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materia di dire, come se io le avessi 60 domandate, ed elle m' avessero risposto.

E feci due sonetti; che nel primo domando in quel modo che voglia mi giunse di domandare; nell' altro dico la loro risposta, pigliando ciò ch' io udii da loro, 65 siccome lo m' avessero detto rispondendo. E comincia il primo: Voi, che portate; il secondo: Se' tu colui.

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SONETTO DUODECIMO.

Voi, che portate la sembianza umile,
Cogli occhi bassi mostrando dolore,
Onde venite, chè 'l vostro colore
Par divenuto di pietà simile?
Vedeste voi nostra donna gentile

Bagnata il viso di pianto d' amore? Ditelmi, donne, chè mel dice il core, Perch' io vi veggio andar senz' atto vile. E se venite da tanta pietate,

Piacciavi di restar qui meco alquanto, E quel che sia di lei, nol mi celate: Io veggio gli occhi vostri c' hanno pianto, E veggiovi tornar si sfigurate,

Che 'l cor mi trema di vederne tanto.

Questo sonetto si divide in due parti. Nella prima chiamo e dimando queste donne se vengono da lei, dicendo loro 85 ch' io il credo, perchè tornano quasi ingentilite. Nella seconda le prego che mi dicano di lei; e la seconda comincia quivi: E se venite.

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SONETTO DECIMOTERZO.

Se' tu colui, c' hai trattato sovente Di nostra donna, sol parlando a nui? Tu rassomigli alla voce ben lui, Ma la figura ne par d' altra gente. Deh, perchè piangi tu si coralmente, Che fai di te pietà venir altrui? Vedestù pianger lei, chè tu non pui Punto celar la dolorosa mente? Lascia piangere a noi, e triste andare, (E' fa peccato chi mai ne conforta), Che nel suo pianto l' udimmo parlare. 100 Ella ha nel viso la pietà si scorta,

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Che qual l' avesse voluta mirare, Sarebbe innanzi lei piangendo morta.

Questo sonetto ha quattro parti, secondo che quattro modi di parlare ebbero in loro le donne per cui rispondo. E perocchè di 105 sopra sono assai manifesti, non mi trametto di narrare la sentenzia delle parti, e però le distinguo solamente. La seconda comincia quivi: Deh, perchè piangi tu; la terza Lascia piangere a noi; la quarta : 110 Ell' ha nel viso.

§ XXIII. Appresso ciò pochi di, avvenne che in alcuna parte della mia persona mi giunse una dolorosa infermitade, ond' io continuamente soffersi per molti di amarissima pena; la quale mi condusse a tanta 5 debolezza, che mi convenia stare come coloro, i quali non si possono movere. Io dico che nel nono giorno sentendomi dolore quasi intollerabile, giunsemi un pensiero, il quale era della mia donna. 10 E quando ebbi pensato alquanto di lei, io ritornai pensando alla mia deboletta vita, e veggendo come leggiero era lo suo durare, ancora che sana fosse, cominciai a piangere fra me stesso di tanta miseria. 15 Onde sospirando forte, fra me medesimo dicea: Di necessità conviene, che la gentilissima Beatrice alcuna volta si muoia.

E però mi giunse uno si forte smarri- 20 mento, ch' io chiusi gli occhi e cominciai a travagliare come farnetica persona, ed imaginare in questo modo: che nel cominciamento dell' errare che fece la mia fantasia, apparvero a me certi visi 25 di donne scapigliate, che mi diceano: Tu pur morrai. E dopo queste donne,

m' apparvero certi visi diversi ed orribili a vedere, i quali mi diceano: Tu se' morto.

