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Non più Benaco, ma Mencio si chiama Fino a Governo, dove cade in Po. Non molto ha corso, che trova una lama, Nella qual si distende e la impaluda, 80 E suol di state talora esser grama. Quindi passando la vergine cruda Vide terra nel mezzo del pantano, Senza cultura, e d' abitanti nuda. Li, per fuggire ogni consorzio umano, 85 Ristette co' suoi servi a far sue arti, E visse, e vi lasciò suo corpo vano. Gli uomini poi che intorno erano sparti S'accolsero a quel loco, ch' era forte 89 Per lo pantan che avea da tutte parti. Fer la città sopra quell' ossa morte;

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Allor mi disse: Quel che dalla gota 106
Porge la barba in sulle spalle brune,
Fu, quando Grecia fu di maschi vota
Si che appena rimaser per le cune,
Augure, e diede il punto con Calcanta
In Aulide a tagliar la prima fune.
Euripilo ebbe nome, e così il canta
L'alta mia Tragedia in alcun loco:
Ben lo sai tu, che la sai tutta quanta.
Quell' altro che ne' fianchi è così poco,
Michele Scotto fu, che veramente
Delle magiche frode seppe il gioco.
Vedi Guido Bonatti, vedi Asdente,
Che avere inteso al cuoio ed allo spago
Ora vorrebbe, ma tardi si pente.
Vedi le triste che lasciaron l' ago,

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Cosi di ponte in ponte, altro parlando
Che la mia commedia cantar non cura,
Venimmo, e tenevamo il colmo, quando
Ristemmo per veder l' altra fessura
Di Malebolge, e gli altri pianti vani;
E vidila mirabilmente oscura.
Quale nell' Arzanà de' Viniziani
Bolle l'inverno la tenace pece
A rimpalmar li legni lor non sani,
Chè navicar non ponno, e in quella vece 10
Chi fa suo legno nuovo, e chi ristoppa
Le coste a quel che più viaggi fece;
Chi ribatte da proda, e chi da poppa; 13
Altri fa remi, ed altri volge sarte;
Chi terzeruolo ed artimon rintoppa:
Tal, non per foco ma per divina arte
Bollia laggiuso una pegola spessa
Che inviscava la ripa da ogni parte.

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Mi trasse a sè del loco dov' io stava. Allor mi volsi come l' uom cui tarda Di veder quel che gli convien fuggire, E cui paura subita sgagliarda, Che per veder non indugia il partire: 28 E vidi dietro a noi un diavol nero Correndo su per lo scoglio venire. Ahi quanto egli era nell' aspetto fiero! 31 E quanto mi parea nell' atto acerbo, Con l' ali aperte, e sopra il piè leggiero! L'omero suo, ch' era acuto e superbo, 34 Carcava un peccator con ambo l' anche, E quei tenea de' piè ghermito il nerbo. Del nostro ponte disse, 'O Malebranche,

Ecco un degli anzian di santa Zita: 38 Mettetel sotto, ch' io torno per anche A quella terra ch' i' n' ho ben fornita : 40 Ognun v'è barattier, fuor che Bonturo : Del no, per li denar, vi si fa ita.' Laggiù il buttò, e per lo scoglio duro

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Si volse, e mai non fu mastino sciolto Con tanta fretta a seguitar lo furo. Quei s' attuffò, e tornò su convolto; Ma i demon, che del ponte avean coperchio,

Gridar: 'Qui non ha loco il santo volto; Qui si nuota altrimenti che nel Serchio; 49 Però se tu non vuoi de' nostri graffi, Non far sopra la pegola soperchio.❜ Poi l' addentar con più di cento raffi; 52 Disser Coperto convien che qui balli, Si che, se puoi, nascosamente accaffi.' Non altrimenti i cuochi ai lor vassalli 55 Fanno attuffare in mezzo la caldaia La carne cogli uncin, perchè non galli. Lo buon Maestro: 'Acciocchè non si paia Che tu ci sii,' mi disse, 'giù t' acquatta Dopo uno scheggio che alcun schermo t' haia;

E per nulla offension che mi sia fatta, 61
Non temer tu, ch' io ho le cose conte,
Perchè altra volta fui a tal baratta.'
Poscia passò di là dal co del ponte,

E com' ei giunse in su la ripa sesta,
Mestier gli fu d' aver sicura fronte.

