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SONETTO DECIMOTTAVO.

Primo cominciamento.

Era venuta nella mente mia

La gentil donna, che per suo valore
Fu posta dall' altissimo signore
Nel ciel dell' umiltate, ov'è Maria.
Secondo cominciamento.

45 Era venuta nella mente mia

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Quella donna gentil, cui piange Amore,
Entro quel punto, che lo suo valore
Vi trasse a riguardar quel ch' io facía.
Amor, che nella mente la sentía,

S'era svegliato nel distrutto core,
E diceva a' sospiri : Andate fuore;
Per che ciascun dolente sen partía.
Piangendo usciano fuori del mio petto
Con una voce, che sovente mena

Le lagrime dogliose agli occhi tristi. Ma quelli, che n'uscian con maggior pena, Venien dicendo: O nobile intelletto, Oggi fa l'anno che nel ciel salisti.

§ XXXVI. Poi per alquanto tempo, conciofossecosachè io fossi in parte, nella quale mi ricordava del passato tempo, molto stava pensoso, e con dolorosi pensa5 menti tanto che mi faceano parere di fuori d'una vista di terribile sbigottimento. Ond'io, accorgendomi del mio travagliare, levai gli occhi per vedere s' altri me vedesse. Allora vidi una gentil donna giovane 10 e bella molto, la quale da una finestra

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mi riguardava molto pietosamente quant' alla vista; sicchè tutta la pietade pareva in lei accolta. Onde, conciossiacosachè quando i miseri veggono di loro compassione altrui, più tosto si muovono a lagrimare, quasi come di sè stessi avendo pietade, io sentii allora li miei occhi cominciare a voler piangere; e però, temendo di non mostrare la mía viltà mi 20 partii dinanzi dagli occhi di questa gentile; e dicea poi fra me medesimo : E' non può essere, che con quella pietosa donna non sia nobilissimo amore. E però proposi di dire un sonetto, nel quale 25 io parlassi a leí, e conchiudessi in esso tutto ciò che narrato è in questa ragione.

E però che questa ragione è assai manifesta, nol dividerò.

SONETTO DECIMONONO. Videro gli occhi miei quanta pietate Era apparita in la vostra figura, Quando guardaste gli atti e la statura, Ch' io facia pel dolor molte fiate. Allor m' accorsi che voi pensavate La qualità della mia vita oscura, Sicchè mi giunse nello cor paura Di dimostrar cogli occhi mia viltate. E tolsimi dinanzi a voi, sentendo Che si movean le lagrime dal core, Ch' era sommosso dalla vostra vista. Io dicea poscia nell' anima trista :

Ben è con quella donna quello amore, Lo qual mi face andar così piangendo.

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§ XXXVII. Avvenne poi che questa donna ovunque ella mi vedea, si facea d' una vista pietosa e d'un color pallido, quasi come d' amore: onde molte fiate mi ricordava della mia nobilissima donna, 5 che di simile colore si mostrava tuttavia. E certo molte volte non potendo lagrimare nè disfogare la mia tristizia, io andava per vedere questa pietosa donna, la quale parea che tirasse le lagrime fuori delli 19 miei occhi per la sua vista. E però mi venne anche volontade di dire parole, parlando a lei; e dissi questo sonetto, che comincia Color d'amore, e ch'è piano senza dividerlo, per la sua precedente ragione. 15

SONETTO VIGESIMO.

Color d'amore, e di pietà sembianti,
Non preser mai così mirabilmente
Viso di donna, per veder sovente
Occhi gentili e dolorosi pianti,
Come lo vostro, qualora davanti

Vedetevi la mia labbia dolente;
Si che per voi mi vien cosa alla mente,
Ch' io temo forte non lo cor si schianti.
Io non posso tener gli occhi distrutti
Che non riguardin voi molte fiate,
Pel desiderio di pianger ch' egli hanno :
E voi crescete si lor volontate,

Che della voglia si consuman tutti; Ma lagrimar dinanzi a voi non sanno.

