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IL CONVIVIO

IL CONVIVIO

[ ] Fra questi semi sono incluse le parole che non si trovano in nessun codice finora esaminato, ma che, quantunque necessarie al senso, sembra siano state omesse dai copisti, o per errore o con l'intenzione di correggere o modificare il testo.

Fra questi segni si pongono parole che, quantunque trovate nei codici, sembra che siano da omettersi.

TRATTATO PRIMO.

I. SICCOME dice il Filosofo nel principio della Prima Filosofia 'tutti gli uomini naturalmente desiderano di sapere.' La ragione di che puote essere, 5 che ciascuna cosa, da provvidenza di propria natura impinta, è inclinabile alla sua perfezione. Onde, acciocchè la scienza è l'ultima perfezione della nostra anima, nella quale sta la nostra ultima 10 felicità, tutti naturalmente al suo desiderio siamo soggetti. Veramente da questa nobilissima perfezione molti sono privati per diverse cagioni che dentro dall' uomo, e di fuori da esso, lui rimuovono dall' 15 abito di scienza.

Dentro dall' uomo possono essere due difetti e impedimenti : l' uno dalla parte del corpo, l' altro dalla parte dell' anima. Dalla parte del corpo è, quando le parti 20 sono indebitamente disposte, sicchè nulla ricevere può; siccome sono sordi e muti, e loro simili. Dalla parte dell' anima è, quando la malizia vince in essa, sicchè si fa seguitatrice di viziose dilettazioni, 25 nelle quali riceve tanto inganno, che per quelle ogni cosa tiene a vile.

Di fuori dall' uomo possono essere similmente due cagioni intese, l' una delle quali è induttrice di necessità, 30 l'altra di pigrizia. La prima è la cura famigliare e civile, la quale convenevolmente a sè tiene degli uomini il maggior numero, sicchè in ozio di speculazione essere non possono. L'altra è il difetto 35 del luogo ove la persona è nata e nudrita,

che talora sarà da ogni studio non solamente privato, ma da gente studiosa lontano.

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Le due prime di queste cagioni, cioè la prima dalla parte di dentro e la prima 40 dalla parte di fuori, non sono da vituperare, ma da scusare е di perdono degne le due altre, avvegnachè l' una più, sono degne di biasimo e d'abbominazione. Manifestamente adunque può ve- 45 dere chi bene considera, che pochi rimangono quelli che all' abito da tutti desiderato possano pervenire, e innumerabili quasi sono gl' impediti, che di questo cibo da tutti sempre vivono 50 affamati, Oh beati que' pochi che seggono a quella mensa ove il pane degli Angeli si mangia, e miseri quelli che colle pecore hanno comune cibo! Ma perocchè ciascun uomo a ciascun uomo 55 è naturalmente amico, e ciascuno amico si duole del difetto di colui ch' egli ama, coloro che a si alta mensa sono cibati, non senza misericordia sono inver di quelli che in bestiale pastura veggiono 60 erba e ghiande gire mangiando. E perciocchè misericordia è madre di beneficio, sempre liberalmente coloro che sanno porgono della loro buona ricchezza alli veri poveri, e sono quasi fonte vivo, della 65 cui acqua si refrigera la natural sete che di sopra è nominata. E io adunque, che non seggo alla beata mensa, ma, fuggito dalla pastura del volgo, a' piedi di coloro che seggono ricolgo di quello che da loro 70 cade, e conosco la misera vita di quelli che dietro m' ho lasciati, per la dolcezza ch' io sento in quello ch' io a poco a poco

ricolgo, misericordevolmente mosso, non 75 me dimenticando, per li miseri alcuna cosa ho riservata, la quale agli occhi loro già è più tempo ho dimostrata; e in ciò gli ho fatti maggiormente vogliosi. Per che ora volendo loro apparecchiare, 80 intendo fare un generale Convivio di ciò ch' io ho loro mostrato, e di quello pane ch'è mestiere a così fatta vivanda, senza lo quale da loro non potrebbe esser mangiata a questo Convivio; di quello pane degno 85 a cotal vivanda, qual io intendo indarno essere ministrata.

