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Tu fosti, prima ch' io disfatto, fatto.' Ed io a lei L'angoscia che tu hai Forse ti tira fuor della mia mente, Si che non par ch' io ti vedessi mai. Ma dimmi, chi tu se', che in si dolente 46 Loco se' messa, ed a sì fatta pena

Che, s' altra è maggio, nulla è si spia-
cente.'

Ed egli a me: 'La tua città, ch' è piena 49
D' invidia si che già trabocca il sacco,
Seco mi tenne in la vita serena.
Voi cittadini mi chiamaste Ciacco :
Per la dannosa colpa della gola,
Come tu vedi, alla pioggia mi fiacco;
Ed io anima trista non son sola,

Chè tutte queste a simil pena stanno
Per simil colpa :' e più non fe' parola.
Io gli risposi : 'Ciacco, il tuo affanno
Mi pesa sì che a lagrimar m' invita :
Ma dimmi, se tu sai, a che verranno
Li cittadin della città partita ?

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:

E quegli Ei son tra le anime più nere;
Diversa colpa giù li grava al fondo: 86
Se tanto scendi, li potrai vedere.
Ma quando tu sarai nel dolce mondo, 88
Pregoti che alla mente altrui mi rechi:
Più non ti dico e più non ti rispondo.'
Gli diritti occhi torse allora in biechi: 91
Guardommi un poco, e poi chinò la testa:
Cadde con essa a par degli altri ciechi.
E il duca disse a me: Più non si desta 94
Di qua dal suon dell' angelica tromba;
Quando verrà la nimica podesta,
Ciascun ritroverà la trista tomba,
Ripiglierà sua carne e sua figura,
Udirà quel che in eterno rimbomba.'
Si trapassammo per sozza mistura
Dell'ombre e della pioggia a passi lenti,
Toccando un poco la vita futura:
Perch' io dissi: 'Maestro, esti tormenti 103
Cresceranno ei dopo la gran sentenza,
O fien minori, o saran sì cocenti?'
Ed egli a me: 'Ritorna a tua scienza, 106
Che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
Più senta il bene, e così la doglienza,
Tuttochè questa gente maledetta

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In vera perfezion giammai non vada, Di là, più che di qua, essere aspetta.' Noi aggirammo a tondo quella strada, 112 Parlando più assai ch' io non ridico: Venimmo al punto dove si digrada: Quivi trovammo Pluto il gran nimico. 115

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Alte terrà lungo tempo le fronti, Tenendo l'altra sotto gravi pesi,

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Come che di ciò pianga, e che ne adonti.

CANTO SETTIMO.

'Pape Satan, pape Satan aleppe,' Cominciò Pluto colla voce chioccia. E quel Savio gentil, che tutto seppe

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Da ogni mano all' opposito punto, Gridandosi anche loro ontoso metro: Poi si volgea ciascun, quando era giunto 34 Per lo suo mezzo cerchio all'altra giostra. Ed io che avea lo cor quasi compunto, Dissi: Maestro mio, or mi dimostra Che gente è questa, e se tutti fur cherci

Questi chercuti alla sinistra nostra,' Ed egli a me: 'Tutti quanti fur guerci Si della mente, in la vita primaia, Che con misura nullo spendio ferci. Assai la voce lor chiaro l' abbaia,

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Ed egli a me: 'Vano pensiero aduni: 52
La sconoscente vita che i fe' sozzi,
Ad ogni conoscenza or li fa bruni;
In eterno verranno alli due cozzi;
Questi risurgeranno del sepulcro
Col pugno chiuso, e questi co' crin mozzi,
Mal dare e mal tener lo mondo pulcro 58
Ha tolto loro, e posti a questa zuffa :
Qual ella sia, parole non ci appulcro.
Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
De' ben, che son commessi alla Fortuna,
Perchè l' umana gente si rabbuffa.
Chè tutto l' oro ch'è sotto la luna,

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Similemente agli splendor mondani Ordinò general ministra e duce, Che permutasse a tempo li ben vani, Di gente in gente e d'uno in altro sangue, Oltre la difension de' senni umani: Perchè una gente impera, e l' altra langue, Seguendo lo giudizio di costei, 83 Che è occulto, come in erba l' angue. Vostro saper non ha contrasto a lei : Questa provvede, giudica e persegue Suo regno, come il loro gli altri Dei. Le sue permutazion non hanno triegue: 88 Necessità la fa esser veloce,

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Si spesso vien chi vicenda consegue. Quest' è colei ch'è tanto posta in croce Pur da color che le dovrian dar lode, 92 Dandole biasmo a torto e mala voce. Ma ella s'è beata, e ciò non ode :

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Con l' altre prime creature lieta Volve sua spera, e beata si gode. Or discendiamo omai a maggior pieta: 97 Già ogni stella cade, che saliva Quando mi mossi, e il troppo star si vieta.'

