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piante, e a mille altri. Parimente di tratto in tratto, per via de' loro cannocchiali, si avvedevano di qualche stella o pianeta, che insino allora, per migliaia e migliaia d'anni, non avevano mai saputo che fosse al mondo; subito lo scrivevano tra le loro masserizie: perché s'immaginavano che le stelle e i pianeti fossero, come dire, moccoli da lanterna piantati lassú nell'alto a uso di far lume alle signorie loro, che la notte avevano gran faccende.

GNO. Sicché, in tempo di state, quando vedevano cadere di quelle fiammoline che certe notti vengono giú per l'aria, avranno detto che qualche spirito andava smoccolando le stelle per servizio degli uomini.

FOL. Ma ora che ei sono tutti spariti, la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi non sono stanchi di correre, e il mare ancorché non abbia piú da servire alla navigazione e al traffico, non si vede che si rasciughi.

GNO. E le stelle e i pianeti non mancano di nascere e di tramontare, non hanno preso le gramaglie.

FOL. E il sole non s'ha intonacato il viso di ruggine; come fece, secondo Virgilio, per la morte di Cesare: della quale io credo ch' ei si pigliasse tanto affanno quanto ne pigliò la statua di Pompeo.

DIALOGO

DI MALAMBRUNO E DI FARFARELLO.

MAL. Spiriti d'abisso, Farfarello, Ciriatto, Baconero, Astarotte, Alichino, e comunque siete chiamati; io vi scongiuro nel nome di Belzebú, e vi comando. per la virtú dell' arte mia, che può sgangherare la luna, e inchiodare il sole a mezzo il cielo: venga uno di voi con libero comando del vostro principe e piena potestà di usare tutte le forze dell' inferno in mio servigio.

FAR. Eccomi.

MAL. Chi sei?

FAR. Farfarello, a' tuoi comandi.

MAL. Rechi il mandato di Belbezú?

FAR. Sí recolo; e posso fare in tuo servigio tutto quello che potrebbe il Re proprio, e piú che non potrebbero tutte l'altre creature insieme.

MAL. Sta bene. Tu m'hai da contentare d'un desiderio.

FAR. Sarai servito. Che vuoi? nobiltà maggiore di quella degli Atridi?

MAL. No.

FAR. Piú ricchezze di quelle che si troveranno nella città di Manoa quando sarà scoperta?

MAL. NO.

FAR. Un impero grande come quello che dicono che Carlo quinto si sognasse una notte?

MAL. NO.

FAR. Recare alle tue voglie una donna piú salvatica di Penelope ?

MAL. No. Ti par egli che a cotesto ci bisognasse il diavolo ?

FAR. Onori e buona fortuna cosí ribaldo come sei? MAL. Piuttosto mi bisognerebbe il diavolo se volessi il contrario.

FAR. In fine, che mi comandi ?

MAL. Fammi felice per un momento di tempo.
FAR. Non posso.

MAL. Come non puoi?

FAR. Ti giuro in coscienza che non posso.

MAL. In coscienza di demonio da bene.

FAR. Sí certo. Fa conto che vi sia de' diavoli

da bene come v'è degli uomini.

MAL. Ma tu fa conto che io t'appicco qui per la coda a una di queste travi, se tu non mi ubbidisci subito senza piú parole.

FAR. Tu mi puoi meglio ammazzare, che non io contentarti di quello che tu domandi.

MAL. Dunque ritorna tu col mal anno, e venga Belzebú in persona.

FAR. Se anco viene Belzebú con tutta la Giudecca e tutte le Bolge, non potrà farti felice né te né altri della tua specie, piú che abbia potuto io.

MAL. Né anche per un momento solo?

FAR. Tanto è possibile per un momento, anzi per la metà di un momento, e per la millesima parte; quanto per tutta la vita.

MAL. Ma non potendo farmi felice in nessuna maniera, ti basta l'animo almeno di liberarmi dall'infelicità?

FAR. Se tu puoi fare di non amarti suprema

mente.

MAL. Cotesto lo potrò dopo morto.

FAR. Ma in vita non lo può nessun animale: perché la vostra natura vi comporterebbe prima qualunque altra cosa, che questa.

MAL. Cosí è.

FAR. Dunque, amandoti necessariamente del maggiore amore che tu sei capace, necessariamente desideri il più che puoi la felicità propria; e non potendo mai di gran lunga essere soddisfatto di questo tuo desiderio, che è sommo, resta che tu non possi fuggire per nessun verso di non essere infelice.

MAL. Né anco nei tempi che io proverò qualche diletto; perché nessun diletto mi farà né felice né pago.

FAR. Nessuno veramente.

MAL. E però, non uguagliando il desiderio naturale della felicità che mi sta fisso nell'animo, non sarà vero diletto; e in quel tempo medesimo che esso è per durare, io non lascerò di essere infelice.

FAR. Non lascerai perché negli uomini e negli altri viventi la privazione della felicità, quantunque senza dolore e senza sciagura alcuna, e anche nel

tempo di quelli che voi chiamate piaceri, importa infelicità espressa.

MAL. Tanto che dalla nascita insino alla morte, l'infelicità nostra non può cessare per ispazio, non che altro, di un solo istante.

FAR. Sí: cessa, sempre che dormite senza SOgnare, o che vi coglie uno sfinimento o altro che v' interrompa l'uso dei sensi.

MAL. Ma non mai però mentre sentiamo la nostra propria vita.

FAR. Non mai.

MAL. Di modo che, assolutamente parlando, il non vivere è sempre meglio del vivere.

FAR. Se la privazione dell' infelicità è semplicemente meglio dell' infelicità.

MAL. Dunque !

FAR. Dunque se ti pare di darmi l'anima prima del tempo, io sono qui pronto per portarmela.

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