Piacquero a te: non io, non già ch' io speri, 20
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi In cosí verde etate! Ahi, per la via Odo non lunge il solitario canto Dell' artigian, che riede a tarda notte, Dopo i sollazzi, al suo povero ostello; E fieramente mi si stringe il core, A pensar come tutto al mondo passa, E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito Il dí festivo, ed al festivo il giorno Volgar succede, e se ne porta il tempo Ogni umano accidente. Or dov'è il suono Di que' popoli antichi? or dov'è il grido De' nostri avi famosi, e il grande impero Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio Che n' andò per la terra e l'oceano? Tutto è pace e silenzio, e tutto posa Il mondo, e piú di lor non si ragiona. Nella mia prima età, quando s'aspetta Bramosamente il dí festivo, or poscia Ch' egli era spento, io doloroso, in veglia, Premea le piume; ed alla tarda notte Un canto che s'udia per li sentieri Lontanando morire a poco a poco, Già similmente mi stringeva il core.
O graziosa luna, io mi rammento Che, or volge l'anno, sovra questo colle Io venia pien d'angoscia a rimirarti: E tu pendevi allor su quella selva Siccome or fai, che tutta la rischiari. Ma nebuloso e tremulo dal pianto Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci Il tuo volto apparia, che travagliosa Era mia vita: ed è, né cangia stile, O mia diletta luna. E pur mi giova La ricordanza, e il noverar l'etate Del mio dolore. Oh come grato occorre Nel tempo giovanil, quando ancor lungo La speme e breve ha la memoria il corso, Il rimembrar delle passate cose, Ancor che triste, e che l'affanno duri!
LEOPARDI, Opere approvate. Vol. I, Poesie.
Era il mattino, e tra le chiuse imposte Per lo balcone insinuava il sole
Nella mia cieca stanza il primo albore;
Quando in sul tempo che piú leve il sonno E piú soave le pupille adombra,
Stettemi allato e riguardommi in viso
Il simulacro di colei che amore
Prima insegnommi, e poi lasciommi in pianto. Morta non mi parea, ma trista, e quale Degl' infelici è la sembianza. Al capo Appressommi la destra, e sospirando, Vivi, mi disse, e ricordanza alcuna Serbi di noi? Donde, risposi, e come Vieni, o cara beltà? Quanto, deh quanto Di te mi dolse e duol: né mi credea Che risaper tu lo dovessi; e questo Facea piú sconsolato il dolor mio.
Ma sei tu per lasciarmi un' altra volta?
Io n'ho gran tema. Or dimmi, e che t'avvenne? Sei tu quella di prima? E che ti strugge Internamente? Obblivione ingombra
I tuoi pensieri, e gli avviluppa il sonno; Disse colei. Son morta, e mi vedesti L'ultima volta, or son piú lune. Immensa Doglia m'oppresse a queste voci il petto. Ella seguí: nel fior degli anni estinta,
Quand'è il viver piú dolce, e pria che il core Certo si renda com'è tutta indarno
L'umana speme. A desiar colei
Che d'ogni affanno il tragge, ha poco andare 30 L'egro mortal; ma sconsolata arriva
La morte ai giovanetti, e duro è il fato Di quella speme che sotterra è spenta. Vano è saper quel che natura asconde Agl' inesperti della vita, e molto. All' immatura sapienza il cieco
Dolor prevale. Oh sfortunata, oh cara, Taci, taci, diss' io, che tu mi schianti
Con questi detti il cor. Dunque sei morta, O mia diletta, ed io son vivo, ed era
Pur fisso in ciel che quei sudori estremi Cotesta cara e tenerella salma
Provar dovesse, a me restasse intera
Questa misera spoglia? Oh quante volte
In ripensar che piú non vivi, e mai
Non avverrà ch' io ti ritrovi al mondo,
Creder nol posso. Ahi ahi, che cosa è questa Che morte s'addimanda? Oggi per prova Intenderlo potessi, e il capo inerme Agli atroci del fato odii sottrarre. Giovane son, ma si consuma e perde La giovanezza mia come vecchiezza;
Era il mattino, e tra le chiuse imposte Per lo balcone insinuava il sole
Nella mia cieca stanza il primo albore; Quando in sul tempo che piú leve il sonno E piú soave le pupille adombra,
Stettemi allato e riguardommi in viso
Il simulacro di colei che amore
Prima insegnommi, e poi lasciommi in pianto. Morta non mi parea, ma trista, e quale Degl' infelici è la sembianza. Al capo Appressommi la destra, e sospirando, Vivi, mi disse, e ricordanza alcuna Serbi di noi? Donde, risposi, e come Vieni, o cara beltà? Quanto, deh quanto Di te mi dolse e duol: né mi credea Che risaper tu lo dovessi; e questo Facea piú sconsolato il dolor mio.
Ma sei tu per lasciarmi un' altra volta?
Io n'ho gran tema. Or dimmi, e che t'avvenne? Sei tu quella di prima? E che ti strugge Internamente? Obblivione ingombra
« ÖncekiDevam » |