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Vidi genti fangose in quel pantano, Ignude tutte e con sembiante offeso. Questi si percotean non pur con mano 112 Ma con la testa, col petto e co' piedi, Troncandosi coi denti a brano a brano. Lo buon Maestro disse: 'Figlio, or vedi L' anime di color cui vinse l'ira : 116 Ed anche vo' che tu per certo credi, Che sotto l'acqua ha gente che sospira, 118 E fanno pullular quest'acqua al summo, Come l'occhio ti dice, u' che s' aggira. Fitti nel limo dicon: "Tristi fummo 121 Nell' aer dolce che dal sol s' allegra, Portando dentro accidioso fummo: Or ci attristiam nella belletta negra." 124 Quest' inno si gorgoglian nella strozza, Chè dir nol posson con parola integra.' Così girammo della lorda pozza

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Grand' arco tra la ripa secca e il mezzo, Con gli occhi volti a chi del fango ingozza: Venimmo al piè d' una torre al dassezzo.

CANTO OTTAVO.

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Secando se ne va l'antica prora Dell' acqua più che non suol con altrui. Mentre noi corravam la morta gora, 31 Dinanzi mi si fece un pien di fango, E disse: Chi se' tu che vieni anzi ora?' Ed io a lui: 'S' io vegno, non rimango; 34 Ma tu chi se', che sei sì fatto brutto?' Rispose: Vedi che son un che piango.' Ed io a lui: Con piangere e con lutto, 37 Spirito maledetto, ti rimani : Ch' io ti conosco, ancor sia lordo tutto.' Allora stese al legno ambo le mani : Perchè il Maestro accorto lo sospinse, Dicendo: 'Via costà con gli altri cani.' Lo collo poi con le braccia mi cinse, 43 Baciommi il volto, e disse: 'Alma sdegnosa,

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Benedetta colei che in te s' incinse. Quei fu al mondo persona orgogliosa; 46 Bontà non è che sua memoria fregi : Così s'è l'ombra sua qui furiosa. Quanti si tengon or lassù gran regi, Che qui staranno come porci in brago, Di sè lasciando orribili dispregi !' Ed io: Maestro, molto sarei vago Di vederlo attuffare in questa broda, Prima che noi uscissimo del lago.' Ed egli a me: 'Avanti che la proda Ti si lasci veder, tu sarai sazio : Di tal disio converrà che tu goda.' Dopo ciò poco vidi quello strazio Far di costui alle fangose genti, Che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio,

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Tutti gridavano: 'A Filippo Argenti!' 61
E 'l Fiorentino spirito bizzarro
In sè medesmo si volgea co' denti.
Quivi il lasciammo, chè più non ne narro:
Ma negli orecchi mi percosse un duolo,
Perch' io avanti l'occhio intento sbarro:
Lo buon Maestro disse: 'Omai, figliuolo,
S'appressa la città che ha nome Dite, 68
Co' gravi cittadin, col grande stuolo.'
Ed io Maestro, già le sue meschite
:
Là entro certo nella valle cerno
Vermiglie, come se di foco uscite
Fossero.' Ed ei mi disse: 'Il foco eterno
Ch' entro l' affoca, le dimostra rosse, 74
Come tu vedi in questo basso inferno.'
Noi pur giugnemmo dentro all' alte fosse,
Che vallan quella terra sconsolata : 77
Le mura mi parean che ferro fosse.
Non senza prima far grande aggirata, 79
Venimmo in parte dove il nocchier forte
'Uscite,' ci gridò, ' qui è l' entrata.'

