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menti fatti per vedere molto lontano, ha scoperto costí una bella fortezza, co' suoi bastioni diritti; che è segno che le tue genti usano, se non altro, gli assedi e le battaglie murali.

LUN. Perdona, monna Terra, se io ti rispondo un poco piú liberamente che forse non converrebbe a ura tua suddita o fantesca, come io sono. Ma in vero che tu mi riesci peggio che vanerella a pensare che tutte le cose di qualunque parte del mondo sieno conformi alle tue; come se la natura non avesse avuto altra intenzione che di copiarti puntualmente da per tutto. Io dico di essere abitata, e tu da questo conchiudi che gli abitatori miei debbono essere uomini. Ti avverto che non sono; e tu consentendo che sieno altre creature, non dubiti che non abbiano le stesse qualità e gli stessi casi de' tuoi popoli; e mi alleghi i cannocchiali di non so che fisico. Ma se cotesti cannocchiali non veggono meglio in altre cose, io crederò che abbiano la buona vista de' tuoi fanciulli, che scuoprono in me gli occhi, la bocca, il naso che io non so dove me gli abbia.

TER. Dunque non sarà né anche vero che le tue province sono fornite di strade larghe e nette; e che tu sei coltivata : cose che dalla parte della Germania, pigliando un cannocchiale, si veggono chiaramente.

LUN. Se io sono coltivata, io non me ne accorgo, e le mie strade io non le veggo.

TER. Cara Luna, tu hai a sapere che io sono di grossa pasta e di cervello tondo; e non è mara

viglia che gli uomini m'ingannino facilmente. Ma io ti so dire che se i tuoi non si curano di conquistarti, tu non fosti però sempre senza pericolo: perché in diversi tempi, molte persone di quaggiú si posero in animo di conquistarti esse; e a quest'effetto fecero molte preparazioni. Se non che, salite in luoghi altissimi, e levandosi sulle punte de' piedi, e stendendo le braccia, non ti poterono arrivare. Oltre a questo, già da non pochi anni, io veggo spiare minutamente ogni tuo sito, ricavare le carte de'tuoi paesi, misurare le altezze di cotesti monti, de'quali sappiamo anche i nomi. Queste cose, per la buona volontà ch'io ti porto, mi è paruto bene di avvisartele, acciò che tu non manchi di provvederti per ogni caso. Ora, venendo ad altro, come sei molestata da' cani che ti abbaiano contro? Che pensi di quelli che ti mostrano altrui nel pozzo? Sei tu femmina o maschio? perché anticamente ne fu varia opinione. È vero o no che gli Arcadi vennero al mondo prima di te? che le tue donne, o altrimenti che io le debba chiamare, sono ovipare; e che uno delle loro uova cadde quaggiú non so quando? che tu sei traforata a guisa dei paternostri, come crede un fisico moderno? che sei fatta, come affermano alcuni inglesi di cacio fresco ? che Maometto un giorno, o una notte che fosse, ti spartí per mezzo, come un cocomero; e che un buon tocco del tuo corpo gli sdrucciolò dentro alla manica? Come stai volentieri in cima dei minareti? Che ti pare della festa del bairam?

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LUN. Va pure avanti; che mentre seguiti cosí,
LEOPARDI, Opere approvate. - Vol. II, Prose.

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non ho cagione di risponderti, e di mancare al silenzio mio solito. Se hai caro d'intrattenerti in ciance, e non trovi altre materie che queste; in cambio di voltarti a me, che non ti posso intendere, sarà meglio che ti facci fabbricare dagli uomini un altro pianeta da girartisi intorno, che sia composto e abitato alla tua maniera. Tu non sai parlare altro che d'uomini e di cani e di cose simili, delle quali ho tanta notizia, quanta di quel sole grande grande, intorno al quale odo che giri il nostro sole.

TER. Veramente, piú che io propongo, nel favellarti, di astenermi da toccare le cose proprie, meno mi vien fatto. Ma da ora innanzi ci avrò piú cura. Dimmi: sei tu che ti pigli spasso a tirarmi l'acqua del mare in alto, e poi lasciarla cadere?

