Vituperosa e trista un sasso asconde.
Qual sembianza fra noi parve piú viva Immagine del ciel. Misterio eterno
Segno e sicura spene
Dare al mortale stato :
Diman, per lieve forza,
Sozzo a vedere, abominoso, abbietto
Divien quel che fu dianzi
Quasi angelico aspetto,
E dalle menti insieme
Quel che da lui moveva
Ammirabil concetto, si dilegua.
Desiderii infiniti
E visioni altere
Crea nel vago pensiere,
Per natural virtú, dotto concento; Onde per mar delizioso, arcano
Erra lo spirto umano,
Ardito notator per l'Oceano :
Ma se un discorde accento
Fere l'orecchio, in nulla
Torna quel paradiso in un momento.
Natura umana, or come,
Se frale in tutto e vile,
Se polve ed ombra sei, tant' alto senti? Se in parte anco gentile,
Come i piú degni tuoi moti e pensieri Son cosí di leggeri
Da sí basse cagioni e desti e spenti?
Errai, candido Gino; assai gran tempo,
E di gran lunga errai. Misera e vana Stimai la vita, e sopra l'altre insulsa. La stagion ch' or si volge. Intolleranda Parve, e fu, la mia lingua alla beata Prole mortal, se dir si dee mortale
L'uomo, o si può. Fra maraviglia e sdegno, Dall' Eden odorato in cui soggiorna, Rise l'alta progenie, e me negletto Disse, o mal venturoso, e di piaceri O incapace o inesperto, il proprio fato Creder comune, e del mio mal consorte L'umana specie. Alfin per entro il fumo De' sígari onorato, al romorio. De' crepitanti pasticcini, al grido Militar, di gelati e di bevande Ordinator, fra le percosse tazze
E i branditi cucchiai, viva rifulse Agli occhi miei la giornaliera luce Delle gazzette. Riconobbi e vidi La pubblica letizia, e le dolcezze Del destino mortal. Vidi l'eccelso
Stato e il valor delle terrene cose, E tutto fiori il corso umano, e vidi Come nulla quaggiú dispiace e dura. Né men conobbi ancor gli studi e l'opre Stupende, e il senno, e le virtudi, e l'alto Saver del secol mio. Né vidi meno Da Marrocco al Catai, dall' Orse al Nilo, E da Boston a Goa, correr dell' alma Felicità su l'orme a gara ansando Regni, imperi e ducati; e già tenerla O per le chiome fluttuanti, o certo Per l'estremo del boa. Cosí vedendo, E meditando sovra i larghi fogli Profondamente, del mio grave antico Errore, e di me stesso, ebbi vergogna.
Aureo secolo omai volgono, o Gino,
I fusi delle Parche. Ogni giornale, Gener vario di lingue e di colonne, Da tutti i lidi lo promette al mondo Concordemente. Universale amore, Ferrate vie, moltiplici commerci, Vapor, tipi e cholèra i piú divisi Popoli e climi stringeranno insieme: Nó maraviglia fia se pino o quercia Suderà latte e mele, o s'anco al suono
D'un walser danzerà. Tanto la possa Infin qui de' lambicchi e delle storte, E le macchine al cielo emulatrici Crebbero, e tanto cresceranno al tempo Che seguirà; poiché di meglio in meglio Senza fin vola e volerà mai sempre Di Sem, di Cam e di Giapeto il seme.
Ghiande non ciberà certo la terra Però, se fame non la sforza: il duro Ferro non deporrà. Ben molte volte Argento ed or disprezzerà, contenta A polizze di cambio. E già dal caro Sangue de' suoi non asterrà la mano La generosa stirpe: anzi coverte Fien di stragi l'Europa e l'altra riva Dell' atlantico mar, fresca nutrice Di pura civiltà, sempre che spinga Contrarie in campo le fraterne schiere Di pepe o di cannella o d'altro aroma Fatal cagione, o di melate canne, O cagion qual si sia ch'ad auro torni. Valor vero e virtú, modestia e fede
E di giustizia amor, sempre in qualunque
Pubblico stato, alieni in tutto e lungi
Da' comuni negozi, ovvero in tutto Sfortunati saranno, afflitti e vinti; Perché diè lor natura, in ogni tempo
Starsene in fondo. Ardir protervo e frode,
Con mediocrità, regneran sempre,
A galleggiar sortiti, Imperio e forze,
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