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Cosi cominciando ad errare la mia fantasia, venni a quello, che non sapea dove io fossi; e veder mi parea donne andare scapigliate piangendo per via, maravigliosamente tristi, e pareami vedere 35 il sole oscurare sì, che le stelle si mostravano di colore, che mi facea giudicare che piangessero, e parevami che gli uccelli volando per l' aria cadessero morti, e che fossero grandissimi terremoti. E mara- 40 vigliandomi in cotale fantasia, e paventando assai, imaginai alcuno amico, che

mi venisse a dire: Or non sai? la tua mirabile donna è partita di questo secolo. 45 Allora incominciai a piangere molto pietosamente; e non solamente piangea nella imaginazione, ma piangea con gli occhi bagnandoli di vere lagrime.

Io imaginava di guardare verso il cielo, 50 e pareami vedere moltitudine di angeli, i quali tornassero in suso ed avessero dinanzi loro una nubiletta bianchissima: e pareami che questi angeli cantassero gloriosamente, e le parole del loro canto 55 mi parea che fossero queste: Osanna in excelsis; ed altro non mi parea udire. Allora mi parea che il core, ov' era tanto amore, mi dicesse: Vero è che morta giace la nostra donna. E per questo mi parea 60 andare per vedere lo corpo, nel quale era stata quella nobilissima e beata anima. E fu si forte la errante fantasia, che mi mostrò questa donna morta: e pareami che donne le coprissero la testa con un 65 bianco velo: e pareami che la sua faccia

avesse tanto aspetto d' umiltade, che parea che dicesse: Io sono a vedere lo principio della pace.

In questa imaginazione mi giunse tanta 70 umiltade per veder lei, che io chiamava

la Morte, e dicea: Dolcissima Morte, vieni a me, e non m' esser villana; perocchè tu dêi esser fatta gentile, in tal parte se' stata! or vieni a me che molto ti desidero : 75 e tu lo vedi, chè porto già lo tuo colore.

E quando io avea veduto compiere tutti i dolorosi mestieri, che alli corpi de' morti s' usano di fare, mi parea tornare nella mia camera, e quivi mi parea guardare So verso il cielo: e sì forte era la mia imaginazione, che, piangendo, cominciai a dire con voce vera: O anima bellissima, com' è beato colui che ti vede! E dicendo queste parole con doloroso singulto di pianto, 85 e chiamando la Morte che venisse a me, una donna giovane e gentile, la quale era lungo il mio letto, credendo che il mio piangere e le mie parole fossero solamente per lo dolore della mia infermità, con 90 grande paura cominciò a piangere. Onde altre donne, che per la camera erano, s' accorsero di me che piangeva per lo pianto che vedeano fare a questa: onde

me per

facendo lei partire da me, la quale era meco di propinquissima sanguinità con- 95 giunta, elle si trassero verso isvegliarmi, credendo che io sognassi, e diceanmi: Non dormir più, e non ti sconfortare. E parlandomi così, cessò la forte fantasia entro quel punto ch' io 100 volea dire: O Beatrice, benedetta sii tu. E già detto avea : O Beatrice quando riscuotendomi apersi gli occhi, e vidi ch' io era ingannato ; е con tutto ch' io chiamassi questo nome, la 105 mia voce era si rotta dal singulto del piangere, che queste donne non mi poterono intendere.

Ed avvegnachè io mi vergognassi molto, tuttavia per alcuno ammonimento 110 d'amore mi rivolsi a loro. E quando mi videro, cominciaro a dire; Questi par morto; e a dir fra loro: procuriam di confortarlo. Onde molte parole mi diceano da confortarmi; ed allora mi domanda- 115 vano di che io avessi avuto paura. Ond' io, essendo alquanto riconfortato, e conosciuto il falso imaginare, risposi loro: Io vi dirò quello c' ho avuto. Allora, cominciandomi dal principio, fino alla 120 fine dissi loro ciò che veduto avea, tacendo il nome di questa gentilissima. Onde poi, sanato di questa infermità, proposi di dir parole di questo che m' era avvenuto, perocchè mi parea che fosse 125 amorosa cosa a udire; e però ne dissi questa canzone:

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Allor lasciai la nuova fantasia,
Chiamando il nome della donna mia,
Era la voce mia si dolorosa,

