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'Ratto, ratto, che il tempo non si perda 103 Per poco amor,' gridavan gli altri appresso;

118

'Chè studio di ben far grazia rinverda.' 'O gente, in cui fervore acuto adesso 106 Ricompie forse negligenza e indugio, Da voi per tepidezza in ben far messo, Questi che vive (e certo io non vi bugio) 109 Vuole andar su, purchè il sol ne riluca; Però ne dite ov'è presso il pertugio.' Parole furon queste del mio Duca : 112 Ed un di quegli spirti disse: 'Vieni Diretro a noi, e troverai la buca. Noi siam di voglia a moverci sì pieni, 115 Che ristar non potem; però perdona, Se villania nostra giustizia tieni. Io fui Abate in san Zeno a Verona, Sotto lo imperio del buon Barbarossa, Di cui dolente ancor Milan ragiona. E tale ha già l' un piè dentro la fossa, 121 Che tosto piangerà quel monastero, E tristo fia d' averne avuto possa; Perchè suo figlio, mal del corpo intero, 124 E della mente peggio, e che mal nacque, Ha posto in loco di suo pastor vero.' Io non so se più disse, o s' ei si tacque, 127 Tant' era già di là da noi trascorso; Ma questo intesi, e ritener mi piacque. E quei che m' era ad ogni uopo soccorso Disse: Volgiti in qua, vedine due 131 Venire, dando all' accidia di morso.' Diretro a tutti dicean: 'Prima fue

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Morta la gente a cui il mar s' aperse, Che vedesse Jordan le erede sue ;' E,Quella che l' affanno non sofferse 136 Fino alla fine col figliuol d' Anchise, Sè stessa a vita senza gloria offerse.' Poi quando fur da noi tanto divise Quell' ombre, che veder più non potersi, Nuovo pensiero dentro a me si mise, Del qual più altri nacquero e diversi ; 142 E tanto d' uno in altro vaneggiai, Che gli occhi per vaghezza ricopersi, E il pensamento in sogno trasmutai.

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CANTO DECIMONONO.

Nell' ora che non può il calor diurno Intepidar più il freddo della luna, Vinto da terra o talor da Saturno;

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ΙΟ

Quando i geomanti lor maggior fortuna 4
Veggiono in oriente, innanzi all' alba,
Surger per via che poco le sta bruna;
Mi venne in sogno una femmina balba, 7
Negli occhi guercia e sopra i piè distorta,
Con le man monche, e di colore scialba.
Io la mirava; e, come il sol conforta
Le fredde membra che la notte aggrava,
Così lo sguardo mio le facea scorta
La lingua, e poscia tutta la drizzava
In poco d' ora, e lo smarrito volto,
Come amor vuol, così lo colorava.
Poi ch' ell' avea il parlar così disciolto, 16
Cominciava a cantar si che con pena
Da lei avrei mio intento rivolto.
'Io son,' cantava, 'io son dolce Sirena, 19
Che i marinari in mezzo mar dismago;
Tanto son di piacere a sentir piena.
Io volsi Ulisse del suo cammin vago

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Quel mi svegliò col puzzo che n' uscia. Io volsi gli occhi al buon Maestro: 'Almen tre 34 Voci t'ho messe,' dicea: 'surgi e vieni, Troviam la porta per la qual tu entre.' Su mi levai, e tutti eran già pieni Dell' alto di i giron del sacro monte, Ed andavam col sol nuovo alle reni. Seguendo lui, portava la mia fronte Come colui che l' ha di pensier carca, Che fa di sè un mezzo arco di ponte; Quand' io udi': 'Venite, qui si varca,' 43 Parlare in modo soave e benigno, Qual non si sente in questa mortal marca. Con l'ali aperte che parean di cigno, 46 Volseci in su colui che sì parlonne, Tra' due pareti del duro macigno, Mosse le penne poi e ventilonne, Qui lugent affermando esser beati, Ch' avran di consolar l' anime donne.

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55

Ed io: Con tanta suspizion fa irmi
Novella vision ch' a sè mi piega,
Si ch'io non posso dal pensar partirmi.'
'Vedesti,' disse, quella antica strega, 58
Che sola sopra noi omai si piagne ?
Vedesti come l' uom da lei si slega ?
Bastiti, e batti a terra le calcagne,

Gli occhi rivolgi al logoro che gira
Lo Rege eterno con le rote magne.'
Quale il falcon che prima ai piè si mira,
Indi si volge al grido, e si protende
Per lo disio del pasto che là il tira;
Tal mi fec' io, e tal, quanto si fende

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Poco dinanzi a noi ne fu; perch' io Nel parlare avvisai l' altro nascosto ; E volsi gli occhi allora al Signor mio: 85 Ond' egli m' assenti con lieto cenno Ciò che chiedea la vista del disio. Poi ch' io potei di me fare a mio senno, 88 Trassimi sopra quella creatura, Le cui parole pria notar mi fenno, Dicendo: 'Spirto, in cui pianger matura 91 Quel senza il quale a Dio tornar non puossi,

Sosta un poco per me tua maggior cura. Chi fosti, e perchè volti avete i dossi

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Al su, mi di', e se vuoi ch' io t' impetri Cosa di là ond' io vivendo mossi,' Ed egli a me: 'Perchè i nostri diretri 97 Rivolga il cielo a sè, saprai : ma prima, Scias quod ego fui successor Petri.

