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Così cantando cominciaro; e poi
Al petto del grifon seco menarmi,
Ove Beatrice stava volta a noi.
Disser: 'Fa che le viste non risparmi; 115
Posto t' avem dinanzi agli smeraldi,
Ond' Amor già ti trasse le sue armi.'
Mille disiri più che fiamma caldi

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Strinsermi gli occhi agli occhi rilucenti,
Che pur sopra il grifone stavan saldi.
Come in lo specchio il sol, non altrimenti
La doppia fiera dentro vi raggiava, 122
Or con uni, or con altri reggimenti.
Pensa, lettor, s' io mi maravigliava, 124
Quando vedea la cosa in sè star queta,
E nell' idolo suo si trasmutava.
Mentre che piena di stupore e lieta
L'anima mia gustava di quel cibo,
Che saziando di sè, di sè asseta;
Sè dimostrando di più alto tribo
Negli atti, l'altre tre si fero avanti,
Danzando al loro angelico caribo.
'Volgi, Beatrice, volgi gli occhi santi,' 133
Era la lor canzone, al tuo fedele
Che per vederti ha mossi passi tanti.
Per grazia fa noi grazia che disvele

A lui la bocca tua, sì che discerna
La seconda bellezza che tu cele.'

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E il grifon mosse il benedetto carco, Si che però nulla penna crollonne. La bella donna che mi trasse al varco, 28 E Stazio ed io seguitavam la rota Che fe' l' orbita sua con minore arco. Si passeggiando l' alta selva vota, Colpa di quella ch' al serpente crese, Temprava i passi un' angelica nota. Forse in tre voli tanto spazio prese Disfrenata saetta, quanto eramo Rimossi, quando Beatrice scese. Io sentii mormorare a tutti: 'Adamo!' 37 Poi cerchiaro una pianta dispogliata Di fiori e d'altra fronda in ciascun ramo. La coma sua, che tanto si dilata Più quanto più è su, fora dagl' Indi Nei boschi lor per altezza ammirata. 'Beato sei, grifon, che non discindi Col becco d' esto legno dolce al gusto, Posciache mal si torce il ventre quindi.' Cosi d' intorno all' arbore robusto 46 Gridaron gli altri; e l' animal binato : 'Si si conserva il seme d' ogni giusto.' E volto al temo ch' egli avea tirato,

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Di suo color ciascuna, pria che il sole Giunga li suoi corsier sott' altra stella; Men che di rose, e più che di viole Colore aprendo, s' innovò la pianta, Che prima avea le ramora sì sole.

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La Donna mia la volse in tanta futa, Quanto sofferson l' ossa senza polpe. Poscia, per indi ond' era pria venuta, 124 L'aquila vidi scender giù nell' arca Del carro, e lasciar lei di sè pennuta. E qual esce di cor che si rammarca, Tal voce uscì del cielo, e cotal disse: 'O navicella mia, com' mal sei carca!' Poi parve a me che la terra s' aprisse 130 Tr' ambo le rote, e vidi uscirne un drago, Che per lo carro su la coda fisse : E come vespa che ritragge l' ago, A sè traendo la coda maligna, Trasse del fondo, e gissen vago vago. Quel che rimase, come di gramigna Vivace terra, della piuma, offerta Forse con intenzion sana e benigna, Si ricoperse, e funne ricoperta

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E l'una e l' altra rota e il temo, in tanto

Non so, perocchè già negli occhi m' era Quella ch' ad altro intender m' avea chiuso.

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CANTO TRENTESIMOTERZO.