E rotta si dall' angoscia e dal pianto,
Ch' io solo intesi il nome nel mio core;
E con tutta la vista vergognosa,
Ch' era nel viso mio giunta cotanto,
Mi fece verso lor volgere Amore.
Egli era tale a veder mio colore,
Che facea ragionar di morte altrui :
Deh confortiam costui,

Pregava l' una l'altra umilemente;
E dicevan sovente:

Che vedestù, che tu non hai valore?
E quando un poco confortato fui,
Io dissi: Donne, dicerollo a vui.
Mentre io pensava la mia frale vita,

E vedea 'l suo durar com'è leggiero,
Piansemi Amor nel core, ove dimora;
Per che l'anima mia fu si smarrita,
Che sospirando dicea nel pensiero :
Ben converrà che la mia donna mora.
Io presi tanto smarrimento allora,
Ch'io chiusi gli occhi vilmente gravati;
Ed eran si smagati

Gli spirti miei, che ciascun giva er-
rando.

E poscia imaginando,

Di conoscenza e di verità fuora, Visi di donne m' apparver crucciati, Che mi dicean pur: Morra'ti, morra'ti. 170 Poi vidi cose dubitose molte

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Nel vano immaginare, ov' io entrai;

Ed esser mi parea non so in qual loco,
E veder donne andar per via disciolte,
Qual lagrimando, e qual traendo guai,
Che di tristizia saettavan foco.
Poi mi parve vedere appoco appoco
Turbar lo Sole ed apparir la stella,
E pianger egli ed ella;

Cader gli augelli volando per l' a're,
E la terra tremare;

Ed uom m'apparve scolorito e fioco,
Dicendomi: Che fai? non sai novella?
Morta è la donna tua, ch' era si bella.
Levava gli occhi miei bagnati in pianti,
E vedea (che parean pioggia di manna),
Gli angeli che tornavan suso in cielo,
Ed una nuvoletta avean davanti,
Dopo la qual cantavan tutti: Osanna;
E s' altro avesser detto, a voi dire' lo.

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Vedea che donne la covrian d' un velo; 195 Ed avea seco umiltà si verace,

Che parea che dicesse: Io sono in pace.

Io diveniva nel dolor si umile,

Veggendo in lei tanta umiltà formata, Ch'io dicea: Morte, assai dolce ti tegno; 200 Tu dêi omai esser cosa gentile,

Poichè tu se' nella mia donna stata,

E dêi aver pietate, e non disdegno.

Vedi che si desideroso vegno

D'esser de' tuoi, ch' io ti somiglio in 205 fede.

Vieni, chè 'l cor ti chiede.

Poi mi partia, consumato ogni duolo;

E quando io era solo,

Dicea, guardando verso l'alto regno:
Beato, anima bella, chi ti vede!

Voi mi chiamaste allor, vostra mer-
cede.

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Questa canzone ha due parti: nella prima dico, parlando a indiffinita persona, com' io fui levato d'una vana fantasia da certe donne, e come promisi 215 loro di dirla: nella seconda dico, com' io dissi a loro. La seconda comincia quivi: Mentr' io pensava. La prima parte si divide in due: nella prima dico quello che certe donne, e che una sola, dissero 220 e fecero per la mia fantasia, quanto è dinanzi ch' io fossi tornato in verace cognizione; nella seconda dico quello che queste donne mi dissero, poich' io lasciai questo farneticare; e comincia questa 225 parte quivi: Era la voce mia. Poscia quando dico: Mentr' io pensava, dico com' io dissi loro questa mia imaginazione; e intorno a ciò fo due parti. Nella prima dico per ordine questa imaginazione; 230 nella seconda, dicendo a che ora mi chiamaro, le ringrazio chiusamente; e questa parte comincia quivi: Voi mi chiamaste.

