7 IO E quei ch' hanno a giustizia lor disiro 4 Se troppa sicurtà m' allarga il freno, Un poco a riso pria; poscia rispose : 6 13 19 22 Ogni tuo dir d' amor m' è caro cenno. 28 Veramente più volte appaion cose, Troppo da me, e questa dismisura 49 E sappi che la colpa, che rimbecca 58 61 64 67 25 34 Di Tebe poetando, ebb' io battesmo; Ma per paura chiuso cristian fu’mi, Lungamente mostrando paganesmo; 91 E questa tepidezza il quarto cerchio Cerchiar mi fe' più ch' al quarto centesmo. Tu dunque, che levato hai il coperchio 94 'Costoro, e Persio, ed io, ed altri assai,' 100 103 139 142 Li due poeti all' arbor s' appressaro; Che nutriro il Batista nel diserto; Perch' egli è glorioso, e tanto grande Quanto per l' Evangelio v' è aperto.' 145 148 151 154 CANTO VENTESIMOTERZO. Mentre che gli occhi per la fronda verde Ficcava io così, come far suole Chi retro agli uccellin sua vita perde, Lo più che padre mi dicea: 'Figliuole, 4 Vienne oramai, chè il tempo che c' è imposto 7 10 Più utilmente compartir si vuole.' Io volsi il viso, e il passo non men tosto Appresso ai savi, che parlavan sie Che l' andar mi facean di nullo costo. Ed ecco piangere e cantar s'udie: Labia mea Domine, per modo Tal che diletto e doglia parturie. 'O dolce Padre, che è quel ch' i' odo ?' 13 Comincia'io; ed egli: 'Ombre che vanno, Forse di lor dover solvendo il nodo.' Si come i peregrin pensosi fanno, Giugnendo per cammin gente non nota, Che si volgono ad essa e non ristanno ; Così diretro a noi, più tosto mota, 16 19 Venendo e trapassando, ci ammirava D' anime turba tacita e devota. Negli occhi era ciascuna oscura e cava, 22 Pallida nella faccia, e tanto scema, Che dall' ossa la pelle s' informava. Non credo che così a buccia estrema 25 Eresitone fosse fatto secco Per digiunar, quando più n' ebbe tema. Io dicea fra me stesso pensando: 'Ecco La gente che perdè Jerusalemme, 29 Quando Maria nel figlio die' di becco.' Mia conoscenza alla cambiata labbia, E ravvisai la faccia di Forese. 'Deh non contendere all' asciutta scabbia, Che mi scolora,' pregava, 'la pelle, 50 Nè a difetto di carne ch' io abbia ; Ma dimmi il ver di te, e chi son quelle 52 Due anime che là ti fanno scorta : Non rimaner che tu non mi favelle.' 'La faccia tua, ch' io lagrimai già morta, Mi dà di pianger mo non minor doglia,' Rispos' io lui, veggendola si torta. Però mi di', per Dio, che si vi sfoglia; 57 Non mi far dir mentr' io mi maraviglio, Ed egli a me: 'Dell' eterno consiglio 61 66 76 Nel qual mutasti mondo a miglior vita, Cinqu' anni non son volti infino a qui. 88 91 94 A ber lo dolce assenzio de' martiri La Nella mia col suo pianger dirotto. Con suoi preghi devoti e con sospiri Tratto m' ha della costa ove s' aspetta, E liberato m' ha degli altri giri. Tant' è a Dio più cara e più diletta La vedovella mia, che tanto amai, Quanto in bene operare è più soletta; Chè la Barbagia di Sardigna assai Nelle femmine sue è più pudica Che la Barbagia dov' io la lasciai. O dolce frate, che vuoi tu ch' io dica? 97 Tempo futuro m' è già nel cospetto, Cui non sarà quest' ora molto antica, Nel qual sarà in pergamo interdetto Alle sfacciate donne Fiorentine L'andar mostrando con le poppe il petto. 