άλλως, ἑξῆς, πλέον et aliorum comparativorum apud seriores, de praepositione apa signif. PROPTER, de dins, idiotys, idiws signif. SINGULARIS, MIRABILIS, et al. Etiam quae prius edita erant, DISCORSO SOPRA MOSCO in SPETTATORE. Milano, 1816, 57, p. 173 sqq. DISCORSO SOPRA LA BаTRACOMIOMACHIA, ibid. 43, p. 50 sqq. (ristampata dal Berger de Xivrey e dal Bothe nel terzo volume della sua Odissea), DELLA FAMA AVUTA DA ORAZIO PRESSO GLI ANTICHI, ibid. 66, p. 133 sqq., de PHILONIS JUD. SERMONIBUS TRIBUS INEDITIS in EFFEMERIDI LETTERARIE DI ROMA, 1822, t. 9, p. 257 sqq. (e in Venezia anno medesimo), de CICERONIS LIBRIS DE REPUB. ibid. p. 333 sqq. de EUSEBII CHRON. EX ARMEN. ED. ibid. 1823, t. 10, p. 101 sqq. (Annotazioni sopra la Cronaca di Eusebio pubblicata l'anno 1818 in Milano dai dottori Angelo Mai e Giovanni Zohrab, scritte l'anno appresso dal conte Giacomo Leopardi a un amico suo, Roma 1823), et alia, ea posterioribus curis multum aucta mihi tradidit vir illustris. Omnia haec, ut res fert, vel integra vel excerpta, volente auctore excellentissimo, typis data occasione mandabimus: brevem autem hanc observationum quasi promulsin, quæ nobis judicibus neque novitate caret neque probabilitate, aequi bonique consulas. DR. L. DE SINNER.

Oltre alle cose dianzi notate, il nobilissimo filologo alemanno mi significò di possedere: Un brano sopra Celso, De arte dicendi; un brano sopra il preteso Longino; un brano sopra il Dionigi d' Alicarnasso pubblicato dal Mai, al Giordani; alcune chiose sopra Floro; un brano sopra l' Impresa e le Cose greche di Senofonte; una dissertazione sopra le Arpie; un buon numero di Vari pensieri critici, altri finiti, altri solamente abbozzati. Sarebbe assai da desiderare che venisse un giorno nel quale non fosse impossibile di pubblicare una scelta di COSE FILOLOGICHE o di AFORISMI CRITICI DI GIACOMO LEOPARDI.

Il catalogo che segue in questa nota, insieme con quello contenuto nella precedente e col poemetto citato nella susseguente, formano la somma di tutte le cose stampate o manoscritte del Leopardi, per imperfezione o per ispecialità filologica, non deputate da lui ad essere pubblicate o ristampate in questa edizione, la quale egli era per dichiarare SOLA APPROVATA DALL' AUTORE.

Storia dell' astronomia dalla sua origine fino all' anno 1811; Discorso sopra la vita e le opere di Marco Cornelio Frontone; De vita et scriptis Elii Aristidis Commentarius; De vita et scriptis Hermogenis Commentarius; De vita et scriptis Marci Cornelii Frontonis Commentarius; De vita et scriptis Dionis Chrysostomi Commentarius (questi ed altri sì fatti zibaldoni erano considerati dall' Autore piuttosto come selva di studi e di esercitazioni della prima età, che come manoscritti; nè gli ultimi quattro sono altro che i primi abbozzi del manoscritto fidato poscia al de Sinner col titolo di Commentarii de vita et scriptis rhetorum quorundam qui secundo post Christi saeculo vel primo declinante vixerunt); Notizie storiche e geografiche sulla città e chiesa arcivescovile di Damiata, Loreto 1815; La guerra de'

A quattordici anni fu preconizzato per un gran portento di sapere dal grande e credibile divinatore degl' ingegni patrii, Pietro Giordani, dal Cancellieri, dal celebre filologo svedese Akerblad; e poscia, di mano in mano, dal Niebuhr, dal Walz, dal Thilo, dal Bothe, dal Creuzer, dal Boissonade e da altri innumerabili.1 E chi volesse arrecare tutte le testimonianze che rendettero del suo sterminato sapere i più celebri filologhi tedeschi, inglesi e francesi, farebbe opera incredibilmente voluminosa.