§ XXIV. Appresso questa mia vana imaginazione, avvenne un dì, che sedendo io pensoso in alcuna parte, ed io mi sentii cominciare un tremito nel core, così come

5 s' io fossi stato presente a questa donna. Allora dico che mi giunse una imaginazione d' Amore: chè mi parve vederlo venire da quella parte ove la mia donna stava; e pareami che lietamente mi di10 cesse nel cor mio: Pensa di benedire lo di ch' io ti presi, perocchè tu lo dêi fare. E certo mi parea avere lo core si lieto, che non mi parea che fosse lo core mio, per la sua nuova condizione.

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E poco dopo queste parole, che 'l core mi disse con la lingua d' Amore, io vidi venire verso me una gentil donna, la quale era di famosa beltade, e fu già molto donna di questo mio primo amico. 20 E lo nome di questa donna era GIOVANNA, salvo che per la sua beltade, secondo ch' altri crede, imposto l' era nome PRIMAVERA e così era chiamata. E appresso lei guardando, vidi venire la mirabile 25 Beatrice. Queste donne andaro presso di me così l' una appresso l'altra, e parvemi che Amore mi parlasse nel core, e dicesse : Quella prima è nominata Primavera solo per questa venuta d' oggi; chè io mossi 30 lo impositore del nome a chiamarla così: 'PRIMAVERA,' cioè 'prima verrà,' lo di che Beatrice si mostrerà dopo l' imaginazione del suo fedele. E se anco vuoli considerare lo primo nome suo, tanto è 35 quanto dire Primavera, perchè lo suo nome Giovanna è da quel Giovanni, lo quale precedette la verace luce, dicendo: Ego vox clamantis in deserto: parate viam Domini. Ed anche mi parve che mi 40 dicesse, dopo queste, altre parole, cioè:

Chi volesse sottilmente considerare, quella Beatrice chiamerebbe AMORE, per molta simiglianza che ha meco, Ond' io poi ripensando, proposi di scriverne per rima 45 al primo mio amico (tacendomi certe parole le quali pareano da tacere), credendo io che ancora il suo core mirasse la beltà di questa Primavera gentile. E dissi questo sonetto:

SONETTO DECIMOQUARTO.

50 Io mi sentii svegliar dentro allo core
Un spirito amoroso che dormia:
E poi vidi venir da lungi Amore
Allegro sì, che appena il conoscía;

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Questo sonetto ha molte parti: la prima delle quali dice, come io mi sentii sve- 65 gliare lo tremore usato nel core, e come parve che Amore m' apparisse allegro da lunga parte; la seconda dice, come mi parve che Amore mi dicesse nel mio core, e quale mi parea; la terza dice come, poi 70 che questo fu alquanto stato meco cotale, io vidi ed udii certe cose. La seconda parte comincia quivi: Dicendo: Or pensa pur; la terza quivi: E poco stando. La terza parte si divide in due: nella prima 75 dico quello ch' io vidi; nella seconda dico quello ch' io udii; e comincia quivi: Amor mi disse.

§ XXV. Potrebbe qui dubitar persona degna di dichiararle ogni dubitazione, e dubitar potrebbe di ciò ch' io dico d' Amore, come se fosse una cosa per sè, e non solamente sostanza intelligente, ma si 5 come fosse sostanza corporale. La qual cosa, secondo verità, è falsa; chè Amore non è per sè siccome sostanza, ma è un accidente in sostanza, E che io dica di lui come se fosse corpo, ed ancora come 10 se fosse uomo, appare per tre cose che io dico di lui. Dico che 'l vidi di lungi venire; onde, conciossiacosachè 'venire' dica moto locale (e localmente mobile per sè, secondo il Filosofo, sia solamente 15 corpo), appare che io ponga Amore essere corpo. Dico anche di lui che rideva, ed anche che parlava; le quali cose paiono esser proprie dell' uomo, e specialmente esser risibile; e però appare ch' io pongo 20 lui esser uomo.

