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I tuoi pensieri, e gli avviluppa il sonno;
Disse colei. Son morta, e mi vedesti
L'ultima volta, or son piú lune. Immensa
Doglia m' oppresse a queste voci il petto.

Ella seguí: nel fior degli anni estinta,

Quand'è il viver piú dolce, e pria che il core
Certo si renda com'è tutta indarno

L'umana speme. A desiar colei

25

Che d'ogni affanno il tragge, ha poco andare 30
L'egro mortal; ma sconsolata arriva

La morte ai giovanetti, e duro è il fato
Di quella speme che sotterra è spenta.
Vano è saper quel che natura asconde
Agl' inesperti della vita, e molto
All' immatura sapienza il cieco.

35

Dolor prevale. Oh sfortunata, oh cara,
Taci, taci, diss' io, che tu mi schianti

Con questi detti il cor. Dunque sei morta,
O mia diletta, ed io son vivo, ed era
Pur fisso in ciel che quei sudori estremi
Cotesta cara e tenerella salma

Provar dovesse, a me restasse intera
Questa misera spoglia? Oh quante volte
In ripensar che più non vivi, e mai

Non avverrà ch' io ti ritrovi al mondo,

Creder nol posso. Ahi ahi, che cosa è questa
Che morte s' addimanda? Oggi per prova
Intenderlo potessi, e il capo inerme
Agli atroci del fato odii sottrarre.
Giovane son, ma si consuma e perde
La giovanezza mia come vecchiezza;

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Era il mattino, e tra le chiuse imposte
Per lo balcone insinuava il sole

Nella mia cieca stanza il primo albore;
Quando in sul tempo che piú leve il sonno
E piú soave le pupille adombra,

Stettemi allato e riguardommi in viso

Il simulacro di colei che amore

Prima insegnommi, e poi lasciommi in pianto.
Morta non mi parea, ma trista, e quale
Degl' infelici è la sembianza. Al capo
Appressommi la destra, e sospirando,
Vivi, mi disse, e ricordanza alcuna
Serbi di noi? Donde, risposi, e come
Vieni, o cara beltà? Quanto, deh quanto
Di te mi dolse e duol: né mi credea
Che risaper tu lo dovessi; e questo
Facea piú sconsolato il dolor mio.

Ma sei tu per lasciarmi un' altra volta?

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Io n' ho gran tema. Or dimmi, e che t'avvenne? Sei tu quella di prima? E che ti strugge Internamente? Obblivione ingombra

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I tuoi pensieri, e gli avviluppa il sonno;
Disse colei. Son morta, e mi vedesti
L'ultima volta, or son piú lune. Immensa
Doglia m'oppresse a queste voci il petto.
Ella seguí: nel fior degli anni estinta,

Quand'è il viver piú dolce, e pria che il core
Certo si renda com'è tutta indarno
L'umana speme. A desiar colei

25

Che d'ogni affanno il tragge, ha poco andare 30
L'egro mortal; ma sconsolata arriva

La morte ai giovanetti, e duro è il fato
Di quella speme che sotterra è spenta.
Vano è saper quel che natura asconde
Agl' inesperti della vita, e molto.
All' immatura sapienza il cieco

35

Dolor prevale. Oh sfortunata, oh cara,
Taci, taci, diss' io, che tu mi schianti

Con questi detti il cor. Dunque sei morta,

40

O mia diletta, ed io son vivo, ed era
Pur fisso in ciel che quei sudori estremi
Cotesta cara e tenerella salma

Provar dovesse, a me restasse intera

Questa misera spoglia? Oh quante volte

In ripensar che piú non vivi, e mai
Non avverrà ch' io ti ritrovi al mondo,

45

Creder nol posso. Ahi ahi, che cosa è questa
Che morte s' addimanda? Oggi per prova
Intenderlo potessi, e il capo inerme
Agli atroci del fato odii sottrarre.
Giovane son, ma si consuma e perde
La giovanezza mia come vecchiezza;

50

La qual pavento, e pur m'è lunge assai.
Ma poco da vecchiezza si discorda

Il fior dell' età mia. Nascemmo al pianto,
Disse, ambedue; felicità non rise

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Al viver nostro; e dilettossi il cielo

De' nostri affanni. Or se di pianto il ciglio,
Soggiunsi, e di pallor velato il viso

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Per la tua dipartita, e se d'angoscia
Porto gravido il cor; dimmi: d'amore
Favilla alcuna, o di pietà, giammai
Verso il misero amante il cor t'assalse
Mentre vivesti? Io disperando allora
E sperando traea le notti e i giorni;
Oggi nel vano dubitar si stanca

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La mente mia. Che se una volta sola
Dolor ti strinse di mia negra vita,
Non mel celar, ti prego, e mi soccorra
La rimembranza or che il futuro è tolto
Ai nostri giorni. E quella: ti conforta,
O sventurato. Io di pietade avara
Non ti fui mentre vissi, ed or non sono,
Che fui misera anch' io. Non far querela.

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Di questa infelicissima fanciulla.

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Per le sventure nostre, e per l'amore

Che mi strugge, esclamai; per lo diletto

Nome di giovanezza e la perduta

Speme dei nostri dí, concedi, o cara,

Che la tua destra io tocchi. Ed ella, in atto 80

Soave e tristo, la porgeva. Or mentre

Di baci la ricopro, e d'affannosa

Dolcezza palpitando all' anelante

Seno la stringo, di sudore il volto
Ferveva e il petto, nelle fauci stava
La voce, al guardo traballava il giorno.
Quando colei teneramente affissi

Gli occhi negli occhi miei, già scordi, o caro,
Disse, che di beltà son fatta ignuda?
E tu d'amore, o sfortunato, indarno
Ti scaldi e fremi. Or finalmente addio.
Nostre misere menti e nostre salme
Son disgiunte in eterno. A me non vivi,
E mai piú non vivrai: già ruppe il fato
La fe che mi giurasti. Allor d'angoscia
Gridar volendo, e spasimando, e pregne
Di sconsolato pianto le pupille,

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Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi
Pur mi restava, e nell' incerto raggio
Del Sol vederla io mi credeva ancora.

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