Celestial, giacer dall' altra parte, Grave alla terra per lo mortal gelo. Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte, 31 Armati ancora, intorno al padre loro, Mirar le membra de' Giganti sparte. Vedea Nembrot appiè del gran lavoro, 34 Quasi smarrito, e riguardar le genti Che in Sennaar con lui superbi foro. O Niobè, con che occhi dolenti Vedeva io te segnata in sulla strada Tra sette e sette tuoi figliuoli spenti! O Saul, come in sulla propria spada Quivi parevi morto in Gelboè, 37 40 : 79 82 85 Per venir verso noi vedi che torna Dal servigio del dì l' ancella sesta. Di riverenza gli atti e il viso adorna, Si che i diletti lo inviarci in suso: Pensa che questo di mai non raggiorna.' Io era ben del suo ammonir uso, Pur di non perder tempo, sì che in quella Materia non potea parlarmi chiuso. A noi venia la creatura bella Bianco vestita, e nella faccia quale Par tremolando mattutina stella. Le braccia aperse, ed indi aperse l'ale: 91 Disse: Venite; qui son presso i gradi, Ed agevolemente omai si sale. 88 97 A questo annunzio vengon molto radi. 94 52 Si 55 Sopra Sennacherib dentro dal tempio, E come, morto lui, quivi il lasciaro. Mostrava la ruina e il crudo scempio Che fe' Tamiri, quando disse a Ciro : 'Sangue sitisti, ed io di sangue t'empio.' Mostrava come in rotta si fuggiro 58 103 112 Beati pauperes spiritu, voci Cantaron si che nol diria sermone. Ahi! quanto son diverse quelle foci Dalle infernali; chè quivi per canti S'entra, e laggiù per lamenti feroci. Già montavam su per li scaglion santi, 115 Ed esser mi parea troppo più lieve, Che per lo pian non mi parea davanti : Ond' io: 'Maestro, di', qual cosa greve 118 Levata s'è da me, che nulla quasi Per me fatica andando si riceve ?' Rispose: 'Quando i P che son rimasi Ancor nel volto tuo presso ch' estinti, Saranno, come l' un, del tutto rasi, 121 13 Dintorno il poggio, come la primaia, Se non che l' arco suo più tosto piega. Ombra non gli è, nè segno che si paia; 7 Par si la ripa, e par sì la via schietta Col livido color della petraia. 'Se qui per domandar gente s' aspetta,' 10 Ragionava il Poeta, 'io temo forse Che troppo avrà d'indugio nostra eletta.' Poi fisamente al sole gli occhi porse; Fece del destro lato al mover centro, E la sinistra parte di sè torse. 'O dolce lume, a cui fidanza i' entro 16 Per lo nuovo cammin, tu ne conduci,' Dicea, 'come condur si vuol quinc'entro: Tu scaldi il mondo, tu sopr' esso luci; 19 S'altra ragione in contrario non pronta, Esser den sempre li tuoi raggi duci.' Quanto di qua per un migliaio si conta, 22 Tanto di là eravam noi già iti, Con poco tempo, per la voglia pronta. E verso noi volar furon sentiti, Uomo si duro, che non fosse punto Per compassion di quel ch' io vidi poi: Chè quand' io fui si presso di lor giunto, 55 Che gli atti loro a me venivan certi, Per gli occhi fui di grave dolor munto. Di vil cilicio mi parean coperti, 58 25 28 31 E l' un sofferia l' altro con la spalla, E tutti dalla ripa eran sofferti. Così li ciechi, a cui la roba falla, Stanno ai perdoni a chieder lor bisogna, E l'uno il capo sopra l' altro avvalla, Perchè in altrui pietà tosto si pogna, Non pur per lo sonar delle parole, Ma per la vista che non meno agogna. E come agli orbi non approda il sole, Così all' ombre, là 'v' io parlav' ora, Luce del ciel di sè largir non vuole ; Chè a tutte un fil di ferro il ciglio fora, 70 E cuce si, come a sparvier selvaggio Si fa, però che queto non dimora. A me pareva andando fare oltraggio, Veggendo altrui, non essendo veduto: Perch'io mi volsi al mio consiglio saggio. Ben sapev' ei che volea dir lo muto; E però non attese mia domanda; Ma disse: Parla, e sii breve ed arguto.' Virgilio mi venia da quella banda 61 64 67 73 76 79 Non però visti, spiriti, parlando Alla mensa d' amor cortesi inviti. La prima voce che passò volando, Vinum non habent, altamente disse, E retro a noi l' andò reiterando. E prima che del tutto non s'udisse Per allungarsi, un'altra: 'Io sono Oreste,' Passò gridando, ed anco non s' affisse. Della cornice, onde cader si puote, Perchè da nulla sponda s' inghirlanda: Più là alquanto che là dov' io stava; Ond' io mi feci ancor più là sentire. Tra l'altre vidi un'ombra che aspettava 100 In vista; e se volesse alcun dir: 'Come?' Lo mento, a guisa d' orbo, in su levava. 