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LA DIVINA COMMEDIA

INFERNO

PURGATORIO

PARADISO

INFERNO

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Tant' era pien di sonno in su quel punto, Che la verace via abbandonai. Ma poi ch' io fui al piè d' un colle giunto, 13 Là dove terminava quella valle Che m' avea di paura il cor compunto, Guardai in alto, e vidi le sue spalle Vestite già de' raggi del pianeta Che mena dritto altrui per ogni calle. Allor fu la paura un poco queta

Che nel lago del cor m' era durata La notte ch' i' passai con tanta pieta. E come quei che con lena affannata Uscito fuor del pelago alla riva, Si volge all' acqua perigliosa e guata; Così l'animo mio che ancor fuggiva,

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Si volse indietro a rimirar lo passo, Che non lasciò giammai persona viva. Poi ch' ei posato un poco il corpo lasso, 28 Ripresi via per la piaggia diserta, Si che il piè fermo sempre era il più basso; Ed ecco, quasi al cominciar dell' erta, Una lonza leggiera e presta molto, Che di pel maculato era coperta. E non mi si partia dinanzi al volto; Anzi impediva tanto il mio cammino, Ch' io fui per ritornar più volte volto. Tempo era dal principio del mattino ; E il sol montava su con quelle stelle Ch' eran con lui, quando l' amor divino

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Mosse da prima quelle cose belle;
Si che a bene sperar m' era cagione
Di quella fera alla gaietta pelle
L'ora del tempo, e la dolce stagione:

Ma non sì, che paura non mi desse La vista che mi apparve d' un leone. Questi parea che contra me venesse Con la test' alta e con rabbiosa fame, Si che parea che l' aer ne temesse : Ed una lupa, che di tutte brame Sembiava carca nella sua magrezza, E molte genti fe' già viver grame. Questa mi porse tanto di gravezza

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Che venendomi incontro, a poco a poco Mi ripingeva là, dove il Sol tace. Mentre ch' io rovinava in basso loco, 61 Dinanzi agli occhi mi si fu offerto Chi per lungo silenzio parea fioco. Quand' io vidi costui nel gran diserto, 64 'Miserere di me,' gridai a lui,

'Qual che tu sii, od ombra od uomo certo.'

Risposemi: 'Non uomo, uomo già fui, 67
E li parenti miei furon Lombardi,
Mantovani per patria ambedui.
Nacqui sub Iulio, ancorché fosse tardi, 70
E vissi a Roma sotto il buono Augusto,
Al tempo degli Dei falsi e bugiardi,
Poeta fui, e cantai di quel giusto
Figliuol d' Anchise, che venne da Troia,
Poichè il superbo Ilion fu combusto.
Ma tu perchè ritorni a tanta noia ?
Perchè non sali il dilettoso monte,
Ch' è principio e cagion di tutta gioia ?'

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Che mai non empie la bramosa voglia, E dopo il pasto ha più fame che pria. Molti son gli animali a cui s' ammoglia, 100 E più saranno ancora, infin che il veltro

Verrà, che la farà morir con doglia. Questi non ciberà terra nè peltro, Ma sapienza e amore e virtute, E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro. Di quell' umile Italia fia salute,

Per cui mori la vergine Cammilla, Eurialo, e Turno, e Niso di ferute : Questi la caccerà per ogni villa,

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Fin che l' avrà rimessa nello inferno, Là onde invidia prima dipartilla. Ond' io per lo tuo me' penso e discerno, 112 Che tu mi segui, ed io sarò tua guida, E trarrotti di qui per loco eterno,

Ove udirai le disperate strida

Di quegli antichi spiriti dolenti,
Che la seconda morte ciascun grida :
E poi vedrai color che son contenti
Nel fuoco, perchè speran di venire,
Quando che sia, alle beate genti:

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CANTO SECONDO.

Lo giorno se n' andava, e l' aer bruno
Toglieva gli animai che sono in terra
Dalle fatiche loro; ed io sol uno
M'apparecchiava a sostener la guerra
Si del cammino e sì della pietate,
Che ritrarrà la mente, che non erra.
O Muse, o alto ingegno, or m' aiutate:
O mente, che scrivesti ciò ch' io vidi,
Qui si parrà la tua nobilitate.