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§ XXXVIII. Io venni a tanto per la vista di questa donna, che li miei occhi si cominciaro a dilettare troppo di vederla ; onde molte volte me ne crucciava nel mio 5 core, ed avevamene per vile assai; e più volte bestemmiava la vanità degli occhi miei, e dicea loro nel mio pensiero : Or voi solevate far piangere chi vedea la vostra dolorosa condizione, ed ora, pare che Io vogliate dimenticarlo per questa donna

che vi mira, e che non vi mira se non in quanto le pesa della gloriosa donna di cui pianger solete; ma quanto far potete, fate; chè io la vi rimembrerò molto 15 spesso, maledetti occhi: chè mai, se non dopo la morte, non dovrebbero le vostre lagrime esser ristate. E quando così avea detto fra me medesimo alli miei occhi, e li sospiri m' assaliano grandissimi 20 ed angosciosi. Ed acciocchè questa battaglia, che io avea meco, non rimanesse saputa pur dal misero che la sentia, proposi di fare un sonetto, e di comprendere in esso questa orribile condizione, e dissi 25 questo che comincia: L' amaro lagrimar.

Questo sonetto ha due parti: nella prima parlo agli occhi miei siccome parlava lo mio core in me medesimo; nella seconda rimovo alcuna dubitazione, mani30 festando chi è che così parla; e questa parte comincia quivi: Così dice. Potrebbe bene ancora ricevere più divisioni, ma sariano indarno, perchè è manifesto per la precedente ragione.

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SONETTO VIGESIMOPRIMO. L' amaro lagrimar che voi faceste, Occhi miei, così lunga stagione, Faceva lagrimar l' altre persone Della pietate, come voi vedeste. Ora mi par che voi l' obbliereste, S'io fossi dal mio lato si fellone, Ch' io non ven disturbassi ogni cagione, Membrandovi colei, cui voi piangeste. La vostra vanità mi fa pensare,

E spaventami sì, ch' io temo forte Del viso d' una donna che vi mira. Voi non dovreste mai, se non per morte, La nostra donna, ch'è morta, obbliare : Così dice il mio core, e poi sospira.

§ XXXIX. Recommi la vista di questa donna in si nuova condizione, che molte volte ne pensava come di persona che troppo mi piacesse; e pensava di lei così: Questa è una donna gentile, bella, giovane 5 e savia, ed apparita forse per volontà d' Amore, acciocchè la mia vita si riposi. E molte volte pensava più amorosamente, tanto che il core consentiva in lui, cioè nel suo ragionare. Equando avea con- 10 sentito ciò, io mi ripensava siccome dalla ragione mosso, e dicea fra me medesimo : Deh che pensiero è questo, che in cosi vile modo mi vuol consolare, e non mi lascia quasi altro pensare! Poi si rilevava un 15 altro pensiero, e dicea: Or che tu se' stato in tanta tribulazione, perchè non vuoi tu ritrarti da tanta amaritudine? Tu vedi che questo è uno spiramento, che ne reca li desiri d' Amore dinanzi, ed è 20 mosso da così gentil parte, com' è quella degli occhi della donna, che tanto pietosa ci s'è mostrata. Ond' io avendo così più volte combattuto in me medesimo, ancora ne volli dire alquante parole; e perocchè 25 la battaglia de' pensieri vinceano coloro che per lei parlavano, mi parve che si convenisse di parlare a lei; e dissi questo sonetto, il quale comincia: Gentil pensiero; e dico gentile in quanto ragionava 30 a gentil donna, chè per altro era vilissimo.

In questo sonetto fo due parti di me, secondo che li miei pensieri erano in due divisi. L' una parte chiamo core, cioè 35 l'appetito; l'altra chiamo anima, cioè la ragione; e dico come l' uno dice all' altro. E che degno sia chiamare l' appetito core, e la ragione anima, assai è manifesto a coloro, a cui mi piace che ciò sia aperto. 40 Vero è che nel precedente sonetto io fo la parte del core contro a quella degli occhi, e ciò pare contrario di quel ch' io dico nel presente; e però dico, che ivi il core anche intendo per l'appetito, perocchè 45 maggior desiderio era il mio ancora di ricordarmi della gentilissima donna mia, che di vedere costei, avvegnachè alcuno appetito ne avessi già, ma leggiero parea: onde appare che l'uno detto non è contrario 50 all' altro.