Studiato i greci e i latini e domandata la misteriosa causa del dolore a tutto l' Occidente antico, corse senza troppo indugiarsi nel medio (dove il dolore non era più mistero), a domandarla all' odierno. Dante e il suo figliuolo Shakspeare risposero finalmente alla sua domanda, e gli dimostrarono l'universo sotto tutte le forme onde interpretava sè stesso. Ed allora il Leopardi applicò all' universo il primo elemento del suo proprio ingegno, la sua fantasia; e si rivelò gran poeta.

topi e delle rane, poema, traduzione inedita dal greco del conte Giacomo Leopardi, Milano 1816 (e in molte altre città d' Italia); Saggio di traduzione dell' Odissea del conte Giacomo Leopardi, canto primo, Milano, Spettatore, quaderno 55, 1816; Continuazione e fine del saggio di traduzione dell' Odissea, ibid. quad. 56, 1816; Poesie di Mosco, traduzione inedita del conte Giacomo Leopardi, ibid. quad. 58, 59, 60, 61 e 62, 1816; La Torta, poemetto d'autore incerto, tradotto dal latino pel conte Giacomo Leopardi, ibid. quad. 68, 1817, e Recanati 1822; Titanomachia di Esiodo, traduzione di Giacomo Leopardi, ibid. quad. 77, 1817; libro secondo dell' Eneide, traduzione del conte Giacomo Leopardi, Milano 1817; Inno a Nettuno d' incerto autore, novamente scoperto, traduzione dal greco del conte Giacomo Leopardi, Milano 1817 (alla versione dell' inno seguitavano due odi greche); sei Idilli, due Elegie, cinque Sonetti alla mattaccina, il Volgarizzamento della satira di Simonide contro alle donne e le Annotazioni critiche ai Canti nell' edizione dei medesimi, Bologna 1826; Rime di Francesco Petrarca, colla interpretazione composta dal conte Giacomo Leopardi, Milano 1826, e Firenze 1839; Crestomazia italiana, cioè, scelta di luoghi insigni o per sentimento o per locuzione, raccolti dagli scritti italiani in prosa di autori eccellenti d'ogni secolo, per cura del conte Giacomo Leopardi, Milano 1827; Crestomazia italiana poetica, cioè, scelta di luoghi in verso italiano insigni per sentimento o per locuzione, raccolti e distribuiti secondo i tempi degli autori, dal conte Giacomo Leopardi, Milano 1828.

Non si è mai saputo che il Leopardi volgarizzasse i Caratteri di Teofrasto, come il chiarissimo professor Ignazio Montanari di Pesaro, per solo errore, stampò di aver letto nel quaderno 33 del Progresso, Napoli 1837, dove mai non fu detta una cosa tale.

1 Comes Jacobus Leopardius, recanatensis picens, quem Italiae suae jam nunc conspicuum ornamentum esse, popularibus meis nuntio, in diesque eum ad majorem claritatem perventurum esse, spondeo; ego vero qui candidissimum praeclari adolescentis ingenium, non secus quam egregiam doctrinam, valde diligam, omni ejus honore et incremento laetabor. Niebuhrius, in præfatione ad Flavii Merobaudis carmina, ed. 2, p. 13.

Leopardus, comes recanatensis, vir in his litteris inter Italos facile princeps, et quæ seqq. Walz in epistola critica ad Boissonadium.

Il celebre Thilo, professore di teologia nell' università di Halle, volle dedicargli la sua preziosa edizione degl' Inni di Sinesio.

Egli ritrasse le forme di quel mistero, prima dal mondo intellettuale estrinseco, poi dal mondo intellettuale intrinseco, e poi dal mondo materiale; e cantò onnipotentemente prima la caduta d' Italia e dell' antica civiltà, poi quella delle illusioni pubbliche e delle individuali, e poi finalmente il fato, la necessità e la morte. Alla prima specie appartengono più particolarmente i primi sei canti di questa edizione, alla seconda i successivi venti, alla terza gli altri; e tutti appartengono al luttuoso genere di tutte.

Il Mezzodì ricercato, nella profondità de' suoi sonni, dall'ineffabile dolcezza del nuovo lamento, lodò a cielo l'armonia che glieli accompagnava, e si sdegnò dell' alto dolore che glieli rompeva. Ma il Settentrione svegliato e destro a seguitare il secolo in tutte le sue vie, sentì più la grandezza dell' uno che la squisitezza dell' altro; ed un gran poeta tedesco pronunziò che quella gran poesia italiana ch'era nata sulle labbra di Dante, era morta alla fine sopra quelle del Leopardi.

Poscia che il Leopardi ebbe applicata la sua fantasia all'universo, e ritrattone tutte le forme del gran mistero del dolore, si spinse finalmente ad applicarvi il secondo elemento del suo ingegno, l' intelletto, ed a penetrare la sostanza di quelle forme: e si rivelò gran filosofo.

