O natura cortese, Son questi i doni tuoi, Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena Pene tu spargi a larga mano; il duolo D' alcun dolor; beata Se te d' ogni dolor morte risana. XXV. IL SABATO DEL VILLAGGIO. La donzelletta vien dalla campagna, In sul calar del sole, Col suo fascio dell' erba; e reca in mano Un mazzolin di rose e di viole, Onde, siccome suole, Ornare ella si appresta Dimani, al dì di festa, il petto e il crine. Siede con le vicine Su la scala a filar la vecchierella, E novellando vien del suo buon tempo, Solea danzar la sera intra di quei Ch' ebbe compagni dell' età più bella. Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre Giù da' colli e da' tetti, Al biancheggiar della recente luna. Or la squilla dà segno Della festa che viene; E qua e là saltando, Fanno un lieto romore: E intanto riede alla sua parca mensa, E seco pensa al dì del suo riposo. Poi quando intorno è spenta ogni altra face E tutto l'altro tace, Odi il martel picchiare, odi la sega Del legnaiuol, che veglia Nella chiusa bottega alla lucerna, E s'affretta, e s'adopra Di fornir l'opra anzi il chiarir dell' alba. Pien di speme e di gioia: Diman tristezza e noia Recheran l' ore, ed al travaglio usato Cotesta età fiorita È come un giorno d' allegrezza pieno, Che precorre alla festa di tua vita. Altro dirti non vo'; ma la tua festa XXVI. IL PENSIERO DOMINANTE. Dolcissimo, possente, Dominator di mia profonda mente; Terribile, ma caro Dono del ciel; consorte Ai lugubri miei giorni, Pensier che innanzi a me sì spesso torni, Di tua natura arcana Chi non favella? il suo poter fra noi Che in dir gli effetti suoi Le umane lingue il sentir proprio sprona, LEOPARDI. 6 Come solinga è fatta La mente mia d'allora Che tu quivi prendesti a far dimora! Tutti si dileguâr. Siccome torre In solitario campo,. Tu stai solo, gigante, in mezzo a lei. Tutta intera la vita al guardo mio! Gli ozi, i commerci usati, E di vano piacer la vana spene, Gioia celeste che da te mi viene! Dello scabro Apennino A un campo verde che lontan sorrida Mondano conversar vogliosamente, Che la vita infelice e il mondo sciocco Senza te sopportai; Quasi intender non posso Fuor ch'a te somiglianti, altri sospiri. Questa vita che sia per prova intesi, Quella che il mondo inetto, Talor lodando, ognora abborre e trema, Necessitade estrema; E se periglio appar, con un sorriso Le sue minacce a contemplar m'affiso. Sempre i codardi, e l'alme Ingenerose, abbiette Ebbi in dispregio. Or punge ogni atto indegno Subito i sensi miei; Move l'alma ogni esempio Dell' umana viltà subito a sdegno. Di questa età superba, Quindi più sempre divenir non vede; Ho gli umani giudizi; e il vario volgo E degno tuo disprezzator, calpesto. Quale affetto non cede? Anzi qual altro affetto Se non quell' uno intra i mortali ha sede ? Avarizia, superbia, odio, disdegno, Studio d' onor, di regno, Che sono altro che voglie Al paragon di lui? Solo un affetto Prepotente signore, Dieder l'eterne leggi all' uman core. Pregio non ha, non ha ragion la vita Se non per lui, per lui ch' all' uomo è tutto; Sola discolpa al fato, Che noi mortali in terra Pose a tanto patir senz' altro frutto; Solo per cui talvolta, Non alla gente stolta, al cor non vile La vita della morte è più gentile. Per côr le gioie tue, dolce pensiero," Provar gli umani affanni, E sostener molt' anni Questa vita mortal, fu non indegno; Ed ancor tornerei, Così qual son de' nostri mali esperto, Verso un tal segno a incominciare il corso: Che tra le sabbie e tra il vipereo morso, Per lo mortal deserto Non venni a te, che queste nostre pene Sott' altra luce che l' usata errando, E tutto quanto il ver pongo in obblio! Tali son, credo, i sogni Degl' immortali. Ahi finalmente un sogno Sogno e palese error. Ma di natura, Divina sei; perchè sì viva e forte, Nè si dilegua pria, che in grembo a morte. Vitale ai giorni miei, Cagion diletta d'infiniti affanni, Meco sarai per morte a un tempo spento: Che in perpetuo signor dato mi sei. Soleami il vero aspetto Più sempre infievolir. Quanto più torno Della qual teco ragionando io vivo, Cresce quel gran delirio, ond' io respiro. Angelica beltade! Parmi ogni più bel volto, ovunque io miro, Quasi una finta imago Il tuo volto imitar. Tu sola fonte D'ogni altra leggiadria, Sola vera beltà parmi che sia. Da che ti vidi pria, Di qual mia seria cura ultimo obbietto Quante volte mancò? Bella qual sogno, Nella terrena stanza, Nell' alte vie dell' universo intero, Che chiedo io mai, che spero Altro che gli occhi tuoi veder più vago? Altro più dolce aver che il tuo pensiero? |