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§ XL. Contra questo avversario della ragione si levò un dì, quasi nell' ora di nona, una forte immaginazione in me; chè mi parea vedere questa gloriosa Beatrice con 5 quelle vestimenta sanguigne, colle quali apparve prima agli occhi miei, e pareami giovane in simile etade a quella, in che prima la vidi. Allora incominciai a pensare di lei; e ricordandomene, secondo l'ordine 10 del tempo passato, lo mio core incominciò dolorosamente a pentirsi del desiderio, a cui così vilmente s' era lasciato possedere alquanti di contro alla costanza della ragione e discacciato questo cotal mal15 vagio desiderio, si rivolsero tutti i miei pensamenti alla loro gentilissima Beatrice. E dico che d' allora innanzi cominciai a pensare di lei si con tutto il vergognoso core, che li sospiri manifestavano ciò molte 20 volte; però che quasi tutti diceano nel loro uscire quello che nel core si ragionava, cioè lo nome di quella gentilissima, e come si partio da noi. E molte volte avvenia

che tanto dolore avea in sè alcuno pensiero, che io dimenticava lui, e là dov' io 25

era.

Per questo raccendimento di sospiri si raccese lo sollenato lagrimare in guisa, che li miei occhi pareano due cose, che desiderassero pur di piangere: e spesso 30 avvenia che, per lo lungo continuare del pianto, dintorno loro si facea un colore purpureo, lo quale suole apparir per alcuno martirio ch' altri riceva: onde appare che della loro vanità furono degnamente 35 guiderdonati, sì che da indi innanzi non poterono mirare persona, che li guardasse si che loro potesse trarre a simile intendimento. Onde io volendo che cotal desiderio malvagio e vana tentazione pa- 40 ressero distrutti si che alcuno dubbio non potessero inducere le rimate parole, ch' io avea dette dinnanzi, proposi di fare un sonetto, nel quale io comprendessi la sentenza di questa ragione. E dissi allora : 45 Lasso! per forza ec.

Dissi lasso, in quanto mi vergognava di ciò che li miei occhi aveano così vaneggiato. Questo sonetto non divido, però che è assai manifesta la sua ragione.

SONETTO VIGESIMOTERZO.

Lasso! per forza de' molti sospiri,
Che nascon di pensier che son nel

core,

Gli occhi son vinti, e non hanno valore Di riguardar persona che gli miri. E fatti son, che paion due desiri

Di lagrimare e di mostrar dolore, E spesse volte piangon sì, ch' Amore Li cerchia di corona di martiri. Questi pensieri, e li sospir ch' io gitto, Diventano nel cor si angosciosi, Ch' Amor vi tramortisce, si glien duole; Perocch' egli hanno in sè, li dolorosi, Quel dolce nome di Madonna scritto, E della morte sua molte parole.

§ XLI. Dopo questa tribolazione avvenne (in quel tempo che molta gente va per vedere quella imagine benedetta, la

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quale Gesù Cristo lasciò a noi per esempio 5 della sua bellissima figura, la quale vede la mia donna gloriosamente), che alquanti peregrini passavano per una via, la quale è quasi mezzo della cittade, ove nacque, vivette e morío la gentilissima donna, io e andavano, secondo che mi parve, molto pensosi. Ond' io pensando a loro, dissi fra me medesimo: Questi peregrini mi paiono di lontana parte, e non credo che anche udissero parlare di questa donna, 15 e non ne sanno niente; anzi i loro pensieri sono d' altre cose che di queste qui; che forse pensano delli loro amici lontani, li quali noi non conosciamo. Poi dicea fra me medesimo: Io so che se questi fossero 20 di propinquo paese, in alcuna vista parreb

bero turbati, passando per lo mezzo della dolorosa cittade. Poi dicea fra me stesso: S'io li potessi tenere alquanto, io pur gli farei piangere anzi ch' egli uscissero di 25 questa cittade, perocchè io direi parole, che farebbero piangere chiunque le intendesse. Onde, passati costoro dalla mia veduta, proposi di fare un sonetto, nel quale manifestassi ciò ch' io avea detto 30 fra me medesimo; ed acciocchè più paresse

pietoso, proposi di dire come se io avessi parlato loro; e dissi questo sonetto, lo quale comincia: Deh peregrini ec.

