CANTO SECONDO. 1. Piú che mezze oramai l'ore notturne Le stelle, ardendo in sul deserto piano. 2. E biancheggiar tra il verde all'aria bruna, Or ne' campi remoti, or su la via, 3. Trottava il conte al periglioso andare Come, per conseguenza ragionevole, 4. Era maggio, che amor con vita infonde, E il cuculo cantar s'udia lontano, Misterioso augel, che per profonde Selve sospira in suon presso che umano, E qual notturno spirto erra e confonde Il pastor che inseguirlo anela invano, Né dura il cantar suo, che in primavera Nasce e il trova l'ardor venuto a sera. 5. Come ad Ulisse ed al crudel Tidide, Quando ai novi troiani alloggiamenti Ivan per l'ombre della notte infide, Rischi cercando e insoliti accidenti, Parve l'augel che si dimena e stride, Segno, gracchiando, di felici eventi Arrecar da Minerva, al cui soccorso L'uno e l'altro, invocando, era ricorso; 6. Non altrimenti il topo, il qual solea Per sollevare il cor dalla paura, Che il cuculo, che i topi han per divino, 7. Ma già dietro boschetti e collicelli E desiata al peregrin venia. 8. Pur, come ai topi il lume è poco accetto, Di lei non molto rallegrossi il conte, Il qual trottando a piè, siccome ho detto, Ripetea per la valle e per lo monte L'orme che dianzi, di fuggir costretto, Impresse avea con zampe assai piú pronte, E molti il luogo or danni ora spaventi Di quella fuga gli rendea presenti. 9. Ma pietà sopra tutto e disconforto Moveagli, a ciascun passo in sul cammino, O poco indi lontan, vedere o morto. O moribondo qualche topolino, Alcun da piaghe ed alcun altro scorto Dalla stanchezza al suo mortal destino, A cui con lo splendor languido e scemo Parea la luna far l'onore estremo. 10. Cosí muto, volgendo entro la testa E chiamando e sperando alla funesta 11. Tutti desti cantando erano i galli Per le campagne, e gli augelletti ancora Ricominciando insiem gli usati balli Su per li prati al mormorar dell'òra, E porporina i sempiterni calli Apparecchiava al dí la fresca aurora, Né potea molto star che all'orizzonte Levasse il re degli anni alta la fronte; 12. Quando da un poggio il topo rimirando Non molto avanti in giú nella pianura, Vide quel che sebbene iva cercando, Voluto avria che fosse ancor futura La vista sua, ch'or tutto l'altro in bando Parve porre dal cor che la paura, Non sol per se, ma parte e maggiormente Perché pria del creduto era presente. 13. Vide il campo de' granchi, il qual fugate Ch' ebbe de' topi le vincenti schiere, Ver Topaia là dove indirizzate S'eran le fuggitive al suo parere, Deliberossi, andando a gran giornate Dietro quelle condurre armi e bandiere; E seguitando lor, men d'una notte Distava ond' esse il corso avea condotte. 14. Tremava il conte, e già voltato il dosso Aveano i servi alla terribil vista, E muro non avria, non vallo o fosso Ma il conte sempre all'onor proprio mosso, Fatto core egli pria, sopra si spinse Gridando ai servi, ed a tornar gli strinse. |