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E dopo sè, solo accennando, mosse Me e la Donna, e il Savio che ristette. Così sen giva, e non credo che fosse Lo decimo suo passo in terra posto, Quando con gli occhi gli occhi mi percosse; 18 E con tranquillo aspetto: 'Vien più tosto,' Mi disse, 'tanto che s' io parlo teco, Ad ascoltarmi tu sie ben disposto,' Si com' io fui, com' io doveva, seco, Dissemi: 'Frate, perchè non ti attenti A domandarmi omai venendo meco?' Come a color che troppo reverenti Dinanzi a' suoi maggior parlando sono, Che non traggon la voce viva ai denti, Avvenne a me, che senza intero suono 28 Incominciai: 'Madonna, mia bisogna Voi conoscete, e ciò ch' ad essa è buono.' Ed ella a me: 'Da tema e da vergogna 31 Voglio che tu omai ti disviluppe, Si che non parli più com'uom che Sappi che il vaso che il serpente ruppe, 34 Fu, e non è; ma chi n' ha colpa, creda Che vendetta di Dio non teme suppe. Non sarà tutto tempo senza ereda

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sogna.

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L'aquila che lasciò le penne al carro, Per che divenne mostro e poscia preda; Ch'io veggio certamente, e però il narro, 40 A darne tempo già stelle propinque, Sicure d'ogni intoppo e d' ogni sbarro;

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Che solveranno questo enigma forte, Senza danno di pecore o di biade. Tu nota; e sì come da me son porte, Così queste parole segna ai vivi Del viver ch'è un correre alla morte; Ed abbi a mente, quando tu le scrivi, Di non celar qual hai vista la pianta, Ch' è or due volte dirubata quivi. Qualunque ruba quella o quella schianta, 58 Con bestemmia di fatto offende a Dio, Che solo all' uso suo la creò santa. Per morder quella, in pena ed in disio 61 Cinquemili' anni e più l' anima prima Bramò Colui che il morso in sè punio. Dorme lo ingegno tuo, se non estima 64 Per singular cagione essere eccelsa Lei tanto, e si travolta nella cima. E se stati non fossero acqua d' Elsa

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La giustizia di Dio nello interdetto Conosceresti all' arbor moralmente. Ma perch' io veggio te nello intelletto 73 Fatto di pietra, ed, impietrato, tinto Si che t'abbaglia il lume del mio detto, Voglio anco, e se non scritto, almen dipinto, Che il te ne porti dentro a te, per quello Che si reca il bordon di palma cinto.' Ed io: Si come cera da suggello,

Che la figura impressa non trasmuta, Segnato è or da voi lo mio cervello, Ma perchè tanto sopra mia veduta Vostra parola disiata vola,

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PARADISO.

CANTO PRIMO.

La gloria di colui che tutto move
Per l'universo penetra, e risplende
In una parte più, e meno altrove.
Nel ciel che più della sua luce prende 4
Fu' io, e vidi cose che ridire

Nè sa, nè può chi di lassù discende;
Perchè, appressando sè al suo disire,
Nostro intelletto si profonda tanto,
Che retro la memoria non può ire.
Veramente quant' io del regno santo
Nella mia mente potei far tesoro,
Sarà ora materia del mio canto.
O buono Apollo, all' ultimo lavoro

Fammi del tuo valor sì fatto vaso,
Come domandi a dar l' amato alloro.

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La lucerna del mondo; ma da quella Che quattro cerchi giunge con tre croci, Con miglior corso e con migliore stella 40 Esce congiunta, e la mondana cera Più a suo modo tempera e suggella. Fatto avea di là mane e di qua sera Tal foce quasi; e tutto era là bianco Quello emisperio, e l' altra parte nera, Quando Beatrice in sul sinistro fianco 46 Vidi rivolta, e riguardar nel sole: Aquila si non gli s' affisse unquanco. E si come 'l secondo raggio suole Uscir del primo, e risalire insuso, Pur come peregrin che tornar vuole ; Così dell' atto suo, per gli occhi infuso 52 Nell' imagine mia, il mio si fece, E fissi gli occhi al sole oltre a nostr'

uso.

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Qual si fe' Glauco nel gustar dell' erba, Che il fe' consorte in mar degli altri Dei.

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