100 Di quel che il ciel veloce loro ammanna, Già per urlare avrian le bocche aperte. Chè se l'antiveder qui non m' inganna, Prima fien triste che le guance impeli Colui che mo si consola con nanna. Deh, frate, or fa che più non mi ti celi; 112 Vedi che non pur io, ma questa gente Tutta rimira là dove il sol veli.' Perch' io a lui: 'Se ti riduci a mente 115 Qual fosti meco e quale io teco fui, Ancor fia grave il memorar presente. Di quella vita mi volse costui 118 Che mi va innanzi, l' altr' ier, quando tonda Vi si mostrò la suora di colui (E il sol mostrai). Costui per la profonda Notte menato m' ha da' veri morti, 122 Con questa vera carne che il seconda. Indi m' han tratto su li suoi conforti, 124 Salendo e rigirando la montagna Che drizza voi che il mondo fece torti. Dissi: Ella sen va su forse più tarda Che non farebbe, per l' altrui cagione. Ma dimmi, se tu 'l sai, ov'è Piccarda; 10 Dimmi s' io veggio da notar persona Tra questa gente che sì mi riguarda.' 'La mia sorella, che tra bella e buona 13 Non so qual fosse più, trionfa lieta Nell' alto Olimpo già di sua corona.' Si disse prima, e poi : 'Qui non si vieta 16 Di nominar ciascun, da ch' è si munta Nostra sembianza via per la dieta. Questi (e mostrò col dito) è Bonagiunta, 19 Bonagiunta da Lucca; e quella faccia Di là da lui, più che l' altre trapunta, Ebbe la santa Chiesa in le sue braccia: 22 Dal Torso fu, e purga per digiuno L'anguille di Bolsena e la vernaccia.' Molti altri mi nomò ad uno ad uno; E del nomar parean tutti contenti, Si ch' io però non vidi un atto bruno. Vidi per fame a vôto usar li denti Ubaldin dalla Pila, e Bonifazio Che pasturò col rocco molte genti. Vidi messer Marchese, ch' ebbe spazio 31 Già di bere a Forli con men secchezza, E si fu tal che non si senti sazio. Ma come fa chi guarda, e poi s' apprezza 34 Più d'un che d'altro, fe' io a quel da Lucca, Che più parea di me voler contezza. 25 28 La mia città, come ch' uom la riprenda. Tu te n' andrai con questo antivedere; 46 Se nel mio mormorar prendesti errore, Dichiareranti ancor le cose vere. Ma di' s' io veggio qui colui che fuore 49 Trasse le nuove rime, cominciando: Donne, ch' avete intelletto d' Amore.' Ed io a lui: 'Io mi son un che, quando 52 Amor mi spira, noto, ed a quel modo Che ditta dentro, vo significando.' 'O frate, issa veggio,' disse, ' il nodo Che il Notaro, e Guittone, e me ritenne Di qua dal dolce stil nuovo ch' i' odo. Io veggio ben come le vostre penne 55 58 61 Diretro al dittator sen vanno strette, Che delle nostre certo non avvenne. E qual più a guardar oltre si mette, Non vede più dall' uno all' altro stilo;' E quasi contentato si tacette. Come gli augei che vernan lungo il Nilo 64 Alcuna volta in aer fanno schiera, Poi volan più in fretta e vanno in filo; Così tutta la gente che li era, 67 Volgendo il viso, raffrettò suo passo, 70 73 E per magrezza e per voler leggiera. E come l'uom che di trottare è lasso Lascia andar li compagni, e sì passeggia Fin che si sfoghi l' affollar del casso; Si lasciò trapassar la santa greggia Forese, e retro meco sen veniva, Dicendo: 'Quando fia ch' io ti riveggia?' 'Non so,' rispos' io lui, 'quant' io mi viva; 76 Ma già non fia il tornar mio tanto tosto, Ch' io non sia col voler prima alla riva. Perocchè il loco, u' fui a viver posto, 79 Di giorno in giorno più di ben si spolpa, Ed a trista ruina par disposto.' 'Or va,' diss' ei, 'chè quei che più n' ha colpa Vegg' io a coda d' una bestia tratto 82 |