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Per recarne conforto a quella fede Ch'è principio alla via di salvazione. Ma io perchè venirvi? o chi 'l concede? 31 Io non Enea, io non Paolo sono: Me degno a ciò nè io nè altri 'l crede. Perchè se del venire io m' abbandono, 34 Temo che la venuta non sia folle : Se' savio, intendi me' ch'io non ragiono.'

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E quale è quei che disvuol ciò che volle, 37
E per nuovi pensier cangia proposta,
Si che dal cominciar tutto si tolle;
Tal mi fec' io in quella oscura costa :
Perchè pensando consumai la impresa,
Che fu nel cominciar cotanto tosta.
'Se io ho ben la tua parola intesa,'
Rispose del magnanimo quell' ombra,
'L' anima tua è da viltate offesa :
La qual molte fiate l' uomo ingombra, 46
Si che d' onrata impresa lo rivolve,
Come falso veder bestia, quand' ombra.
Da questa tema acciocchè tu ti solve, 49
Dirotti perch' io venni, e quel che
intesi

Nel primo punto che di te mi dolve.
Io era tra color che son sospesi,

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Ch' io mi sia tardi al soccorso levata, Per quel ch' io ho di lui nel Cielo udito. Or muovi, e con la tua parola ornata, 67 E con ciò ch' è mestieri al suo campare, L' aiuta sì, ch' io ne sia consolata. Io son Beatrice, che ti faccio andare: Vegno di loco, ove tornar disio : Amor mi mosse, che mi fa parlare. Quando sarò dinanzi al Signor mio, Di te mi loderò sovente a lui." Tacette allora, e poi comincia' io : "O donna di virtù, sola per cui

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L'umana spezie eccede ogni contento Da quel ciel che ha minor li cerchi sui : Tanto m'aggrada il tuo comandamento, 79 Che l' ubbidir, se già fosse, m' è tardi; Più non t' è uopo aprirmi il tuo talento. Ma dimmi la cagion che non ti guardi 82 Dello scender quaggiuso in questo

centro

Dall' ampio loco ove tornar tu ardi."

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"Da che tu vuoi saper cotanto addentro,
Dirotti brevemente," mi rispose, 86
"Perch' io non temo di venir qua entro.
Temer si dee di sole quelle cose
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Ch'hanno potenza di fare altrui male:
Dell' altre no, che non son paurose.
Io son fatta da Dio, sua mercè, tale,
Che la vostra miseria non mi tange,
Nè fiamma d'esto incendio non m' as-
sale.
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Donna è gentil nel ciel, che si compiange
Di questo impedimento ov' io ti mando,
Si che duro giudizio lassù frange.
Questa chiese Lucia in suo dimando,
E disse: Or ha bisogno il tuo fedele
Di te, ed io a te lo raccomando.'
Lucia, nimica di ciascun crudele,
Si mosse, e venne al loco dov' io era,
Che mi sedea con l'antica Rachele,
Disse Beatrice, loda di Dio vera,

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Non vedi tu la morte che il combatte Su la fiumana, ove il mar non ha vanto?' Al mondo non fur mai persone ratte 109 A far lor pro, nè a fuggir lor danno, Com' io, dopo cotai parole fatte, Venni quaggiù dal mio beato scanno, 112 Fidandomi del tuo parlare onesto,

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Che onora te e quei che udito l' hanno." Poscia che m' ebbe ragionato questo, 115 Gli occhi lucenti lagrimando volse; Perchè mi fece del venir più presto : E venni a te così, com' ella volse; Dinanzi a quella fiera ti levai Che del bel monte il corto andar ti tolse. Dunque che è? perchè, perchè ristai? 121 Perchè tanta viltà nel core allette? Perchè ardire e franchezza non hai ? Poscia che tai tre donne benedette Curan di te nella corte del cielo, E il mio parlar tanto ben t' impromette?'

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