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Giú da' colli e da' tetti,

Al biancheggiar della recente luna.

Or la squilla dà segno

Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
Su la piazzuola in frotta,

E qua e là saltando,

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E tutto l'altro tace,

Odi il martel picchiare, odi la sega

Del legnaiuol, che veglia

Nella chiusa bottega alla lucerna,

E s'affretta, e s'adopra

Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.

Questo di sette è il piú gradito giorno, Pien di speme e di gioia:

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Diman tristezza e noia

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Recheran l'ore, ed al travaglio usato

Ciascuno in suo pensier farà ritorno.

Garzoncello scherzoso,

Cotesta età fiorita

È come un giorno d'allegrezza pieno,

Giorno chiaro, sereno,

Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.

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Altro dirti non vo'; ma la tua festa

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Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.

XXVI.

IL PENSIERO DOMINANTE.

Dolcissimo, possente
Dominator di mia profonda mente;

Terribile, ma caro

Dono del ciel; consorte

Ai lúgubri miei giorni,

Pensier che innanzi a me sí spesso torni.

Di tua natura arcana

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Chi non favella? il suo poter fra noi
Chi non sentí? Pur sempre

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In solitario campo,

Tu stai solo, gigante, in mezzo a lei.

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Che divenute son, fuor di te solo,
Tutte l'opre terrene,

Tutta intera la vita al guardo mio!
Che intollerabil noia

Gli ozi, i commerci usati,

E di vano piacer la vana spene,

Allato a quella gioia,

Gioia celeste che da te mi viene!

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Come da' nudi sassi

Dello scabro Apennino

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A un campo verde che lontan sorrida

Volge gli occhi bramoso il pellegrino;
Tal io dal secco ed aspro

Mondano conversar vogliosamente,

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Timor di morte non mi strinse il petto.
Oggi mi pare un gioco

Quella che il mondo inetto,

Talor lodando, ognora abborre e trema,
Necessitade estrema;

E se periglio appar, con un sorriso

Le sue minacce a contemplar m' affiso.

Sempre i codardi, e l'alme

Ingenerose, abbiette

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Ebbi in dispregio. Or punge ogni atto indegno 55

Subito i sensi miei;

Move l'alma ogni esempio

Dell' umana viltà subito a sdegno.

Di questa età superba,

Che di vote speranze si nutrica,

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Vaga di ciance, e di virtú nemica;
Stolta, che l'util chiede,

E inutile la vita

Quindi piú sempre divenir non vede;

Maggior mi sento. A scherno

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Ho gli umani giudizi; e il vario volgo

A' bei pensieri infesto,

E degno tuo disprezzator, calpesto.

A quello onde tu movi,

Quale affetto non cede?

Anzi qual altro affetto

Se non quell' uno intra i mortali ha sede?
Avarizia, superbia, odio, disdegno,

Studio d' onor, di regno,

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