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Quante volte implorata

Con desiderio intenso,

Morte, sei tu dall' affannoso amante!

Quante la sera, e quante

Abbandonando all' alba il corpo stanco,

Se beato chiamò s'indi giammai

Non rilevasse il fianco,

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Né tornasse a veder l'amara luce!

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E spesso al suon della funebre squilla,

Al canto che conduce

La gente morta al sempiterno obblio,
Con piú sospiri ardenti

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Sentí rizzar le chiome,

Osa alla tomba, alle funeree bende
Fermar lo sguardo di costanza pieno,
Osa ferro e veleno

Meditar lungamente,

E nell' indotta mente

La gentilezza del morir comprende.
Tanto alla morte inclina

D'amor la disciplina. Anco sovente,
A tal venuto il gran travaglio interno
Che sostener nol può forza mortale,
O cede il corpo frale

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Ai terribili moti, e in questa forma
Pel fraterno poter Morte prevale;
O cosí sprona Amor là nel profondo,
Che da se stessi il villanello ignaro,
La tenera donzella

Con la man violenta

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L'uno o l'altro di voi conceda il fato,
Dolci signori, amici

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All' umana famiglia;

Al cui poter nessun poter somiglia
Nell'immenso universo, e non l'avanza,
Se non quella del fato, altra possanza.

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Fosti da me, s' al tuo divino stato

L'onte del volgo ingrato

Ricompensar tentai,

Non tardar piú, t' inchina.

A disusati preghi,

Chiudi alla luce omai

Questi occhi tristi, o dell' età reina.

Me certo troverai, qual si sia l'ora

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Gittar da me; null' altro in alcun tempo

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Sperar, se non te sola;

Solo aspettar sereno

Quel dí ch' io pieghi addormentato il volto

Nel tuo virgineo seno.

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Or poserai per sempre,

Stanco mio cor. Perí l'inganno estremo,
Ch'eterno io mi credei. Perí. Ben sento,
In noi di cari inganni,

Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai

Palpitasti. Non val cosa nessuna

I moti tuoi, né di sospiri è degna

La terra. Amaro e noia

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La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. 10 T'acqueta omai. Dispera

L'ultima volta. Al gener nostro il fato

Non donò che il morire. Omai disprezza

Te, la natura, il brutto

Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l'infinita vanità del tutto.

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XXIX.

ASPASIA.

ese

Torna dinanzi al mio pensier talora
Il tuo sembiante, Aspasia. O fuggitivo.
Per abitati lochi a me lampeggia
In altri volti; o per deserti campi,
Al dí sereno, alle tacenti stelle,
Da soave armonia quasi ridesta,

Nell'alma a sgomentarsi ancor vicina
Quella superba vision risorge.

Quanto adorata, o numi, e quale un giorno
Mia delizia ed erinni! E mai non sento

Mover profumo di fiorita piaggia,

Né di fiori olezzar vie cittadine,

Ch'io non ti vegga ancor qual eri il giorno

Che ne' vezzosi appartamenti accolta,

Tutti odorati de' novelli fiori

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Baci scoccavi nelle curve labbra

De'tuoi bambini, il niveo collo intanto

LEOPARDI, Opere approvate. Vol. I, Poesie.

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