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Questo il rigido Marte, e quello il flutto
Del pelago rapisce; altri consunto

Da negre cure, o tristo nodo al collo
Circondando, sotterra si rifugge.
Cosí di mille mali

I miseri mortali

Volgo fiero e diverso agita e strugge.

Ma per sentenza mia,

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Uom saggio e sciolto dal comune errore

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Patir non sosterria,

Nó porrebbe al dolore

Ed al mal proprio suo cotanto amore.

XLI.

DELLO STESSO.

Umana cosa picciol tempo dura,

E certissimo detto

Disse il veglio di Chio,
Conforme ebber natura

Le foglie e l'uman seme.

Ma questa voce in petto

Raccolgon pochi. All' inquieta speme,

Figlia di giovin core,

Tutti prestiam ricetto.

Mentre è vermiglio il fiore

Di nostra etade acerba

L'alma vota e superba

5

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Tu presso a porre il piede
In sul varco fatale
Della plutonia sede,
Ai presenti diletti

La breve età commetti.

20

NOTE

Pag. 13, v. 79. Il successo delle Termopile fu celebrato veramente da quello che in essa canzone s'introduce a poetare, cioè da Simonide; tenuto dall'antichità fra gli ottimi poeti lirici, vissuto, che più rileva, ai medesimi tempi della scesa di Serse, e greco di patria. Questo suo fatto, lasciando l'epitaffio riportato da Cicerone e da altri, si dimostra da quello che scrive Diodoro nell' undecimo libro, dove recita anche certe parole di esso poeta in questo proposito, due o tre delle quali sono espresse nel quinto verso dell' ultima strofe. Rispetto dunque alle predette circostanze del tempo e della persona, e d'altra parte riguardando alle qualità della materia per se medesima, io non credo che mai si trovasse argomento più degno di poema lirico, nè piú fortunato di questo che fu scelto, o più veramente sortito, da Simonide. Perocchè se l'impresa delle Termopile fa tanta forza a noi che siamo stranieri verso quelli che l' operarono, e con tutto questo non possiamo tenere le lacrime a leggerla semplicemente come passasse, e ventitrè secoli dopo ch' ella è seguita; abbiamo a far congettura di quello che la sua ricordanza dovesse potere in un Greco, e poeta, e dei principali, avendo veduto il fatto, si può dire, cogli occhi propri, andando per le stesse città vincitrici di un esercito molto maggiore di quanti altri si ricorda la storia d' Europa, venendo a parte delle feste, delle maraviglie, del fervore di tutta un' eccellentissima nazione, fatta anche più magnanima della sua natura dalla coscienza della gloria acquistata, e dall' emulazione di tanta virtù dimostrata pur dianzi dai suoi. Per queste considerazioni, riputando a molta disavventura che le cose scritte da Simonide in quella occorrenza fossero perdute, non ch' io presumessi di riparare a questo dauno, ma come per ingannare il desiderio, procurai di rappresentarmi alla mente le disposizioni dell' animo del poeta in quel tempo, e con questo mezzo, salva la disuguaglianza degl' ingegni, tornare a fare il suo canto; del quale io porto questo parere, che o fosse maraviglioso, o la fama di Simonide fosse vana, e gli scritti perissero con poca ingiuria. Lettera a Vincenzo Monti, premessa alle edizioni di Roma e di Bologna.

Pag. 27, v. 80. Di questa fama divulgata anticamente, che in Ispa gna e in Portogallo, quando il sole tramontava, si udisse di mezzo all'Oceano uno stridore simile a quello che fanno i carboni accesi, o un ferro rovente quando è tuffato nell' acqua, vedi Cleomede Circular. doctrin. de sublim. 1. 2, c. 1, ed. Bake, Lugd. Bat. 1820. p. 109 seq. Strabone 1. 3, ed. Amstel. 1707, p. 202. B. Giovenale Sat. 14, v. 279. Stazio Silv. 1. 2. Genethl. Lucani v. 24. seqq. ed Ausonio Epist. 18, v. 2. Floro 1. 2, c. 17. parlando delle cose fatte da Decimo Bruto in Portogallo : peragratoque victor Oceani litore non prius signa convertit, quam cadentem in maria solem, obrutumque aquis ignem, non sine quodam sacrilegii metu, et horrore, deprehendit. Vedi ancora le note degli eruditi a Tacito de Germ. c. 45.