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Mostrava alcun dei peccatori il dosso, E nascondeva in men che non balena. E come all' orlo dell' acqua d' un fosso 25 Stanno i ranocchi pur col muso fuori, Si che celano i piedi e l' altro grosso; Si stavan d' ogni parte i peccatori : Ma come s' appressava Barbariccia, Così si ritraean sotto i bollori. Io vidi, ed anco il cor me n' accapriccia, 31 Uno aspettar così, com' egli incontra Che una rana rimane, ed altra spiccia. E Graffiacan, che gli era più d'incontra, Gli arroncigliò le impegolate chiome, 35 E trassel su, che mi parve una lontra. Io sapea già di tutti quanti il nome, Si li notai quando furono eletti, E poi che si chiamaro, attesi come. "O Rubicante, fa che tu gli metti Gli unghioni addosso sì che tu lo scuoi,' Gridavan tutti insieme i maledetti. Ed io: Maestro mio, fa, se tu puoi, Che tu sappi chi è lo sciagurato Venuto a man degli avversari suoi,' Lo Duca mio gli s' accostò allato,

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Poco è da un che fu di là vicino ;
Cosi foss' io ancor con lui coperto,
Ch' io non temerei unghia nè uncino.'
E Libicocco: 'Troppo avem sofferto,' 70
Disse, e presegli il braccio col ronciglio,
Si che, stracciando, ne portò un lacerto.
Draghignazzo anco i volle dar di piglio 73
Giuso alle gambe; onde il decurio loro
Si volse intorno intorno con mal piglio.
Quand' elli un poco rappaciati foro,

A lui che ancor mirava sua ferita, Domandò il Duca mio senza dimoro; 'Chi fu colui, da cui mala partita

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Si ch' ei non teman delle lor vendette; Ed io, sedendo in questo loco stesso, Per un ch' io son, ne farò venir sette, 103 Quand' io sufolerò, com'è nostr' uso Di fare allor che fuori alcun si mette.' Cagnazzo a cotal motto levò il muso, 106 Crollando il capo, e disse: 'Odi malizia Ch' egli ha pensata per gittarsi giuso.' Ond' ei ch' avea lacciuoli a gran divizia, Rispose: Malizioso son io troppo, IIO Quand' io procuro a' miei maggior tristizia.'

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Ma batterò sopra la pece l' ali :
Lascisi il colle, e sia la ripa scudo
A veder se tu sol più di noi vali.'
O tu che leggi, udirai nuovo ludo!
Ciascun dall' altra costa gli occhi volse;
Quei prima, ch' a ciò fare era più crudo.
Lo Navarrese ben suo tempo colse,
Fermò le piante a terra, ed in un punto
Saltò, e dal proposto lor si sciolse.
Di che ciascun di colpa fu compunto, 124
Ma quei più, che cagion fu del difetto;
Però si mosse, e gridò: 'Tu se' giunto.'
Ma poco i valse : chè l' ali al sospetto 127
Non potero avanzar : quegli andò sotto,
E quei drizzò, volando, suso il petto :
Non altrimenti l' anitra di botto,
Quando il falcon s' appressa,giù s' attuffa,
Ed ei ritorna su crucciato e rotto,
Irato Calcabrina della buffa,

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Lo mio pensier per la presente rissa, Dov' ei parlò della rana e del topo: Chè più non si pareggia mo ed issa, Che l'un con l' altro fa, se ben s'accoppia Principio e fine con la mente fissa:

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Io gl' immagino sì, che già gli sento,'
E quei: 'S' io fossi d' impiombato vetro,
L' imagine di fuor tua non trarrei 26
Più tosto a me, che quella d' entro
impetro.

Pur mo venian li tuoi pensier tra i miei 28
Con simile atto e con simile faccia,
Si che d' intrambi un sol consiglio fei.
S' egli è che si la destra costa giaccia, 31
Che noi possiam nell' altra bolgia
scendere,

Noi fuggirem l' immaginata caccia.' 33 Già non compiè di tal consiglio rendere,

Ch' io gli vidi venir con l' ali tese, Non molto lungi, per volerne prendere. Lo Duca mio di subito mi prese,

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Diretro a noi gridò: 'Tenete i piedi, Voi che correte sì per l' aura fosca: 78 Forse ch' avrai da me quel che tu chiedi.' Onde il Duca si volse e disse: 'Aspetta, E poi secondo il suo passo procedi.' Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta 82 Dell' animo, col viso, d' esser meco; Ma tardavagli il carco e la via stretta. Quando fur giunti, assai con l'occhio bieco Mi rimiraron senza far parola: Poi si volsero in sè, e dicean seco : 'Costui par vivo all' atto della gola : E s' ei son morti, per qual privilegio Vanno scoperti della grave stola?' Poi disser me: 'O Tosco, ch' al collegio 91 Degl' ipocriti tristi se' venuto, Dir chi tu sei non avere in dispregio.' Ed io a loro: 'Io fui nato e cresciuto Sopra il bel fiume d' Arno alla gran villa, E son col corpo ch' i' ho sempre avuto. Ma voi chi siete, a cui tanto distilla, Quant' io veggio, dolor giù per le E che pena è in voi che si sfavilla?' E l' un rispose a me: 'Le cappe rance 100 Son di piombo si grosse che li pesi Fan così cigolar le lor bilance,

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guance,

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