XXXIV. LA GINESTRA 0 IL FIORE DEL DESERTO. Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς. E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce. GIOVANNI, III, 19. Qui su l' arida schiena La qual null' altro allegra arbor né fiore, Odorata ginestra, Contenta dei deserti. Anco ti vidi De' tuoi steli abbellir l'erme contrade Che cingon la cittade La qual fu donna de' mortali un tempo, E del perduto impero. Par che col grave e taciturno aspetto 5 10 Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi I danni altrui commiserando, al cielo 35 Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto È il gener nostro in cura 40 All' amante natura. E la possanza Qui con giusta misura Anco estimar potrà dell' uman seme, Cui la dura nutrice, ov' ei men teme, Con lieve moto in un momento annulla 45 In parte, e può con moti Poco men lievi ancor subitamente Annichilare in tutto. Dipinte in queste rive Son dell' umana gente Le magnifiche sorti e progressive. Qui mira e qui ti specchia, Secol superbo e sciocco, Che il calle insino allora 50 Dal risorto pensier segnato innanti 55 Abbandonasti, e volti addietro i passi, Del ritornar ti vanti, E procedere il chiami. Al tuo pargoleggiar gl' ingegni tutti 60 Di cui lor sorte rea padre ti fece Vanno adulando, ancora Ch'a ludibrio talora T'abbian fra se. Non io Preme chi troppo all' età propria increbbe. " Di questo mal, che teco Mi fia comune, assai finor mi rido. 70 Libertà vai sognando, e servo a un tempo Vuoi di novo il pensiero, Sol per cui risorgemmo Della barbarie in parte, e per cui solo 75 Si cresce in civiltà, che sola in meglio Cosí ti spiacque il vero Dell' aspra sorte e del depresso loco Che natura ci diè. Per questo il tergo 80 Magnanimo colui Che se schernendo o gli altri, astuto o folle, 85 Uom di povero stato e membra inferme Ricco d'or né gagliardo, E di splendida vita o di valente Persona infra la gente Non fa risibil mostra; 90 Ma se di forza e di tesor mendico Lascia parer senza vergogna, e noma 95 Parlando, apertamente, e di sue cose Magnanimo animale Non credo io già, ma stolto, Quel che nato a perir, nutrito in pene, 100 A popoli che un'onda Di mar commosso, un fiato D'aura maligna, un sotterraneo crollo A gran pena di lor la rimembranza. 110 Che a sollevar s'ardisce Gli occhi mortali incontra Al comun fato, e che con franca lingua, 115 Confessa il mal che ci fu dato in sorte, E il basso stato e frale; Quella che grande e forte Mostra se nel soffrir, né gli odii e l'ire 120 D'ogni altro danno, accresce Alle miserie sue, l' uomo incolpando Del suo dolor, ma dà la colpa a quella Dell' uomo armar la destra, e laccio porre |