LEOPARDI, Opere approvate. - Vol. I, Poesie.

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Pag. 27. V. 96. Mentre la notizia della rotondità della terra, ed altre simili appartenenti alla cosmografia, furono poco volgari, gli uomini ricercando quello che si facesse il sole nel tempo della notte, o qual fosse lo stato suo, fecero intorno a questo parecchie belle immaginazioni: e se molti pensarono che la sera il sole si spegnesse, e che la mattina si raccendesse, altri immaginarono che dal tramonto si riposasse e dormisse fino al giorno. Stesicoro ap. Athenaeum, 1. 11, c. 38. ed. Schweigh. t. 4, p. 237. Antimaco ap. eumd. 1. c. p. 238. Eschilo 1. c. e più distintamente Mimnermo, poeta greco antichissimo, 1. c. cap. 39, p. 239, dice che il sole, dopo calato, si pone a giacere in un letto concavo, a uso di navicella, tutto d'oro, e così dormendo naviga per l'Oceano da ponente a levante. Pitea marsigliese, allegato da Gemino c. 5. in Petav. Uranol. ed. Amst. p. 13, e da Cosma egiziano Topogr. christian. 1. 2. ed. Montfauc. p. 149. racconta di non so quali barbari che mostrarono a esso Pitea il luogo dove il sole, secondo loro, si adagiava a dormire. E il Petrarca si accostò a queste tali opinioni volgari in quei versi, Canz. Nella stagion, st. 3:

Quando vede il pastor calare i raggi

Del gran pianeta al nido ov'egli alberga.

Siccome in questi altri della medesima Canzone st. 1, seguì la sentenza di quei filosofi che per virtù di raziocinio e di congettura indovinavano gli antipodi :

Nella stagion che 'l ciel rapido inchina
Verso occidente, e che 'l dì nostro vola
A gente che di là forse l'aspetta.

Dove quel forse, che oggi non si potrebbe dire, fu sommamente poetico; perchè dava facoltà al lettore di rappresentarsi quella gente sconosciuta a suo modo, o di averla in tutto per favolosa: donde si dee credere che, leggendo questi versi, nascessero di quelle concezioni vaghe e inderminate, che sono effetto principalissimo ed essenziale delle bellezze poetiche, anzi di tutte le maggiori bellezze del mondo.

Pag. 28, v. 132. Di qui alla fine della stanza si ha riguardo alla congiuntura della morte del Tasso, accaduta in tempo che erano per incoronarlo poeta in Campidoglio.

Pag. 38, v. 1. Si usa qui la licenza, usata da diversi autori antichi, di attribuire alla Tracia la città e la battaglia di Filippi, che veramente furono nella Macedonia. Similmente nel nono Canto si seguita la tradizione volgare intorno agli amori infelici di Saffo poetessa, benchè il Visconti ed altri critici moderni distinguano due Saffo; l' una famosa per la sua lira, e l'altra per l'amore sfortunato di Faone; quella contemporanea d'Alceo, e questa più moderna.

Pag. 44, v. 29. La stanchezza, il riposo e il silenzio che regnano nelle città, e più nelle campagne, sull' ora del mezzogiorno, rendettero quell' ora agli antichi misteriosa e secreta come quelle della notte: onde fu creduto che sul mezzodì più specialmente si facessero vedere o sentire gli Dei, le ninfe, i silvani, i fauni e le anime de' morti; come apparisce da Teocrito Idyll. 1, v. 15. seqq. Lucano 1. 3, v. 422. seqq. Filostrato Heroic. c. 1, § 4. opp. ed. Olear. p. 671. Porfirio de antro nymph. c. 26. seq. Servio ad Georg. l. 4, v. 401. e dalla Vita di san Paolo primo eremita scritta da san Girolamo c. 6, in vit. Patr. Rosweyd. 1. 1, p. 18. Vedi ancora il Meursio Auctar. philolog. c. 6. colle note del Lami opp. Meurs.

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