Intra Siestri e Chiaveri si adima
Una fiumana bella, e del suo nome
Lo titol del mio sangue fa sua cima.
Un mese e poco più prova' io come

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Pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,

Che piuma sembran tutte l' altre some. La mia conversione, omè! fu tarda; 106 Ma come fatto fui Roman Pastore, Cosi scopersi la vita bugiarda. Vidi che li non si quetava il core,

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Da Dio anima fui, del tutto avara : Or, come vedi, qui ne son punita. Quel ch' avarizia fa, qui si dichiara In purgazion dell' anime converse, E nulla pena il monte ha più amara. Si come l'occhio nostro non s' aderse 118 In alto, fisso alle cose terrene, Così giustizia qui a terra il merse. Come avarizia spense a ciascun bene Lo nostro amore, onde operar perdėsi, Cosi giustizia qui stretti ne tiene Ne' piedi e nelle man legati e presi; 124 E quanto fia piacer del giusto Sire, Tanto staremo immobili e distesi.'

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Io m' era inginocchiato, e volea dire; 127 Ma com' io cominciai, ed ei s' accorse, Solo ascoltando, del mio riverire : 'Qual cagion,' disse, 'in giù così ti torse?'

Ed io a lui: 'Per vostra dignitate Mia coscienza dritto mi rimorse.' 'Drizza le gambe, levati su, frate,'

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Rispose: non errar, conservo sono Teco e con gli altri ad una potestate. Se mai quel santo evangelico suono Che dice Neque nubent intendesti, Ben puoi veder perch' io così ragiono. Vattene omai; non vo' che più t'arresti, 139 Chè la tua stanza mio pianger disagia, Col qual maturo ciò che tu dicesti. Nepote ho io di là ch' ha nome Alagia, 142 Buona da sè, pur che la nostra casa Non faccia lei per esemplo malvagia; E questa sola di là m' è rimasa,'

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Che più che tutte l' altre bestie hai preda,
Per la tua fame senza fine cupa!

O ciel, nel cui girar par che si creda 13
Le condizion di quaggiù trasmutarsi,
Quando verrà per cui questa disceda?
Noi andavam con passi lenti e scarsi, 16
Ed io attento all' ombre ch' io sentia
Pietosamente piangere e lagnarsi :
E per ventura udi': 'Dolce Maria :'
Dinanzi a noi chiamar così nel pianto,
Come fa donna che in partorir sia;
E seguitar: Povera fosti tanto,

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Quanto veder si può per quell' ospizio, Ove sponesti il tuo portato santo.' Seguentemente intesi: 'O buon Fabbrizio,

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La testa di mio figlio fu, dal quale Cominciar di costor le sacrate ossa, Mentre che la gran dote Provenzale Al sangue mio non tolse la vergogna, Poco valea, ma pur non facea male. Li cominciò con forza e con menzogna 64 La sua rapina; e poscia, per ammenda, Ponti e Normandia prese e Guascogna. Carlo venne in Italia, e, per ammenda, 67 Vittima fe' di Corradino; e poi

Ripinse al ciel Tommaso, per ammenda. Tempo vegg' io, non molto dopo ancoi, 70 Che tragge un altro Carlo fuor di Francia,

Per far conoscer meglio e sè e i suoi. Senz' arme n' esce solo, e con la lancia 73 Con la qual giostrò Giuda; e quella ponta

Sì, ch'a Fiorenza fa scoppiar la pancia. Quindi non terra, ma peccato ed onta 76 Guadagnerà, per sè tanto più grave, Quanto più lieve simil danno conta. L'altro, che già uscì preso di nave,

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Veggio vender sua figlia, e patteggiarne, Come fanno i corsar dell' altre schiave. O avarizia, che puoi tu più farne, 82 Poscia ch' hai lo mio sangue a te sì

tratto,

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Che non si cura della propria carne ? Perchè men paia il mal futuro e il fatto, 85 Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso, E nel Vicario suo Cristo esser catto. Veggiolo un' altra volta esser deriso; Veggio rinnovellar l' aceto e il fele, E tra vivi ladroni esser anciso. Veggio il nuovo Pilato sì crudele, Che ciò nol sazia, ma, senza decreto, Porta nel tempio le cupide vele.