Dissi peregrini, secondo la larga signi35 ficazione del vocabolo: chè peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo ed in l' altro stretto. In largo, in quanto è peregrino chiunque è fuori della sua patria; in modo stretto non s' intende 40 peregrino, se non chi va verso la casa di santo Jacopo, o riede: e però è da sapere, che in tre modi si chiamano propriamente le genti, che vanno al servigio dell' Altissimo, Chiamansi Palmieri in quanto 45 vanno oltramare là onde molte volte recano la palma; chiamansi Peregrini in quanto vanno alla casa di Galizia, però che la sepoltura di santo Jacopo fu più lontana dalla sua patria, che d' alcuno 50 altro Apostolo; chiamansi Romei in quanto vanno a Roma, là ove questi ch' io chiamo peregrini andavano.

Questo sonetto non si divide, però ch'assai il manifesta la sua ragione.

SONETTO VIGESIMOQUARTO.

Deh peregrini, che pensosi andate
Forse di cosa che non v' è presente,
Venite voi di sì lontana gente,
Come alla vista voi ne dimostrate?
Che non piangete, quando voi passate
Per lo suo mezzo la città dolente,
Come quelle persone, che neente
Par che intendesser la sua gravitate.
Se voi restate, per volerla udire,
Certo lo core ne' sospir mi dice,
Che lagrimando n' uscirete pui.
Ella ha perduta la sua Beatrice;

E le parole, ch' uom di lei può dire,
Hanno virtù di far piangere altrui.

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§ XLII. Poi mandaro due donne gentili a me pregandomi che mandassi loro di queste mie parole rimate; ond' io, pensando la loro nobiltà, proposi di mandar loro e di fare una cosa nuova, la quale 5 io mandassi loro con esse, acciocchè più onorevolmente adempiessi li loro preghi. E dissi allora un sonetto, il quale narra il mio stato, e mandailo loro col precedente sonetto accompagnato, e con un altro che 10 comincia Venite a intender ecc. Il sonetto, il quale io feci allora, è Oltre la spera ec.

Questo sonetto ha in sè cinque parti : nella prima dico là ove va il mio pensiero, nominandolo per nome di alcuno suo 15 effetto. Nella seconda dico per che va lassù, cioè chi 'l fa così andare. Nella terza dico quello che vide, cioè una donna onorata. E chiamolo allora spirito peregrino, acciocchè spiritualmente va lassù, 20 e sì come peregrino, lo quale fuori della sua patria vi sta. Nella quarta dico com' egli la vede tale, cioè in tale qualità, ch'io non lo posso intendere; cioè a dire, che il mio pensiero sale nella qualità di costei 25 in grado che il mio intelletto nol può comprendere; conciossiacosachè il nostro intelletto s'abbia a quelle benedette anime, come l'occhio nostro debole al Sole: e ciò dice il Filosofo nel secondo della Metafisica. 30 Nella quinta dico che, avvegnachè io non possa vedere là ove il pensiero mi trae, cioè alla sua mirabile qualità, almeno intendo questo, cioè che tutto è il cotal

35 pensare della mia donna, perocchè io sento spesso il suo nome nel mio pensiero. E nel fine di questa quinta parte dico donne mie care, a dare ad intendere che son donne coloro a cui io parlo. La seconda 40 parte incomincia: Intelligenza nuova; la terza; Quand' egli è giunto; la quarta : Vedela tal; la quinta: So io ch' el parla. Potrebbesi più sottilmente ancora dividere, e più fare intendere, ma puossi passare 45 con questa divisione, e però non mi trametto di più dividerlo.

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Vedela tal, che, quando il mi ridice,
Io non lo intendo, si parla sottile
Al cor dolente, che lo fa parlare.
So io ch' el parla di quella gentile,
Perocchè spesso ricorda Beatrice,
Sicch' io lo intendo ben, donne mie care. 60

§ XLIII. Appresso a questo sonetto apparve a me una mirabil visione, nella quale vidi cose, che mi fecero proporre di non dir più di questa benedetta, infino a tanto che io non potessi più degnamente 5 trattare di lei. E di venire a ciò io studio quanto posso, sì com' ella sa veracemente. Sicchè, se piacere sarà di Colui, per cui tutte le cose vivono, che la mia vita per alquanti anni duri, spero di dire di lei 10 quello che mai non fu detto d' alcuna.

E poi piaccia a Colui, ch'è Sire della cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria della sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, la quale glorio- 15 samente mira nella faccia di Colui, qui est per omnia saecula benedictus.

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