E però ad esso non voglio s' assetti alcuno male de' suoi organi disposto; perocchè nè denti, nè lingua ha, nè 90 palato nè alcuno assettatore di vizi; perocchè lo stomaco suo è pieno di umori venenosi e contrari, sicchè mia vivanda non terrebbe. Ma vegnaci qualunque è per cura famigliare o civile nella umana 95 fame rimaso, e ad una mensa cogli altri simili impediti s' assetti. E alli loro piedi si pongano tutti quelli che per pigrizia si sono stati, chè non sono degni di più alto sedere: e quelli e questi 100 prendano la mia vivanda col pane, chè la farò loro e gustare e patire. La vivanda di questo Convito sarà di quattordici maniere ordinata, cioè quattordici Canzoni si di amore, come di virtù mate105 riate, le quali senza lo presente pane aveano d' alcuna scurità ombra, sicchè a molti lor bellezza, più che lor bontà, era in grado. Ma questo pane, cioè la presente sposizione, sarà la luce, la quale 110 ogni colore di loro sentenza farà parvente. E se nella presente opera, la quale è Convivio nominata e vo' che sia, più virilmente si trattasse che nella Vita Nuova, non intendo però a quella in parte alcuna 115 derogare, ma maggiormente giovare per questa quella; veggendo siccome ragionevolmente quella fervida e passionata, questa temperata e virile essere conviene. Chè altro si conviene e dire e operare a 120 una etade, che ad altra; perchè certi

costumi sono idonei e laudabili a una etade, che sono sconci e biasimevoli ad altra, siccome di sotto nel quarto Trattato di questo libro sarà per propria ragione

mostrato. E io in quella dinanzi all' 125 entrata di mia gioventute parlai, e in questa dipoi quella già trapassata. E conciossiacosachè la vera intenzione mia fosse altra che quella che di fuori mostrano le Canzoni predette, per allegorica 130 sposizione quelle intendo mostrare, appresso la litterale storia ragionata. Sicchè l' una ragione e l' altra darà sapore a coloro che a questa cena sono convitati ; li quali priego tutti, che se il Convivio non 135 fosse tanto splendido quanto conviene alla sua grida, che non al mio volere, ma alla mia facultate imputino ogni difetto; perocchè la mia voglia di compiuta e cara liberalità è qui seguace.

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II. Nel cominciamento di ciascun bene ordinato convito sogliono li sergenti prendere lo pane apposito, e quello purgare da ogni macola. Per che io, che nella presente scrittura tengo luogo di 5 quelli, da due macole mondare intendo primieramente questa sposizione, che per pane si conta nel mio corredo. L'una è, che parlare alcuno di sè medesimo pare non licito; l'altra si è, che parlare, 10 sponendo, troppo a fondo, pare non ragionevole. E lo illicito e lo irragionevole il coltello del mio giudicio purga in questa forma.

Non si concede per li rettorici alcuno 15 di sè medesimo senza necessaria cagione parlare. E da ciò è l'uomo rimosso, perchè parlare non si può d' alcuno, che il parlatore non lodi o non biasimi quelli, di cui egli parla. Le quali due ragioni 20 rusticamente stanno a fare di sè nella bocca di ciascuno. E per levare un dubbio che qui surge, dico che peggio sta biasimare, che lodare; avvegnachè l' uno e l'altro non sia da fare. La ragione si è, che 25 qualunque cosa è per sè da biasimare, è più laida che quella ch'è per accidente.

Dispregiare sè medesimo è per sè biasimevole, perocchè allo amico dee l' uomo lo suo difetto contare segretamente, e nullo 30 è più amico che l' uomo a sè; onde nella camera de' suoi pensieri sè medesimo riprendere dee e piangere li suoi difetti, e non palese. Ancora del non potere e del non sapere bene sè menare, le più 35

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