Ma il trovare quel che è, era ben altro che il dipingere quel che pare! La causa di quel mistero oltrepassa i confini fatali dell' intelletto umano. Più l' intelletto del Leopardi si travagliava d' indovinarla, più quella sembrava allontanarsegli ed alla fine dileguare. Allora quel gran pensiero che si era creduto onnipotente, prima s' adirò ferocemente col limite, ch' egli chiamò fato; poi si diffidò d' oltrepassarlo; poi, scambiato l'effetto colla causa, sentenziò che il dolore solo era il vero. E come aveva letto il dolore in tutti, e cantato il dolore da per tutto; spiegò il tutto col dolore.

Applicando il suo prodigioso intelletto all' universo, egli seguì l'ordine stesso che aveva seguito quando v' applicò la fantasia; e, nelle sue Operette morali e nella sua Comparazione di Bruto minore e di Teofrasto, egli spiegò col dolore prima il mondo intellettuale estrinseco, poi il mondo intellettuale intrinseco, e poi il mondo materiale.

Stanco alla fine da un così affannoso e sterminato viaggio, fatto già quasi insensibile alle loro punture, s' adagiò sulle spine stesse del suo dolore; e risolute le tre scienze, onde aveva tentato l' universo, come in una vasta pozione sonnolenta, vi bevette a larghi tratti l' obblio di tutto l'ente e di sè stesso. Ultimamente, smaltita la fiera bevanda, si ridestò; e della potente assimilazione di quella si valse a sorridere, ora sdegnosamente, ora mestamente, ora amaramente, del tutto.

I Pensieri e i Paralipomeni1 sono la manifestazione di questo triplice e spaventevole sorriso2.

Tale fu l'ingegno del Leopardi, e tale la sua storia, considerato nella sua costanza o, se eziandio si voglia, nella sua forma intrinseca. La forma estrinseca, nella quale esso si manifestò agli altri uomini, fu la più bella che fosse mai assunta dalla più bella lingua parlata. Egli scriveva greco, latino e italiano antico da mentire un antico: e come nel 17 i filologhi tedeschi avevano tolte per antiche e vere due Odi greche (1' una ad Amore e l' altra alla Luna) e un Inno a Nettuno, medesimamente greco, del quale fu finta darsi la sola versione e le note; così nel 26 il Cesari tolse per antico e vero testo di lingua il Volgarizzamento del Martirio de' santi padri. Ma la forma vera e spontanea in cui quel prodigioso ingegno si manifestò, e nella quale noi dobbiamo veramente studiarlo, fu la lingua italiana odierna. In questa egli sciolşe l'antico problema di dire tutto puramente e potentemente; e mostrò che il grande scrittore dee e può essere giusto sovrano e non oppresso suddito della lingua. Mai nessun linguaggio umano non ubbidì più spontaneamente a nessun uomo di quel che la nostra lingua ubbidisse a questo inimitabile scrittore. Forte ed avventato nei primi sdegni concitati in lui da quel dolore ch' egli sentiva palpitare non meno nella sua propria vita che nell' universale, fiero e terribile nella disperazione che gliene seguì, grave ed ineffabilmente semplicissimo nel sopore della stanca rassegnazione ch' ultimamente lo invase, il suo stile rappresentò a un tempo la varietà, l'unità e la perfezione dell' universo, disse tutto in tutti i modi in cui poteva essere detto, e fu grande e vivo esempio che la parola umana è, se può arrischiarsi il vocabolo, la sintesi del mondo, e si arresta solo nel confine che separa il mondo dall' infinito.

Oltre a così potenti cagioni, l'incanto che il suo stile operava o in versi o in prosa, consisteva nella perfezione della proprietà e dell' ordinamento delle parole. Egli ritrasse l'artifizio dal cinquecento, la semplicità dal trecento, e l'essere proprio e particolare del suo stile, prima dai greci, sommo esempio di perfetto, e poi dal suo secolo e da sè stesso, onde

1 Paralipomeni della Batracomiomachia, di Giacomo Leopardi, Parigi 1842. Poemetto in ottava rima e in otto canti.

2 Le poesie e le prose del Leopardi sono state, in tutto o in parte, traslatate da diversi in diverse lingue moderne, come nella tedesca dal Kannegiesser, dal Bothe, dallo Schulz, dallo Henschel e da altri assai. Non altrimenti che dai più grandi filologhi odierni, egli è stato ammirato e celebrato eziandio dai più grandi scrittori. Ma non si è giudicato conveniente di pubblicarne tutte le testimonianze in questa edizione, in primo luogo, perchè la sua mole ne sarebbe troppo smisuratamente cresciuta, e in secondo luogo, perchè il meglio si è di rappresentare il Leopardi stesso al giudizio dell' universale.

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