A cotal cosa dichiarare, secondo ch'è buono al presente, prima è da inten

dere, che anticamente non erano dicitori 25 d' Amore in lingua volgare, anzi erano dicitori d' Amore certi poeti in lingua latina: tra noi, dico, avvegna forse che tra altra gente addivenisse, e avvegna ancora, che, siccome in Grecia, non vol30 gari ma litterati poeti queste cose trattavano. E non è molto numero d'anni passato, che apparirono prima questi poeti volgari; chè dire per rima in volgare tanto è quanto dire per versi in 35 latino, secondo alcuna proporzione. E segno che sia picciol tempo è, che, se volemo cercare in lingua d' Oco e in lingua di Si, noi non troviamo cose dette anzi lo presente tempo per centocinquanta 40 anni. E la cagione, per che alquanti grossi ebbero fama di saper dire, è che quasi furono i primi, che dissero in lingua di Si. E lo primo, che cominciò a dire siccome poeta volgare, si mosse però che 45 volle fare intendere le sue parole a donna,

alla quale era malagevole ad intendere i versi latini. E questo è contro a coloro, che rimano sopra altra materia che amorosa; conciossiacosachè cotal modo 50 di parlare fosse dal principio trovato per dire d' Amore.

Onde, conciossiacosachè a' poeti sia conceduta maggior licenza di parlare che alli prosaici dicitori, e questi dicitori per 55 rima non sieno altro che poeti volgari, è degno e ragionevole, che a loro sia maggior licenza largita di parlare, che agli altri parlatori volgari: onde, se alcuna figura o colore rettorico è conceduto alli poeti, 60 conceduto è a' rimatori. Dunque se noi vedemo, che li poeti hanno parlato alle cose inanimate come se avessero senso e ragione, e fattole parlare insieme; e non solamente cose vere, ma cose non 65 vere (cioè che detto hanno, di cose le quali non sono, che parlano, e detto che molti accidenti parlano, siccome fossero sostanze ed uomini); degno è lo dicitore per rima fare lo simigliante, ma non 70 senza ragione alcuna, ma con ragione, la quale poscia sia possibile d'aprire per prosa. Che li poeti abbiano così parlato, come detto è, appare per Virgilio ; il quale dice che Giuno, cioè una Dea nemica dei

Troiani, parlò ad Eolo signore delli venti, 75 quivi nel primo dell' Eneida:

Aeole, namque tibi, &c.,

e che questo signore le rispose quivi: Tuus, o regina, quid optes

Explorare labor; mihi iussa capessere fas est. 80

Per questo medesimo poeta parla la cosa, che non è animata, alla cosa animata nel terzo dell' Eneida, quivi:

Dardanidae duri, &c.

Per Lucano parla la cosa animata alla 85 cosa inanimata, quivi:

Multum, Roma, tamen debes civilibus armis. Per Orazio parla l' uomo alla sua scienza medesima, siccome ad altra persona; e non solamente sono parole d' Orazio, ma 90 dicele quasi recitando le parole del buono Omero, quivi nella sua Poetria :

Dic mihi, Musa, virum, &c.

Per Ovidio parla Amore, come se fosse persona umana, nel principio del libro 95 che ha nome Rimedio d' Amore, quivi:

Bella mihi, video, bella parantur, ait. E per questo puote essere manifesto a chi dubita in alcuna parte di questo mio libello.

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E acciocchè non ne pigli alcuna baldanza persona grossa, dico che nè li poeti parlavano così senza ragione, nè que' che rimano deono parlare così, non avendo alcuno ragionamento in loro di quello che 105 dicono; perocchè grande vergogna sarebbe a colui, che rimasse cosa sotto veste di figura o di colore rettorico, e poscia domandato non sapesse dinudare le sue parole da cotal vesta, in guisa ch' aves- 110 sero verace intendimento. E questo mio primo amico ed io ne sapemo bene di quelli che così rimano stoltamente.

§ XXVI. Questa gentilissima donna, di cui ragionato è nelle precedenti parole, venne in tanta grazia delle genti, che quando passava per via, le persone correano per vederla; onde mirabile letizia 5 me ne giungea. E quando ella fosse presso ad alcuno, tanta onestà venía nel

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