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O Signor mio, quando sarò io lieto
A veder la vendetta, che nascosa
Fa dolce l' ira tua nel tuo segreto?
Ciò ch' io dicea di quell' unica sposa
Dello Spirito Santo, e che ti fece
Verso me volger per alcuna chiosa,
Tanto è risposta a tutte nostre prece, 100
Quanto il dì dura; ma, quand' e' s'
annotta,

Contrario suon prendemo in quella vece. Noi ripetiam Pigmalion allotta,

Cui traditore e ladro e patricida
Fece la voglia sua dell' oro ghiotta ;

E la miseria dell' avaro Mida,

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Che seguì alla sua domanda ingorda, Per la qual sempre convien che si rida. Del folle Acan ciascun poi si ricorda, 109 Come furò le spoglie, sì che l' ira Di Josué qui par ch' ancor lo morda. Indi accusiam col marito Safira :

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Lodiamo i calci ch' ebbe Eliodoro ; Ed in infamia tutto il monte gira Polinestor ch' ancise Polidoro. Ultimamente ci si grida : Crasso, Dicci, chè il sai, di che sapore è l' oro?" Talor parla l' un alto, e l' altro basso, 118 Secondo l' affezion ch' a dir ci sprona, Ora a maggiore, ed ora a minor passo; Però al ben che il dì ci si ragiona, Dianzi non er' io sol; ma qui da presso Non alzava la voce altra persona,' Noi eravam partiti già da esso,

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La sete natural che mai non sazia,
Se non con l'acqua onde la femminetta
Sammaritana domandò la grazia,
Mi travagliava, e pungeami la fretta
Per la impacciata via retro al mio Duca,
E condoleami alla giusta vendetta.
Ed ecco, sì come ne scrive Luca,

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Che Cristo apparve ai due ch'erano in via, Già surto fuor della sepulcral buca, Ci apparve un'ombra, e retro a noi venia 10 Da piè guardando la turba che giace; Nè ci addemmo di lei, sì parlò pria, Dicendo: Frati miei, Dio vi dea pace.' 13 Noi ci volgemmo subito, e Virgilio Rende' gli il cenno ch' a ciò si conface. Poi cominciò: 'Nel beato concilio Ti ponga in pace la verace corte, Che me rilega nell' eterno esilio.' 'Come,' diss' egli, e parte andavam forte, 19 'Se voi siete ombre che Dio su non degni, Chi v' ha per la sua scala tanto scorte?' E il Dottor mio: 'Se tu riguardi i segni 22 Che questi porta e che l' angel profila, Ben vedrai che coi buon convien ch' ei regni.

Ma perchè lei che di e notte fila

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A quel Signor, che tosto su gl' invii.' Così ne disse; e però ch' ei si gode Tanto del ber quant' è grande la sete, Non saprei dir quant' ei mi fece prode. E il savio Duca: Omai veggio la rete 76 Che qui vi piglia, e come si scalappia, Per che ci trema, e di che congaudete. Ora chi fosti piacciati ch' io sappia, E perchè tanti secoli giaciuto Qui sei, nelle parole tue mi cappia.' 'Nel tempo che il buon Tito con l'aiuto 82 Del sommo Rege vendicò le fora, Ond' uscì il sangue per Giuda venduto,

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Fummi, e fummi nutrice poetando:
Senz' essa non fermai peso di dramma.
E, per esser vivuto di là quando
Visse Virgilio, assentirei un sole
Più che non deggio al mio uscir di
bando.'

Volser Virgilio a me queste parole 103
Con viso che tacendo disse: Taci:'
Ma non può tutto la virtù che vuole ;
Chè riso e pianto son tanto seguaci 106
Alla passion da che ciascun si spicca,
Che men seguon voler nei più veraci.
Io pur sorrisi, come l'uom ch'ammicca; 109
Perchè l'ombra si tacque, e riguar-
dommi

Negli occhi, ove il sembiante più si ficca;
E, se tanto lavoro in bene assommi,' 112
Disse, perchè la tua faccia testeso
Un lampeggiar di riso dimostrommi?'
Or son io d' una parte e d' altra preso; 115
L' una mi fa tacer, l' altra scongiura
Ch'io dica: ond' io sospiro, e sono inteso
Dal mio Maestro, e: 'Non aver paura,' 118
Mi disse, 'di parlar; ma parla, e digli
Quel ch' ei domanda con cotanta
cura.'

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Ond' io: Forse che tu ti maravigli,
Antico spirto, del rider ch' io fei;
Ma più d' ammirazion vo' che ti pigli.
Questi, che guida in alto gli occhi miei, 124
È quel Virgilio dal qual tu togliesti
Forza a cantar degli uomini e de' Dei.
Se cagione altra al mio rider credesti, 127
Lasciala per non vera esser, e credi
Quelle parole che di lui dicesti.'
Già si chinava ad abbracciar li piedi 130
Al mio Dottor; ma egli disse: Frate,
Non far, chè tu se' ombra, ed ombra vedi.'

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