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Quella che in cor l'amorosa radice

Mi piantò nel primier che mal la vidi 1,
Cioè la dispietata ingannatrice,

A morir m' ha condotto; e stu 2 nol credi,
Mira gli occhi miei morti in la cervice
E del cor odi gli angosciosi stridi:
E dell' altro mio corpo ogni pendice 4
Che par ciascuna che la morte gridi.
A tal m' ha giunto mia donna crudele

Ch' entro tal dolor sento in ogni parte,
Che l'alma a forza dallo cor si parte.
Che 'l mio dolzor con l' amaror del fele
Aggio ben visto, Amor, com' si comparte:
Ben ti consiglio; di lui servir guarte.

DANTE DA MAIANO.

Fiori verso il 1290.

ALLA NINA SICILIANA.

La lode e 'l pregio e 'l senno e la volenza,
Ch' aggio sovente audito nominare,
Gentil mia donna, di vostra piacenza,
M' han fatto coralmente innamorare;

E miso tutto in vostra canoscenza

Di guisa tal, che già considerare

Non degno ormai, che far vostra voglienza;
Si m' ha distretto Amor di voi amare.

Di tanto prego vostra signoria;

In loco di mercede e di pietanza
Piacciavi sol ch' eo vostro servo sia.
Poi mi terraggio, dolce donna mia,

Fermo d' aver compita la speranza
Di ciò che lo meo core ama e disia.

1 nel primo dì, nel primo istante che per mio danno la vidi. vece di Se tu. 3 tutto il capo; mente, intelletto.

lunque.

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4 parte, luogo qua

14

LA NINA SICILIANA.

GUITTONE D' AREZZO.

LA NINA SICILIANA.

[Una delle prime tra le donne Siciliane a coltivare la poesia volgare.

A DANTE DA MAIANO.

Qual sete voi, che cara profferenza 1
Si fate a me, senza pur voi mostrare?
Molto m'agenzeria vostra parvenza 2,
Perchè 'I meo cor potessi dichiarare.
Vostro mandato aggrada a mia intenza 3;
In gioia mi conteria d' udir nomare
Lo vostro nome, che fa profferenza
D' essere sottoposto a me innorare.
Lo core meo pensar non si savria

Alcuna cosa, che sturbasse amanza;
Così affermo, e voglio ognor che sia.
L'udire a voi parlare è voglia mia,

Se vostra penna ha buona consonanza
Col vostro core; od è tra lor resia? 4

GUITTONE D'AREZZO.

Comunemente detto Fra perchè era dell' Ordine religioso e militare de' Cavalieri Gaudenti; creatore o riformatore del sonetto.

1210-94.

ALLA MADONNA.

O benigna, o dolce, o graziosa,

O del tutto amorosa

Madre del mio signore, e donna mia,
Ove fugge, ove chiama, o' sperar osa
L'alma mia bisognosa,

Se tu, mia miglior madre, haila in obbria 5?
Chi, se non tu, misericordiosa?

Chi saggia, o poderosa,

O degna in farmi amore o cortesia?

Mercè dunque, non più mercè nascosa

Ne paia in parva cosa;

Chè grave in abondanza è carestia.

Nè sanaria la mia gran piaga fera

Medicina leggera.

Ma se tutta sì fera e brutta pare,
Sdegnerai la sanare?

Chi gran mastro, che non gran piaga chera?

2

profferta, offerta. presenza. 3 intenzione.

discordia.

5 obblio.

4eresia, contesa,

Se non miseria fusse, ove mostrare
Si porìa, nè laudare

La pietà tua tanta e sì vera?
Conven dunque misèra,

A te, Madonna, miserando orrare.

Ahi lasso! come mai trovar poria
Cortese donna, poichè m' è villana
La più cortese, ch' a 'sto mondo sia,
Ch'è per ragion tanto cortese e piana.
Rechest' ho che mi don sua signoria?

Chè orso, o drago, o qual fera è più strana,
Sin n' averìa mercede e cortesia,

E fora ver di me dolce ed umana.
Deh! come può sua dolce bocca dire
Parola amara si crudelemente,

Che fammi crudel morte sofferire?
Ahi! com' mal vidi sua beltà piacente,

E suo chiar viso, e suo dolce avvenire,
E il dire e il far di lei più ch' altro gente!