Io vidi più di mille in sulle porte

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Da' ciel piovuti, che stizzosamente Dicean: Chi è costui, che senza morte Va per lo regno della morta gente?' E il savio mio Maestro fece segno Di voler lor parlar segretamente. Allor chiusero un poco il gran disdegno, 88 E disser: 'Vien tu solo, e quei sen vada, Che si ardito entrò per questo regno. Sol si ritorni per la folle strada: Provi se sa; chè tu qui rimarrai Che gli hai scorta si buia contrada.' Pensa, Lettor, se io mi sconfortai

Nel suon delle parole maledette : Ch' io non credetti ritornarci mai. 'O caro duca mio, che più di sette

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Volte m' hai sicurtà renduta, e tratto D'alto periglio che incontra mi stette, Non mi lasciar,' diss' io, 'così disfatto: 100 E se 'l passar più oltre c' è negato, Ritroviam l'orme nostre insieme ratto.' E quel signor che li m' avea menato

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Mi disse: 'Non temer, chè il nostro passo Non ci può torre alcun : da tal n' è dato. Ma qui m' attendi; e lo spirito lasso 106 Conforta e ciba di speranza buona, Ch' io non ti lascerò nel mondo basso,' Così sen va, e quivi m' abbandona

109

Lo dolce padre, ed io rimango in forse; Che 'l si e 'l no nel capo mi tenzona.

Udir non pote' quel ch' a lor si porse: 112
Ma ei non stette là con essi guari,
Che ciascun dentro a prova si ricorse.
Chiuser le porte que' nostri avversari 115
Nel petto al mio signor che fuor rimase,
E rivolsesi a me con passi rari. 117
Gli occhi alla terra, e le ciglia avea rase
D' ogni baldanza, e dicea ne' sospiri :
'Chi m' ha negate le dolenti case?'
Ed a me disse: 'Tu, perch' io m' adiri, 121
Non sbigottir, ch' io vincerò la prova,
Qual ch' alla difension dentro s' aggiri.
Questa lor tracotanza non è nuova,

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Lo cominciar con l'altro che poi venne,
Che fur parole alle prime diverse.
Ma nondimen paura il suo dir dienne, 13
Perch' io traeva la parola tronca
Forse a peggior sentenza ch' ei non tenne.
'In questo fondo della trista conca 16
Discende mai alcun del primo grado,
Che sol per pena ha la speranza cionca?'
Questa question fec' io; e quei: 'Di rado
Incontra,' mi rispose, che di nui
Faccia il cammino alcun per quale io
vado.

Ver' è ch' altra fiata quaggiù fui,
Congiurato da quella Eriton cruda
Che richiamava l' ombre a' corpi sui.

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Per trarne un spirto del cerchio di Giuda.
Quell' è il più basso loco e il più oscuro, 28
E il più lontan dal ciel che tutto gira :
Ben so il cammin: però ti fa sicuro.
Questa palude che il gran puzzo spira, 31
Cinge d' intorno la città dolente,
U' non potemo entrare omai senz' ira.'
Ed altro disse, ma non l' ho a mente; 34
Perocchè l'occhio m' avea tutto tratto
Ver l'alta torre alla cima rovente,
Dove in un punto furon dritte ratto
Tre furie infernal di sangue tinte,
Che membra femminili aveano ed atto,
E con idre verdissime eran cinte :
Serpentelli ceraste avean per crine
Onde le fiere tempie eran avvinte.

E quei che ben conobbe le meschine
Della regina dell' eterno pianto :
Guarda,' mi disse, 'le feroci Erine.
Questa è Megera dal sinistro canto :

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Gli occhi mi sciolse, e disse: 'Or drizza il nerbo

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Del viso su per quella schiuma antica, Per indi ove quel fummo è più acerbo.' Come le rane innanzi alla nimica

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E non fe' motto a noi : ma fe' sembiante
D'uomo cui altra cura stringa e morda,
Che quella di colui che gli è davante. 103
E noi movemmo i piedi in ver la terra,
Sicuri appresso le parole sante.
Dentro v' entrammo senza alcuna guerra:
Ed io, ch' avea di riguardar disio
La condizion che tal fortezza serra,
Com' io fui dentro, l'occhio intorno invio;
E veggio ad ogni man grande campagna
Piena di duolo e di tormento rio.
Si come ad Arli, ove Rodano stagna, 112
Si com' a Pola presso del Quarnaro,
Che Italia chiude e suoi termini bagna,
Fanno i sepolcri tutto il loco varo :

Cosi facevan quivi d' ogni parte,
Salvo che il modo v' era più amaro;

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Chè tra gli avelli fiamme erano sparte, 118 Per le quali eran sì del tutto accesi, Che ferro più non chiede verun' arte.

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