'Spirto,' diss' io, ' che per salir ti dome, 103 Se tu se' quelli che mi rispondesti, Fammiti conto o per loco o per nome.' 'I' fui Sanese,' rispose, 'e con questi 106 Altri rimondo qui la vita ria, Lagrimando a colui, che sè ne presti. Savia non fui, avvegna che Sapia 109 118 In campo giunti coi loro avversari, Ed io pregai Iddio di quel ch' ei volle. Rotti fur quivi, e volti negli amari Passi di fuga, e veggendo la caccia, Letizia presi a tutte altre dispari: Tanto ch' io volsi in su l' ardita faccia, 121 Gridando a Dio: "Omai più non ti temo;" Come fa il merlo per poca bonaccia. Pace volli con Dio in sull' estremo Della mia vita; ed ancor non sarebbe Lo mio dover per penitenza scemo, Se ciò non fosse che a memoria m' ebbe 127 Pier Pettinagno in sue sante orazioni, A cui di me per caritate increbbe. Ma tu chi se', che nostre condizioni 124 130 Vai domandando, e porti gli occhi sciolti, Si come io credo, e spirando ragioni?' 142 145 E vivo sono; e però mi richiedi, Che spera in Talamone, e perderagli Più di speranza, che a trovar la Diana; Ma più vi metteranno gli ammiragli.' 154 CANTO DECIMOQUARTO. 'Chi è costui che il nostro monte cerchia, Prima che morte gli abbia dato il volo, Ed apre gli occhi a sua voglia e coperchia ?' 7 10 'Non so chi sia; ma so ch' ei non è solo : 4 16 19 70 73 Così vid' io l' altr' anima, che volta 79 E non pur lo suo sangue è fatto brullo 91 Tra il Po e il monte, e la marina e il Reno, Del ben richiesto al vero ed al trastullo; Chè dentro a questi termini è ripieno 94 Di venenosi sterpi, sì che tardi Per cultivare omai verrebber meno. Ov'è il buon Lizio, ed Arrigo Mainardi, 97 Pier Traversaro, e Guido di Carpigna? O Romagnoli tornati in bastardi ! 99 Quando in Bologna un Fabbro si ralligna? Quando in Faenza un Bernardin di Fosco, Verga gentil di picciola gramigna ? Non ti maravigliar, s' io piango, Tosco, 103 Quando rimembro con Guido da Prata Ugolin d' Azzo che vivette nosco, Federico Tignoso e sua brigata, 106 Poscia gli ancide come antica belva: Molti di vita, e sè di pregio priva. Sanguinoso esce della trista selva; 61 64 Lasciala tal, che di qui a mill' anni Nello stato primaio non si rinselva.' Come all' annunzio de' dogliosi danni 67 Si turba il viso di colui che ascolta, Da qualche parte il periglio lo assanni; Folgore parve, quando l' aer fende, Voce che giunse d' incontra, dicendo: "Anciderammi qualunque m' apprende ;' E fuggì, come tuon che si dilegua, 134 Se subito la nuvola scoscende. Come da lei l'udir nostro ebbe tregua, 136 Ed ecco l' altra con si gran fracasso, Che somigliò tuonar che tosto segua: 'Io sono Aglauro, che divenni sasso.' Ed allor per ristringermi al Poeta, Indietro feci e non innanzi il Già era l'aura d' ogni parte queta, Ed ei mi disse: 'Quel fu il duro camo, Che dovria l' uom tener dentro a sua meta. passo. 139 142 Tosto sarà che a veder queste cose Noi montavam, già partiti da linci, 37 40 43 Cantato retro, e: 'Godi tu che vinci.' Lo mio Maestro ed io soli ambedue Suso andavamo, ed io pensai, andando, Prode acquistar nelle parole sue ; E dirizza' mi a lui si domandando : 'Che volle dir lo spirto di Romagna, E"divieto" e "consorto"menzionando?' Perch'egli a me: 'Disua maggior magagna Conosce il danno; e però non s' ammiri 47 Se ne riprende perchè men sen piagna. Perchè s' appuntan li vostri disiri Dove per compagnia parte si scema, Invidia move il mantaco ai sospiri. Ma se l'amor della spera suprema 49 52 |