Ai terribili moti, e in questa forma Con la man violenta 80 Pongon le membra giovanili in terra. 85 A cui pace e vecchiezza il ciel consenta. Ai fervidi, ai felici, Agli animosi ingegni L'uno o l'altro di voi conceda il fato, All' umana famiglia; Al cui poter nessun poter somiglia Nell' immenso universo, e non l'avanza, 90 95 E tu, cui già dal cominciar degli anni Bella Morte, pietosa Tu sola al mondo dei terreni affanni, Se celebrata mai 100 Fosti da me, s' al tuo divino stato L'onte del volgo ingrato Ricompensar tentai, Non tardar piú, t'inchina A disusati preghi, Chiudi alla luce omai Questi occhi tristi, o dell' età reina. Me certo troverai, qual si sia l'ora 105 Gittar da me; null' altro in alcun tempo 120 Sperar, se non te sola; Solo aspettar sereno Quel dí ch' io pieghi addormentato il volto Nel tuo virgineo seno. Or poserai per sempre, Stanco mio cor. Perí l'inganno estremo, Non che la speme, il desiderio è spento. Palpitasti. Non val cosa nessuna I moti tuoi, né di sospiri è degna La terra. Amaro e noia 5 La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. 10 T'acqueta omai. Dispera L'ultima volta. Al gener nostro il fato Non donò che il morire. Omai disprezza Te, la natura, il brutto Poter che, ascoso, a comun danno impera, 15 XXIX. ASPASIA. ese Torna dinanzi al mio pensier talora Nell' alma a sgomentarsi ancor vicina Quella superba vision risorge. Quanto adorata, o numi, e quale un giorno Mia delizia ed erinni! E mai non sento Mover profumo di fiorita piaggia, Né di fiori olezzar vie cittadine, Ch'io non ti vegga ancor qual eri il giorno Che ne' vezzosi appartamenti accolta, Tutti odorati de' novelli fiori 5 10 15 Baci scoccavi nelle curve labbra De'tuoi bambini, il niveo collo intanto LEOPARDI, Opere approvate. Vol. I, Poesie. 9 Or poserai per sempre, Stanco mio cor. Perí l'inganno estremo, Non che la speme, il desiderio è spento. Palpitasti. Non val cosa nessuna I moti tuoi, né di sospiri è degna La terra. Amaro e noia 5 La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. 10 T'acqueta omai. Dispera L'ultima volta. Al gener nostro il fato Non donò che il morire. Omai disprezza Te, la natura, il brutto Poter che, ascoso, a comun danno impera, 15 |