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18.

Dunque primieramente in provvedere A se di novo capo in quelle strette Porre ogni lor pensier le affitte schiere Per lo scampo comun furon costrette: Dura necessità, ch'uomini e fere Per salute a servaggio sottomette, E della vita in prezzo il mondo priva Del maggior ben per cui la vita è viva.

19.

Stabile elezion per or non piacque Far; né potean; ma differire a quando In Topaia tornati, ove già nacque La piú parte di lor, la tema in bando Avrian cacciata, e le ranocchie e l'acque E seco il granchio barbaro e nefando, Né credean ciò lontan lunga stagione, Avrian posto in eterna obblivione.

20.

Intanto il campo stesso, e la fortuna Commetter del ritorno, e dei presenti Consigli e fatti dar l'arbitrio ad una Militar potestà furon contenti.

Così quando del mar la vista imbruna, Popol battuto da contrarii venti

Segue l'acuto grido onde sua legge

Dà colui che nel rischio il pin corregge.

21.

Scelto fu Rubatocchi a cui l'impero
Si desse allor di mille topi e mille:
Rubatocchi, che fu, come d'Omero
Sona la tromba, di quel campo Achille.
Lungamente per lui sul lago intero
Versàr vedove rane amare stille;

E fama è che insin oggi appo i ranocchi
Terribile a nomar sia Rubatocchi.

22.

Né Rubatocchi chiameria la madre
Il ranocchin per certo al nascimento,
Come Annibale, Arminio odi leggiadre
Voci qui gir chiamando ogni momento:
Cosí di nazion quello che padre
È d'ogni laude, altero sentimento
Colpa o destin, che molta gloria vinse,
Già trecent' anni, in questa terra estinse.

23.

Mancan Giulii e Pompei, mancan Cammilli

E Germanici e Pii, sotto il cui nome
Faccia ai nati colei che partorilli
A tanta nobiltà, lavar le chiome?
A veder se alcun dí valore instilli
In lor la rimembranza, e se mai dome.
Sien basse voglie e voluttà dal riso

Che un gran nome suol far di fango intriso?

24.

Intanto a studio là nel Trasimeno
Estranio peregrin lava le membra,
Perché la strage nostra onde fu pieno
Quel flutto, con piacer seco rimembra:
La qual, se al ver si guarda, nondimeno
Zama e Cartago consolar non sembra:
E notar nel Metauro anco potria
Quegli e Spoleto salutar per via.

25.

Se questo modo, ond' hanno altri conforto, Piacesse a noi di seguitar per gioco,

In molte acque potremmo ire a diporto,
E di piú selve riscaldarci al foco,
Ed in piú campi dall' occaso all' orto
Potremmo, andando, ristorarci un poco,
E tra via rimembrar piú d' un alloro
E nelle nostre e nelle terre loro.

26.

Tant' odio il petto agli stranieri incende Del nome italian, che di quel danno Onde nessuna gloria in lor discende, Sol perché nostro fu, lieti si fanno. Molte genti provàr dure vicende, E prave diventàr per lungo affanno; Ma nessuna ad esempio esser dimostra Di tant' odio potria come la nostra.

27.

E questo avvien perché quantunque doma, Serva, lacera segga in isventura,

Ancor per forza italian si noma

Quanto ha più grande la mortal natura;
Ancor la gloria dell' eterna Roma
Risplende sí, che tutte l'altre oscura;
E la stampa d' Italia, invan superba
Con noi l'Europa, in ogni parte serba.

28.

Né Roma pur, ma col mental suo lume
Italia inerme, e con la sua dottrina,
Vinse poi la barbarie, e in bel costume
Un'altra volta ritornò regina ;

E del goffo stranier, ch' oggi presume
Lei dispregiar, come la sorte inchina,
Rise gran tempo, ed infelici esigli
L'altre sedi parer vide a' suoi figli.

29.

Senton gli estrani, ogni memoria un nulla Esser a quelle ond'è l' Italia erede; Sentono, ogni lor patria esser fanciulla. Verso colei ch'ogni grandezza eccede : E veggon ben che se strozzate in culla Non fosser quante doti il ciel concede, Se fosse Italia ancor per poco sciolta. Regina torneria la terza volta.

30.

Indi l'odio implacato, indi la rabbia,
E l'ironico riso ond' altri offende

Lei che fra ceppi, assisa in su la sabbia,
Con lingua né con man piú si difende.
E chi maggior pietà mostra che n'abbia,
E di speme fra noi gl' ignari accende,
Prima il Giudeo tornar vorrebbe in vita
Ch'all' italico onor prestare aita.

31.

Di Roma là sotto l'eccelse moli,
Pigmeo, la fronte spensierata alzando,
Percote i monumenti al mondo soli
Con sua verghetta, il corpo dondolando;
E con suoi motti par che si consoli,
La rimembranza del servir cacciando.
Ed è ragion ch'a una grandezza tale
L'inimicizia altrui segua immortale.

32.

Ma Rubatocchi, poi che della cura
Gravato fu delle compagne genti,
Fece il campo afforzar, perché sicura
Da inopinati assalti e da spaventi
Fosse la notte; e poi di nutritura
Giovare ai corpi tremuli e languenti.
Facil negozio fu questo secondo,
Perché topi a nutrir tutto è fecondo.
LEOPARDI, Opere approvate. Vol. I, Poesie.

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