LUN. Può essere. Ma posto che io ti faccia cotesto o qualunque altro effetto, io non mi avveggo di fartelo come tu similmente, per quello che io penso, non ti accorgi di molti effetti che fai qui; che debbono essere tanto maggiori de' miei, quanto tu mi vinci di grandezza e di forza.

TER. Di cotesti effetti veramente io non so altro se non che di tanto in tanto io levo a te la luce del sole, e a me la tua; come ancora, che io ti fo gran lume nelle tue notti, che in parte lo veggo alcune volte. Ma io mi dimenticava una cosa che importa piú d'ogni altra. Io vorrei sapere se veramente, secondo che scrive l' Ariosto, tutto quello che ciascun uomo va perdendo; come a dire la gioventú, la bellezza, la sanità, le fatiche e spese che si mettono nei buoni studi per essere onorati

dagli altri, nell' indirizzare i fanciulli ai buoni costumi, nel fare o promuovere le instituzioni utili; tutto sale e si raguna costà: di modo che vi si trovano tutte le cose umane; fuori della pazzia, che non si parte dagli uomini. In caso che questo sia vero, io fo conto che tu debba essere cosí piena, che non ti avanzi piú luogo; specialmente che, negli ultimi tempi, gli uomini hanno perduto moltissime cose (verbigrazia l'amor patrio, la virtú, la magnanimità, la rettitudine), non già solo in parte, e l'uno o l'altro di loro, come per l'addietro, ma tutti e interamente. E certo che se elle non sono costí, non credo si possano trovare in altro luogo. Però vorrei che noi facessimo insieme una convenzione, per la quale tu mi rendessi di presente, e poi di mano in mano, tutte queste cose; donde io penso che tu medesima abbi caro di essere sgomberata, massime del senno, il quale intendo che occupa costí un grandissimo spazio; ed io ti farei pagare dagli uomini tutti gli anni una buona somma di danari.

LUN. Tu ritorni agli uomini; e, con tutto che la pazzia, come affermi, non si parta da' tuoi confini, vuoi farmi impazzire a ogni modo, e levare il giudizio a me, cercando quello di coloro; il quale io non so dove si sia, né se vada o resti in nessuna parte del mondo; so bene che qui non si trova; come non ci si trovano le altre cose che tu chiedi.

TER. Almeno mi saprai tu dire se costí sono in uso i vizi, i misfatti, gl' infortuni, i dolori, la vecchiezza, in conclusione i mali? intendi tu questi nomi?

LUN. Oh cotesti sí che gl'intendo; e non solo i

nomi, ma le cose significate, le conosco a maraviglia : perché ne sono tutta piena, in vece di quelle altre che tu credevi.

TER. Quali prevalgono ne' tuoi popoli, i pregi o i difetti?

LUN. I difetti di gran lunga.

TER. Di quali hai maggior copia, di beni o di mali?

LUN. Di mali senza comparazione.

TER. E generalmente gli abitatori tuoi sono felici o infelici ?

LUN. Tanto infelici, che io non mi scambierei col piú fortunato di loro.

TER. Il medesimo è qui. Di modo che io mi maraviglio come essendomi sí diversa nelle altre cose, in questa mi sei conforme.

LUN. Anche nella figura, e nell'aggirarmi, e nell'essere illustrata dal sole io ti sono conforme; e non è maggior maraviglia quella che questa: perché il male è cosa comune a tutti i pianeti dell'universo, o almeno di questo mondo solare, come la rotondità e le altre condizioni che ho detto, né piú né meno. E se tu potessi levare tanto alto la voce, che fossi udita da Urano o da Saturno, o da qualunque altro pianeta del nostro mondo; e gl'interrogassi se in loro abbia luogo l'infelicità, e se i beni prevagliano o cedano ai mali; ciascuno ti risponderebbe come ho fatto io. Dico questo per aver dimandato delle medesime cose Venere e Mercurio, ai quali pianeti di quando in quando io mi trovo piú vicina di te; come anche ne ho chiesto ad alcune comete che mi sono passate dap

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