Già mille volte, quando Amor m' ha stretto,
Eo son corso per darmi ultima morte,
Non possendo ristare all' aspro e forte
Empio dolor, ch' io sento dentro al petto.
Voi veder lo potete qual dispetto

Ha lo meo core; e quanto a crudel sorte
Ratto son corso già sino alle porte
Dell' aspra morte per cercar diletto.
Ma quando io son per gire all' altra vita.
Vostra immensa pietà mi tiene e dice:
Non affrettar l' immatura partita.

La verde età, tua fedeltà il disdice,
Ed a ristar di quà mi priega e 'nvita
Sicch' eo spero col tempo esser felice.

1

Doglioso e lasso rimase 'l meo core,

Poichè partiste, dolce rosa aulente,
Da me, che stato vi son servidore,
E sarò sempre a tutto 'l meo vivente.

' gentile, grazioso.

Sicchè biasmare mi posso d'amore,
Che di tal pena mi fa sofferente;

E con gran doglia ha fatto partitore
Il cor dall' alma, ch' è tuttor presente.
Ed ha lassato il corpo quasi morto,

Che va e vene, ma non può parlare;
Ed ogn' uom guarda, nè vede chi sia.
Ma par che viva come legno torto,
Poichè non posso in me più ritornare,
Se non redite, dolce spene mia.

CANZONE.

O bon Gesù, ov' è core
Crudel tanto e spietato,
Che veggia te cruciato,

E non pianto porti e dolore?

O bon Gesù, non è ragion che doglia,
Nè allegri giammai che non dole ora
Po' intende la tua dogliosa doglia

E manifesta vedela in figora?

Ah! com' non duole uomo e non cordoglia,
Ove dole ogni fera creatura?
Pianser lasso! le mura,
E cielo, e terra, dolore
Del bon signor lor mostrando:
Noi ne gim quasi gabbando.
Tanto è fellon nostro core!

O bon Gesù, tu troppo amando

La carne nostra, vil tanto, prendesti;
Scendesti a terra, noi a ciel montando,
E facendo noi Dii, uom te facesti;
Riccor, onore, gioia a noi donando,
Povertà nostra e ointa e noi' prendesti;
E prender te permettesti,

1

Di prigion mettendone fore.
Sputo, fragelli, e morte
Laida prendesti traforte,
Vita a noi dando tutt' ore.

O bon Gesù, tu creatore

1 onta.

Dei nostri padri, e nostro; e tu messere
Di vertù, di savere, e di valore,

Di soavità, di pregio, e di piacere;
E d'ogni nostro ben solo datore;
Conservator, for cui chi più val pere;
In cui compiuto savere,

Larghezza somma, e riccore,
Vertù, e giustizia, e potenza,
E lealtà tutta e piagenza,
E tutto bon, male non fiore.
O bon Gesù, noi vedemo te,

Come mendico, a piede afflitto andare;
Affamato, assetato, e nudo se';

Nè magion hai, nè cosa alcuna pare:
Or non se' tu di cielo e terra Re,
Ricco, cui è quanto è senz' alcun pare?
Oh perchè tanto abbassare,

E farte di maggio minore?
Venuto se' tanto trabasso,
Solo montando noi lasso!
Ad ogni compiuto riccore.
O bon Gesù, che tal barone

Vedemo lasso, preso, e denudato,
Legato e fondo, siccome ladrone,
El tuo bel vis' battuto e sputacchiato,
Appresso in croce affitto, a pozione
Bever fele, di lancia esser piagato.
E già non fu tuo peccato,
Che non fai che bono o migliore;
Ma latrocinio nostro fue,

Onde appeso e morto su è
Tale nostro e tanto signore.

O bon Gesù, tu contristato

Tu di cielo e di terra ogni allegrezza:
È preso il solvitor d'ogni legato;
Laidita e lividata ogni bellezza;
Onore tutto e piacer disorrato;
E dannata giustizia a falsezza;
E disolata è grandezza;
E vita è morta a dolore.
E di tutto ciò che ditt' aggio,
El fellon nostro coraggio
Non dà pietà, nè amore.

O bon Gesù, che villania,

Che fellonesca e crudel crudeltate
Veder te a tale, e saver per noi sia,
Non pianger, nè dolere di pietate!
O lasso, lasso! chi non piangeria
Se tal dolore vedesse a un suo frate?

ANTOLOGIA.

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